CARLO MARIA MARTINI. PREGHIERA CON L’EVANGELISTA LUCA. SECONDA PARTE.

 

IL clima della preghiera

PREGHIERA dell’essere

12.JPGSento sempre un certo disagio, una certa fatica, quando devo parlare della preghiera, perché mi pare che la preghiera sia una realtà di cui non si possa parlare: si può invitare a pregare, esortare, consigliare; la preghiera è qualcosa di così personale, di così intimo, di così nostro, che diventa difficile parlarne insieme, a meno che davvero il Signore non ci metta tutti in una atmosfera di preghiera.

Vorrei allora incominciare con una preghiera, vorrei dire così: “Signore, tu sai che io non so pregare, e allora come posso parlare ad altri della preghiera? Come posso insegnare ad altri qualcosa sulla preghiera? Tu solo, Signore, sai pregare. Tu hai pregato sulla montagna, nella notte. Tu hai pregato nelle pianure della Palestina. Tu hai pregato nel giardino della tua agonia. Tu hai pregato sulla Croce. Tu solo, Signore, sei il Maestro della preghiera. E tu hai dato a ciascuno di noi, come maestro personale, lo Spirito Santo. Ebbene, soltanto nella fiducia in te, Signore, Maestro di preghiera, adoratore del Padre in spirito e verità, soltanto con la fiducia nello Spirito che vive in noi, possiamo cercare di dire qualcosa, di esortarci a vicenda, per scambiarci qualche tuo dono, rispetto a questa meravigliosa realtà. La preghiera è la possibilità che noi abbiamo di parlare con te, Signore Gesù, nostro salvatore, di parlare con il {p16 Padre tuo e con lo Spirito, e di parlarne con semplicità e verità. Madre nostra Maria, maestra nella preghiera, aiutaci, illuminaci, guidaci in questo cammino che anche tu hai percorso prima di noi, conoscendo Dio Padre e la sua volontà”.

Che cosa potrei dirvi questa sera, così familiarmente, su questo tema della preghiera? Ho pensato di partire da alcune premesse, due brevi premesse teologiche fondamentali che voglio richiamare; cercherò poi di rispondere ad una domanda concreta: come aiutare noi ed altri a ravvivare nel nostro cuore la fiamma della preghiera, questa fiamma che Dio stesso accende ma che sta a noi alimentare in maniera giusta.

a) La prima la ricavo dal Salmo 8: “O Signore nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra! Sopra i cieli si innalza la tua magnificenza, con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli. Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?”.

La preghiera è qualcosa di estremamente semplice, qualcosa che nasce dalla bocca e dal cuore del bambino. $è la risposta immediata che ci sale dentro il cuore quando ci mettiamo di fronte alla verità dell’essere.

Questo può avvenire in molti modi, forse in modi diversi per ciascuno: per qualcuno può essere un paesaggio di montagna, un momento di solitudine nel bosco, l’ascolto di una musica che ci fa dimenticare un po le realtà immediate, che ci distacca per un momento da noi stessi. Sono questi momenti di verità dell’essere, nei quali ci sentiamo un po come tratti fuori dalla schiavitù delle invadenze quotidiane, dalla schiavitù {p17 delle cose che ci sollecitano continuamente; facciamo un respiro più largo del solito, sentiamo qualcosa che ci si muove dentro, e allora in questi momenti di grazia naturale, in questi momenti felici nei quali ci sentiamo pienamente noi stessi, è molto facile, quasi istintivo, che si elevi una preghiera: “Mio Dio ti ringrazio”, “Signore, quanto sei grande!”.

Ciascuno di noi, credo, può sperimentare nella propria vita qualcuno di questi momenti. Forse in una serie di circostanze felici si è trovato ad esprimere questo riconoscimento di Dio, traendolo dal fondo del proprio essere: è la preghiera naturale, la preghiera dell’essere.

