Cardinale Carlo Maria Martini (Monte Tabor, 5 luglio 2007) – LECTIO DIVINA DI LC 9, 28-36.

 

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Di cuore ringrazio il Ministro generale per questo suo invito così benevolo, così amabile. Ringrazio tutti voi che siete qui, per camminare con san Francesco sulle orme di Gesù. Ringrazio la comunità del Tabor, la comunità dei frati minori, la comunità di Mondo X e, soprattutto, ringraziamo Dio perché ci concede di vivere una giornata all’ombra di un grande mistero, il mistero della Trasfigurazione di Gesù. Voi avete già meditato su questo mistero salendo a piedi, con il caldo, sulle pendici di questa montagna, ma può darsi che quando Gesù ha convocato i tre discepoli non fosse così caldo, fosse inverno, in ogni caso, avete vissuto anche la fatica di questa salita e questo vi ha introdotto già un po’ nel mistero, che è in parte anche un mistero un po’ faticoso.

Io vorrei cominciare con una domanda fatta a Gesù. Vorrei dire un po’ così: “Signore Gesù, in quella notte, in cui eri su questa montagna pregando, su che cosa meditavi? Quale era l’oggetto della tua preghiera?” Il Vangelo non lo dice e può darsi che Gesù anche non voglia farcelo sapere, oppure ci dica che la sua, come si usa chiamarla, era una meditazione atematica, cioè sul mistero di Dio senza tema; però, se un tema c’era, a mio avviso, non poteva essere se non il tema del Regno. Il Regno di Dio che era così al centro della predicazione di Gesù e che anche era stato citato da tutti e tre i sinottici un versetto prima del racconto della trasfigurazione, quando si dice, nel vangelo secondo luca, che alcuni dei presenti non morranno prima di aver visto il Regno di Dio (Lc 9,27) e poi comincia subito il racconto dell’ascesa al monte. Dunque probabilmente Gesù, tu stavi meditando sul Regno di Dio e certamente ci stavi meditando non in maniera ristretta, come facciamo noi qualche volta, cioè il Regno di Dio è qui o è là o si avvera secondo certe categorie; ma tu meditavi il regno di Dio in maniera larga, cioè il regno di Dio che riguarda l’umanità intera, e lo meditavi anche maniera lunga, cioè il Regno di Dio che non riguardava soltanto il tuo tempo, ma anche il nostro tempo, la fine dei tempi e anche l’eternità, il tempo senza tempo perché il regno di Dio si manifesta pienamente nell’eternità.

A partire da questa tua meditazione, noi siamo chiamati oggi a cercare di comprendere il mistero della tua trasfigurazione. Questo mistero che è descritto nei tre sinottici. Io seguirò particolarmente il vangelo di Luca, lo esprimerò a memoria perché è meglio affidarsi alla memoria di ciò che abbiamo tante volte letto. Dunque questo racconto ci dice che Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, salì su un’alta montagna, non ci si dice dove, ma la tradizione indica questa e questa è una bella montagna degna di questa salita e di questa preghiera. Poi entrò in preghiera e qui la faccia sua divenne luminosa come il sole, dice Matteo; le sue vesti bianchissime, dice Luca; cioè divenne glorioso. Possiamo pensare alla gioia, alla serenità, alla pace diffusa nei cuori di Pietro, Giacomo e Giovanni da questa contemplazione di Gesù. Gesù luminoso, splendente; Gesù sereno, pacifico; Gesù che già si presenta come nel regno di Dio definitivo, cioè nella pienezza della sua gloria.

Ma Gesù non è solo, perché mentre lo stanno contemplando vedono accanto a lui due figure, che poi identificano come Mosè ed Elia. Queste due figure non stanno zitte, ma parlano; e stando attenti, gli apostoli sentono che parlano di Gerusalemme, parlano di un esodo, parlano cioè di qualcosa di grandioso e insieme di sconvolgente, di qualcosa che avrebbe mutato il corso della storia, così come l’esodo per gli Ebrei. Poi, finalmente, Pietro, Giacomo e Giovanni, che sono rimasti senza parola, parlano per bocca di Pietro e Pietro dice una sciocchezza, cioè “facciamo tre tende”. Di per sé non era tanto sciocco, se era d’inverno il fare tre tende per abitare con più tranquillità, però Pietro viene preso in giro dai vangeli perché con queste parole non aveva al solito capito nulla di ciò che voleva Gesù, cioè non fermarsi a contemplare la visione, ma trarne le conseguenze. Così credo che anche oggi il Signore vi chieda di non fermarvi a contemplare la visione che mediterete, ma trarne le conseguenze per il vostro essere frati, seguaci di Gesù, seguaci di san Francesco nel mondo d’oggi.

