Spunti sul Vangelo di Giovanni

IL VANGELO DI GIOVANNI.
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Poiché fede non equivale a “fideismo” o creduloneria, ma a un atto di fiducia che parte da alcune “credenziali”evidenti (non “prove incontestabili”) e che, lungo un percorso da cominciare e seguire, risponde alle proprie verifiche, è giusto occuparmi, di tanto in tanto, di una sana analisi sulla storicità delle fonti della mia fede, specie in un epoca in cui l’editoria che più vende milioni di copie ne massacra l’autenticità.
E’ alquanto scomodo, per certi scettici, che un credente non viva la fede con fideismo e creduloneria, perché fa loro comodo che “fede è credere incondizionatamente”: ciò rafforza la loro tesi che cre-dente equivale a cre-tino.
Invece no: cre-dente, per chi conosce il termine “fede”, equivale a cre-dibile!
E’ interessante che in un comune dizionario dei sinonimi, il termine “fede”, venga accostato a “attestazione”, “certificato”.
Il vangelo di Giovanni è notoriamente il più attaccato dalla critica scettica sull’attendibilità storica, poiché considerato il più “ellenistico”, il più “tardivo”, il meno “ebraico”, scritto “direttamente in greco”; ciò sarebbe addirittura palese a prima vista, dato l’aspetto “filosofico” con cui sarebbe impostato.
Vediamo un po’ se questi scettici hanno affrontato l’argomento con la dovuta imparzialità.
Innanzitutto fa loro “fede” che un documento non sia capace di contenere profezie, per cui le predizioni di Cristo sulla distruzione del Tempio sarebbero aprioristicamente da considerare “post-eventum”. Eggià: se parto dal presupposto che i miracoli non esistono, è ovvio che non potrò concludere diversamente la mia “ricerca storica imparziale”, per cui i vangeli, specie Giovanni, non possono che risalire a dopo il 70, anno della distruzione del Tempio. Pietro e Paolo erano morti e i cristiani ci diedero sotto con la stesura di scritti di una fantasia da loro autenticata “Spirito Santo”. L’ente archeologico Narkas ha definito “un assioma scorretto” tale dogma scientifico!
Innanzitutto già nel 50 d.C. i Cristiani ammontavano a circa 7000, più della metà dei quali erano israeliti. Alla faccia dell’ellenizzazione, se si tiene conto anche della ricchezza, nei 4 vangeli canonici, di ebraismi lessicali, citazioni perfette di vie, località palestinesi e citazioni veterotestamentarie da vero ebreo esperto di scritture!
Certo, ci vorrebbe un trattato, più che un post su facebook, per esporre appieno i particolari, ma per ora fermiamoci al vangelo di Giovanni!
Gli scettici lo dichiarano antistorico innanzitutto per il suo presunto carattere filosofico greco, imperniato sul concetto del Logos: “In principio era il verbo (Logos) e il verbo era presso Dio e il verbo era Dio”. Quindi il concetto del verbo sarebbe un copia e incolla greco… ma davvero? Allora partiamo dalla Genesi (certamente non greca!): “E Dio DISSE: sia la luce, e luce fu”. Dio DICE e la parola si INCARNA, già nella creazione primordiale. Ma andiamo avanti! Esodo 20:1: “Dio allora PARLO’ PAROLE PARLANDO” (blandamente tradotto dalla Cei: “Dio allora pronunziò tutte queste parole”), un parlare “perfetto nel tre”, molto ripetuto e accostato al concetto del creare; di fatto stava creando i dieci comandamenti, ovvero le “dieci PAROLE”, che secondo la teologia ebraica più autentica, si “incarnano” nel nostro essere e diventano atti.
L’antico testamento è pregno del “dire” di Dio che si incarna. Dio “dice” e le cose sono. Cosa c’è di greco nella “Parola” di Dio che si incarna nel Figlio che la vivrà in ogni pensiero e in ogni atto della sua carne, manifestandola all’uomo come luce?
Questo è ebraismo antichissimo, che Cristo certamente notava nei rotoli sacri nei quali si identificava! Il sospetto di ellenismo giovanneo parte praticamente dal concetto di Logos; per cui smentita la grecità del Logos, smentita la “filosofia greca” di Giovanni!
 