Ogni nostra preghiera, ogni nostra educazione alla preghiera parte da questo principio: l’uomo che vive a fondo l’autenticità delle proprie esperienze sente immediatamente, istintivamente l’esigenza di esprimersi attraverso una preghiera di lode, di ringraziamento, di offerta.

b) Oltre questa verità, che è la preghiera dell’essere, c’è un’altra situazione da tener presente: è la preghiera dell’essere cristiano. Essa non è semplicemente la risposta mia alla realtà dell’essere che mi circonda, o alla sensazione di autenticità che provo dentro di me, ma è lo Spirito che prega in me. Il testo fondamentale cui dobbiamo riferirci è la Lettera ai Romani, seconda parte del capitolo 8: lo Spirito prega in noi (Rm 8,#14-27).

13.jpgVanno dunque tenute presenti queste due verità: “dalla bocca dei bambini e dei lattanti Signore ti sei fatto una lode” e quindi la preghiera è una realtà semplicissima, che sgorga quando si sono messe le premesse giuste, quando la persona, anche il ragazzo, il bambino, l’adolescente si è posto davvero a suo agio di fronte alla realtà dell’essere, alla verità dell’essere, {p18 in situazioni particolarmente felici di distensione, di calma, di serenità. A questa verità ne segue però un’altra: non siamo noi come cristiani a pregare, è lo Spirito che prega in noi.

L’educazione alla preghiera consiste allora sia nel cercare di favorire quelle condizioni che mettono la persona in stato di autenticità, sia nel cercare dentro di noi la voce dello Spirito che prega, per dargli spazio, per dargli voce.

Senza questa premessa non c’è la preghiera cristiana: è lo Spirito dentro di noi che prega. E questa è la caratteristica propria, tipica della preghiera cristiana.

Ricordo che uno dei più grandi esegeti di san Giovanni, il padre Mollat, si domandava un giorno che cosa caratterizzasse la preghiera cristiana, a differenza delle preghiere di tutte le altre religioni, di tutte le preghiere naturali che l’uomo può fare.

La risposta che dava era quella del capitolo quarto del Vangelo di Giovanni: “la preghiera in spirito e verità” Secondo il linguaggio giovanneo verità significa: Dio Padre che si rivela in Cristo. Ecco qui il nocciolo di ciò che caratterizza la preghiera cristiana, di ciò che la distingue dalla preghiera, anche se altissima, di altre religioni. Possiamo imparare moltissimo dalle preghiere di tutte le religioni, possiamo ricavare tante cose su questa elevazione dell’uomo verso Dio, ma lo specifico della preghiera cristiana è dono diretto di Dio, che ci manda lo Spirito, che ci dona di pregare nella verità, cioè nella rivelazione che il Padre fa di se stesso in Gesù.

è ciò che la liturgia attua quando, a conclusione di ogni preghiera, pronuncia la formula: “per Cristo nostro Signore, in unità con lo Spirito Santo”

Questa è la preghiera a cui educare.

Non avremmo davvero educato alla preghiera se soltanto ci fossimo limitati a suscitare sentimenti di lode, {p19 di ammirazione, di riconoscenza, di domanda e se non avessimo inserito questa realtà nel ritmo dello Spirito che prega in noi.

La domanda: “Come aiutare a pregare?”, diventa ora più specifica: “Come aiutare a scoprire dentro di noi i movimenti dello Spirito che ci conduce? Come aiutare a sentire, a discernere i movimenti dello Spirito di Cristo che è dentro di noi, lo Spirito che è il grande promotore di ogni nostro pregare?”

Vengo a qualche indicazione più specifica; sono semplici suggerimenti che ciascuno potrà confrontare con la propria esperienza e poi suggerirne altri più adatti. Le indicazioni che vi offro riguardano tre atteggiamenti: la {vsituazione{v della preghiera, come situazione preliminare; l'{vingresso{v nella preghiera, come momento di entrata nella preghiera; il {vritmo{v della preghiera, come ritmo di permanenza nella preghiera.

SITUAZIONE di preghiera

E’ importante partire da questo fatto: ciascuno di noi ha una propria, irripetibile situazione di preghiera; irripetibile non soltanto perché è “mia” come persona diversa da un’altra, ma anche perché è “mia” in questo momento e quindi è anche irripetibile nel tempo (anche se ciascuno ha certamente dei moduli di preghiera che gli sono particolarmente propri)

La domanda si specifica così: “Come riconoscere la mia situazione; il mio stato personale di preghiera? Come farlo emergere?” Propongo prima di tutto osservazioni di carattere negativo: chiediamoci che cosa non è questo stato, questa situazione di preghiera.