Dunque Pietro ha fatto la sua battuta, facciamo tre tende, e allora viene una grande nube, una grande oscurità, e i discepoli hanno paura. Da questa nube si ode una voce che dice “questo è il mio figlio, in lui mi trovo bene, con lui vado d’accordo, ascoltatelo”. Finita questa voce i discepoli si ritrovano soli con Gesù. Dunque questo è il racconto sul quale ci viene richiesto di contemplare e di meditare. Ovviamente questo racconto ha un centro una parte dominante. A mio avviso la parte centrale è l’ultima, la parola di Dio, “questi è il mio figlio prediletto, ascoltatelo”, ma tutto il resto ha un senso che ora cercheremo insieme di meditare. Quindi abbiamo fatto secondo i tre momenti classici della lectio divina o, come la chiamate voi, lettura orante della Scrittura, mi pare si che sia molto giusto, molto meglio, una prima parte costituita dal leggere e rileggere il testo per rendercelo ben presente e una seconda parte che è il farci delle domande, quale messaggio ci porta questo testo, queste parole, questi gesti, queste figure, queste persone? Io mi limiterò a quattro o cinque riflessioni su questo testo che ci potrebbe portare molto lontano.

Anzi tutto vorrei ricordare di questo testo il fatto centrale che è la glorificazione di Gesù. Dunque noi siamo qui difronte al regno di Dio nella sua forma definitiva che viene anticipata in questo momento per i discepoli. Devo dire che noi ci pensiamo poco a questa forma definitiva del regno. Noi spesso diciamo “venga il tuo regno” e vogliamo dire venga qui, venga adesso, venga in questa circostanza, ma in realtà la domanda sul regno come ho detto è larga e lunga, cioè comprende la salvezza dell’umanità, il sogno di Dio realizzato, un’umanità salvata, unificata trasparente, Dio tutto in tutti. Questo deve essere oggetto anche della nostra preghiera e della nostra attesa. Io devo dire che fino a qualche anno fa, quando avevo fino ai 75-78 anni ci pensavo poco perché per me il Regno di Dio era da realizzare qui e adesso, ma ora che ci sono vicino, in lista di attesa o di chiamata, ci penso molto di più e credo che la Chiesa farebbe bene a pensarci molto di più, perché questo è il fine di tutta la creazione, è il sogno di Dio sull’umanità, un’umanità pacifica, un’umanità riconciliata, un’umanità diversa, ma che si riconosce nella sua diversità, un’umanità unita ed insieme ciascuno con le proprie particolarità, un’umanità abbandonata al Padre, in cui Dio è tutto in tutti. Questo sogno, questa visione, credo che dovremmo averla sempre davanti agli occhi, perché ci sostiene in tutti i cammini della vita e non delude mai. Il regno di Dio è la pienezza della manifestazione di Dio, quando Dio nella sua essenza, nella sua verità assoluta si manifesterà in pienezza a tutti noi, e allora qualunque cosa avremo immaginato sarà poca cosa di fronte a questo, come dice san Paolo “le sofferenze di questo mondo non sono da paragonarsi minimamente con quanto sarà rivelato in noi. Avere questa visione della nostra pienezza, della nostra chiamata definitiva ci aiuta molto. Questo è il primo pensiero sul quale volevo sollecitare la vostra riflessione.