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Passiamo oltre: Giovanni sarebbe tardivo perché parla approfonditamente di Maria, non menziona momenti importanti della vita di Cristo “già conosciuti”, quindi scritto molto tardi. Ah sì? Eppure Giovanni è “l’unica fonte mondiale” a menzionare una certa “piscina di Siloe” in cui Gesù avrebbe guarito un cieco nato tale.
Gerusalemme nel 70 fu assediata e distrutta; della piscina non ci furono notizie. Gli scettici, ti pareva, hanno detto che l’autore del vangelo l’avesse inventata per darsi una parvenza di attendibilità… finchè, il 9 agosto 2005, gli archeologi annunciano il ritrovamento certo della… piscina di Siloe!!! Dunque, l’autore del Vangelo fu un israelita vissuto in quelle terre, conoscitore accurato di luoghi sacri dimenticati dalla storia, inaccessibili ai pagani. Lo dimostrano anche le sue precisissime descrizioni di località di Giudea scomparse dopo la distruzione e recentemente scavate.
Questo ebreo è vissuto in Giudea prima della distruzione, per cui la datazione scettica del suo Vangelo (anno 100 d.C.) è una bufala!
Un ebreo scrive chiaramente in ebraico, non certo in greco! E, vista la quantità abnorme di citazioni ebraiche (calendario ebraico, usanze di festività pasquali e prepasquali, vie, famiglie ebree conosciute tra cui Lazzaro, la casa del sacerdote Hannah e il solito mucchio di collegamenti veterotestamentari), molti dubitano perfino che fosse stato mirato ai greci!
Talmente imbarazzante la sua “giudeicità” che molti dubitano che la firma sia del galileo Giovanni (data la quasi assenza di descrizioni della Galilea, un linguaggio troppo dotto per un pescatore, la sua autorevolezza per bypassare tranquillamente in casa di Hannah durante il processo segreto di Gesù, il suo definirsi “discepolo” e non “apostolo” e la priorità che conferisce a Pietro, un “apostolo”, di entrare nel sepolcro) e ritengono sia stato un giovane dottore della legge ebraica, discepolo di Cristo.
Bah! Forse non è così. Forse è davvero Giovanni. Ma se costui fosse davvero alla disperata ricerca di attendibilità, tanto da inventare piscine, vie, case, personaggi d’epoca – Lazzaro, Nicodemo (“Nakdimon ben Gurjon”: non molti anni fa si è risaliti all’identificazione storica di questo “Nicodemo”)… in tal caso perché non darsi un nome? Sarebbe un ottimo tentativo di inserirsi clandestinamente in un contesto a se stesso anteriore. E invece no! Mai dice: “Io sono Giovanni”. Mai si preoccupa di darsi un’identità! Non gli preoccupa il tribunale degli scettici, non vive il complesso del falso. E’ verace! Veracemente infatuato dall’idea di firmarsi “Il discepolo che Gesù amava”, un anonimato in cui ogni lettore può identificarsi come discepolo amato da Gesù, perno base della fede cristiana, buona novella per eccellenza! Narra di sé ogni particolare che riguarda e coinvolge noi! Egli desidera che noi siamo lì davanti a Cristo, ricevendo in prima persona le preziose esperienze che Cristo da all’uomo. Rendersi anonimi per qualcun altro, che grande insegnamento d’amore, celato proprio nel carattere di questo meraviglioso evangelista!
Ai piedi di un crocifisso erano ammessi solo i familiari di Gesù, quindi chi legge questo vangelo “lo è” e Cristo “gli affida la madre”. Chi legge questo vangelo può considerarsi colui che “vide e credette”, colui che riconosce, nel proprio “pescare molto”, una potenza superiore alla sua ed esclama: “E’ il signore”. Colui, infine, che “ne da testimonianza e la sua testimonianza è verace”… “Verace”, termine che vuol dire due cose: vero e ben identificato, ben mirato.
Sei tu! Tu il destinatario di questa poetica, candida, profonda identità. Sei tu che, nel confrontarti con la Parola, col Logos, puoi scoprire di avere una posizione regale, speciale che ti spetta per grazia, per dono di Chi si lascia lentamente trovare, qualora ti poni sulle Sue tracce.
Ma è ovvio che questo post, come tanti altri migliori di esso, scatenerà l’irritazione di chi, sedicente “uomo coi piedi per terra”, scarterà a priori ogni particolare scomodo alla sua fazione o, peggio ancora, alla sua casa editrice preferita!!

Enzo Donnarumma

Spunti sul Vangelo di Giovanniultima modifica: 2013-07-03T09:12:00+02:00da meneziade
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