Non è uno stato indotto dalla preghiera altrui, né da modelli di preghiera diversi, né da libri sulla preghiera. Benché tutte queste cose siano ottime (i libri, le preghiere altrui che noi impariamo e ripetiamo, i libri di Santi che ci offrono le loro esperienze), la difficoltà di questi strumenti è che essi possono entusiasmare, ma solo per un momento. Leggiamo delle pagine meravigliose di santa Teresa d’Avila, o di san Giovanni della Croce, sulla preghiera e allora sentiamo il bisogno di inserirci in questo ritmo, di entrare in consonanza con queste esperienze; per uno, due, tre giorni, una settimana ci pare di vivere di queste illuminazioni. Qualche pagina meravigliosa di sant’Agostino, tratta dalle Confessioni, qualche pagina splendida di Madeleine Delbrêl: sono preghiere che possono suscitare in noi una certa consonanza affettiva, emotiva. Questo è molto {p21 buono, è parte dell’educazione, ma non porta ancora alla scoperta del nostro stato di preghiera; può anzi essere illusorio, può farci credere di aver già raggiunto chissà quali capacità e modi di pregare.

Svanito poi l’effetto di questa lettura, di questa parola ascoltata, di questa preghiera altrui ripetuta, ci ritroviamo con la nostra povertà e la nostra aridità.

Dunque, anche se modelli, indicazioni, esperienze altrui, non sono strumenti sufficienti e molto utili per farci riconoscere qual è il nostro stato attuale di preghiera. Come trovare allora, dal punto di vista positivo, il nostro stato di preghiera, il nostro punto di partenza? Offro tre brevissime indicazioni: il mio stato di preghiera è: a) una posizione del corpo b) un’invocazione del cuore c) una pagina della Scrittura nella quale mi posso specchiare.

a) il mio stato di preghiera è una posizione del corpo.

Quanto dico ha un po carattere ideale, è difficile da praticare, ma può costituire un punto di riferimento.

Dovremmo fare questa esperienza: lasciarci andare un momento e, così rilassati, domandarsi: se ora dovessi esprimere veramente ciò che sento e ciò che desidero nel più profondo, quale atteggiamento assumerei come espressione mia di preghiera? Dovremmo poi vedere se qualche atteggiamento si forma in noi: può essere l’atteggiamento dell’orante, con le braccia alzate o le mani giunte in invocazione; può essere l’atteggiamento della preghiera come usano gli orientali che si buttano con la faccia a terra, o come Gesù nell’orto, in ginocchio con la faccia a terra; può essere l’atteggiamento delle mani in accoglienza, di chi guarda lontano e aspetta, come il padre aspetta il ritorno del figliol prodigo, o l’atteggiamento di chi attende qualcosa o di chi domanda.{p22 Sembrano cose semplici, potrebbe forse sembrare ridicolo metterle in pubblico, ma noi ci esprimiamo così, ci esprimiamo anche con i gesti. E quando nel silenzio, come dice Gesù in Matteo, chiusa la porta della camera, preghiamo il Padre nel segreto (Mt 6,#6), lasciamoci qualche volta liberi di esprimerci: potremo cadere in ginocchio con la fronte a terra, o alzare spontaneamente le mani, o aprirle in atteggiamento di colui che sta per ricevere, oppure possiamo metterci in atteggiamento di sottomissione. $è importante che proprio attraverso l’esperienza del nostro corpo noi mettiamo a nudo la profondità dei nostri desideri.

b) il mio stato di preghiera è un grido del cuore.