Una seconda domanda cerchiamo di fare a Gesù dicendo “Gesù, perché non sei apparso da solo nella tua gloria? Perché hai preso proprio Mosè ed Elia? E non per esempio Adamo, Abramo o altre figure come Noè?” E Gesù se stiamo attenti ci risponderà primo perché non è apparso da solo, ma è apparso con alcuni rappresentanti del mondo ebraico dell’Antico Testamento, perché Gesù è incomprensibile senza il mondo ebraico, Gesù è incomprensibile senza l’Antico Testamento, Gesù va capito, penetrato, amato, va ammirato come frutto del suo popolo, e troppo spesso noi dimentichiamo questa realtà. Gesù qui ce la vuole ricordare: Gesù è un ebreo, figlio di Maria, ebrea, educato secondo il costume degli ebrei, secondo la tradizione ebraica, ancora viva ogni qui in questo paese, e quindi è da capirsi nell’ambito del suo mondo della sua tradizione e della sua cultura. Però potremmo chiederci perché non prendere altri personaggi, invece di Mosè ed Elia? Cosa rappresentano Mosé ed Elia? Mosé rappresenta la torah, cioè la legge che è parola di Dio scritta per essere praticata. Quindi è Parola di Dio da mettere in pratica. Anche oggi per gli ebrei la torah non è una concezione, è un modo di fare, è un’osservanza, è un modo di comportarsi. Quindi Gesù ci vuol ricordare che per comprendere veramente il suo mistero siamo chiamati anche ad una osservanza, cioè ad un certo modo di vivere, ad una certa disciplina di vita, ad un certo modo di cercarlo con ordine e senza impulsi disordinati. Questo è un cammino che tutti quanti siamo chiamati a percorrere. Ricordo che una volta avevo dato un corso di esercizi e avevo dato come titolo al corso un titolo che sant’Ignazio usa nel suo libretto, cioè mettere ordine nella propria vita, e tenevo questo libretto, insieme a molti altri nella mai sala delle udienze in episcopio di Milano e come al solito dopo l’udienza dicevo a chi era venuto “si scelga un libro che le può andar bene” e molti dicevano “ecco il titolo che mi va: Mettere ordine nella mia vita”. Questo è importante come sapete meglio di me, è importante di giorno come di notte; diceva un predicatore: “Beato colui che esce dagli esercizi con un solo proposito: andare a letto sempre alla stessa ora”, e questo proposito ne comprende molti altri soprattutto, poi, oggi con la facilità di usare la televisione e strumenti, diciamo, di telecomunicazione che noi non riusciamo, dopo una certa ora del giorno, a padroneggiare del tutto. È Importante, quindi questo richiamo all’ordine nella nostra vita.

Mosè, dunque, ci richiama all’osservanza e a che cosa ci richiama, invece, Elia? Elia è il profeta della incomparabilità di Dio ed è anche il profeta delle sorprese di Dio, cioè Dio sorprende. Secondo Mosè, quindi, Dio agisce secondo l’ordine dell’osservanza; secondo Elia Dio sorprende, con fatti nuovi, imprevisti, con cambiamenti di scena ed è molto importante da parte nostra non temere il Dio di Elia, perché ogni cambio di scena è sempre a favore di Dio, è sempre una manifestazione più prossima del suo regno. Togliamoci ogni paura e diciamo “Signore, manifestati incomparabile e grande”.

Questi sono i primi due pensieri che vi volevo suggerire. Abbiamo ancora un terzo pensiero, ne ho messi cinque, che mi pare anch’esso molto importante. Di che cosa parlano Mosè ed Elia con Gesù? Parlano dell’esodo. L’esodo è la più grande parola per il mondo ebraico, significa l’uscita dalla schiavitù d’Egitto, l’uscita dall’esilio di Babilonia, significa il ritorno nella patria, significa la grande novità di Dio. Gesù, quindi, ci prepara a grandi cose e ce le prepara a Gerusalemme. Di fatti questa parola, l’esodo a Gerusalemme, è quella che comanda diversi altri passi della Scrittura ad esempio il passo di Luca 13,33 quando Gesù, informato del fatto che Pilato lo sta cercando, dice non me ne importa niente, io continuo il mio cammino e poi dice “Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”. Questa centralità di Gerusalemme è quella che ha portato anche voi a farla come meta del vostro pellegrinaggio, quella che ha portato me a farla come meta della mia vita, perché a Gerusalemme si è compiuto l’evento più grande della storia, è cominciato un mondo nuovo, è cominciata la nuova esistenza per l’umanità, probabilmente Gerusalemme è anche il luogo del sacrificio di Abramo. Un filo rosso lega i fatti dell’Antico Testamento con i fatti di Gesù della sua morte e risurrezione ascensione e pentecoste e Gerusalemme rimane per sempre la città di queste realtà, la città che apre al mondo di Dio. Vorrei concludere questo terzo pensiero dicendo: non dimenticate mai Gerusalemme, “mi si attacchi la lingua al palato se mi dimentico di te, Gerusalemme”. Voi salendo con il caldo, forse avete vissuto il fenomeno della lingua attaccata al palato, ebbene ricordatevi di Gerusalemme perché questa è una cosa che non va mai dimenticata.

Quarta domanda che vorrei fare. Pietro e i compagni come vivono questa vicenda? Al solito molto superficialmente senza capire bene, un po’ come noi, siamo qui cerchiamo di vivere questa vicenda, ma ne rimaniamo un po’ esteriori. Pietro ha due reazioni: la prima è di entusiasmo “come è bello stare qui”. È una reazione che come abbiamo detto non è negativa, ma è puramente estetica e non basta. Poi una seconda reazione contraria che è di paura. Pietro ha paura della nube che incombe, ha paura di Dio, ha pura di entrare nel mistero, come spesso noi abbiamo paura a meditare a lungo perché diciamo “cosa farò nella meditazione? Come passerò il tempo”. Ci fa paura il tempo di silenzio, il tempo di Dio. Pietro ci invita a superare questa paura e ad entrare con coraggio nel tempo di Dio, soprattutto il tempo della preghiera, il tempo dell’ascolto della Parola.

Infine, l’ultimo momento di domanda che facciamo, prima di passare alle conclusioni contemplative, è riguardante la parola che si ascolta dalla nube “questi è il mio figlio prediletto, in lui mi sono compiaciuto, ascoltatelo”. Soprattutto questa seconda parola è importante qui, potremmo tradurla “Sì, Gesù, tu hai ragione, tu ci dici di non preoccuparci di accumulare tesori sulla terra, di non preoccuparci di accumulare titoli umani, di non preoccuparci del successo, la gente ride di queste cose, perché tutto va diversamente, ma tu hai ragione, io con la mia vita voglio dare ragione a te, anche se tutto il mondo parla diversamente o magari non parla ma agisce diversamente, io voglio dire tu hai ragione e con la mia vita voglio seguirti fino in fondo, come Francesco ti ha seguito, perché soltanto così si ha la vera ragione e si è dalla parte di Dio”. Il Signore dunque ci conceda di seguirlo così fino in fondo.

Ora vorrei passare brevemente al terzo momento di questa meditazione che si chiama contemplatio cioè qualche suggerimento per la vostra preghiera. Già ne abbiamo dati alcuni durante la riflessione sul testo, ma vorrei ancora esprime questi quattro brevi suggerimenti. Primo l’importanza dello sguardo lungo, cioè noi, magari siamo anche certe volte allegri, contenti, di buon umore, però basta poco per farci cambiare d’umore. È importante poter guardare molto lontano allora e fare come Mosè che camminava “come se vedesse l’invisibile” (Eb 11,27). E lo stesso si dice di Abramo. Camminare come se vedessimo l’invisibile, cioè camminare con la visione del Regno di Dio totale, realizzato in pienezza, perché questo darà senso a tutte le nostre azioni; anche le azioni più insignificanti o meno piacevoli acquistano un senso quando sono viste nella luce larga e lunga del regno di Dio. Camminiamo dunque con questa visione ampia e saremo sempre aiutati a camminare con gioia.

Seconda linea di preghiera che vi raccomando. La preghiera ci trasfigura come ha fatto con Gesù. Quando preghiamo diventiamo anche noi fasci di luce. Magari non ce ne accorgiamo, ma se ne accorgono gli altri. Però, la preghiera fatta bene, cioè con una preparazione attenta, con silenzio, con compostezza del corpo, con spirito di adorazione e di riverenza, con spirito di umiltà. Una preghiera così cambia il cuore, e cambiando il cuore cambia qualche volta il volto e lo rende splendente.

Terzo pensiero, già ve l’ho spiegato parlando di Mosè. Mosè rappresenta la torah, cioè l’osservanza e l’osservanza significa un ordine delle cose, e quest’ordine deve ciascuno di voi impararlo presto, in maniera da non dimenticarlo per tutta la vita, un ordine nella preghiera, un ordine nel cibo, un ordine nelle letture, un ordine nello studio, un ordine, insomma, che valga a mettere tutta la nostra vita, insieme con quella di Gesù, magari anche crocifissa con lui, ma legata a lui e alla sua apparizione nel mondo.

Infine l’ultima parola che vi suggerisco è quella che deriva dalla parola che esce dalla nube. Mettiamo davanti a Gesù in preghiera e diciamo: “Signore tu hai ragione. Io spesso non riesco a darti ragione, perché sento diversamente ed ho in me come delle pulsioni o tensioni diverse, ma riconosco che tu hai ragione e voglio fare come hai fatto tu. Concedimi la grazia di seguirti fino in fondo. San Francesco intercedi per noi. Santi tutti che avete pregato su questo santo monte, nei secoli trascorsi, che avete vissuto qui in preghiera intercedete per noi perché possiamo nella nostra vita dare ragione a Gesù.

Cardinale Carlo Maria Martini (Monte Tabor, 5 luglio 2007) – LECTIO DIVINA DI LC 9, 28-36.ultima modifica: 2013-03-07T22:08:00+01:00da meneziade
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