Evangelista-Luca.jpgProviamo a chiederci: se dovessi in questo momento gridare, esprimere con una invocazione ciò che chiedo a Dio di più profondo, ciò che maggiormente mi sta a cuore, come lo esprimerei? Lasciamo che venga liberamente alla luce ciò che in quel momento ci qualifica: potrebbe essere l’invocazione: “Signore, abbi pietà di me”, oppure: “Signore, non ne posso più!”; “Signore, ti lodo”; “Signore, ti ringrazio”; “Signore, vieni in mio soccorso”; “Signore, sono sfinito”

Anche Gesù in un preciso momento della sua vita ha esclamato: “L’anima mia è triste fino alla morte” e “Ti ringrazio, Padre, perché mi esaudisci sempre”

Cerchiamo tra queste invocazioni del cuore quella che maggiormente risponde a ciò che sentiamo, quella che può essere il punto di partenza della nostra preghiera, quella che qualifica la situazione che stiamo vivendo. Questa invocazione potrà evidentemente essere arricchita con preghiere altrui, approfondita con l’aiuto di altri che hanno pregato prima di me e forse meglio di me. Questa invocazione può sembrare una realtà povera, semplicissima, è un filo d’erba, magari un filo d’erba piccolissimo in confronto agli alberi giganteschi {p23 della preghiera dei Santi; però il mio filo d’erba, è ciò che io metto davanti a Dio come mia semplicissima preghiera.

Gesù ha richiamato la parola di quel pubblicano nel tempio: “Signore, abbi pietà di me peccatore” Ecco, quest’uomo che aveva trovato autenticamente il suo stato di preghiera tornò giustificato: con una sola espressione aveva messo a nudo completamente se stesso. Era dunque un grido del cuore.

c) il mio stato di preghiera è una pagina della Scrittura in cui mi posso specchiare.

Poniamoci la domanda: se io dovessi esprimere maggiormente ciò che sento, desidero, temo, ciò che chiedo a Dio, ciò che vorrei chiedergli, se dovessi esprimere la mia situazione davanti a lui, in quale personaggio, in quale figura, in quale scena del Vangelo mi metterei? Potrei mettermi là dove Pietro, sul lago, dopo aver mostrato l’atto di coraggio di buttarsi in acqua dice: “Signore, non ce la faccio” Potrei mettermi tra gli Apostoli, che di fronte alla gente che domanda il pane dicono: “Signore, dove andremo, come facciamo?” Oppure, potrei riconoscermi e specchiarmi in qualunque altra scena del Vangelo o nelle parole di un salmo che esprima veramente il mio stato d’animo.

E’ estremamente importante verificare, ed anche educare altri a trovare questi punti di partenza, perché su questo si può lavorare. Da qui si possono sviluppare le attitudini di preghiera ed un atteggiamento autentico di dialogo con Dio, un dialogo che non parte da realtà indotte artificialmente, ma dalla verità della persona.

Ingresso nella preghiera

Forse questo è uno dei casi in cui sbagliamo più facilmente. Spesso crediamo che sia importante cominciare a pregare in un modo qualsiasi, magari con un segno di croce; così la gente… si mette un po in ordine. Questo è un modo sbagliato di entrare nell’esperienza del dialogo con Dio, perché vuol dire buttarsi imprudentemente nell’avventura della preghiera, senza essersi prima preparati.

$è forse questa una delle cause per cui la preghiera ci riesce più difficile: non abbiamo premesso un’entrata, un ingresso. Come nelle nostre chiese c’è un pronao, un momento di distacco, così in ogni nostra preghiera, soprattutto prolungata, è necessario premettere un momento particolare, un momento di silenzio assoluto.

Dobbiamo aiutare anche i ragazzi a fare un istante di assoluto silenzio dal quale poi partire per entrare nella preghiera. Direi però che c’è qualcosa in più: chiamerei questo momento d’ingresso quasi una forma di azzeramento; il mettere a zero la nostra fantasia, il nostro stesso essere, come si mette a zero un contachilometri.

Cosa significa? $è a mio avviso estremamente importante incominciare a pregare non soltanto con un momento di silenzio, di pausa, di respiro, ma con il chiaro riconoscimento che non siamo capaci di pregare: “Signore, sei Tu che preghi in me. Non so da che parte cominciare: è il tuo Spirito che mi guiderà”.

$è necessario togliere dal dialogo con Dio ogni presunzione, {p25 tutto ciò che crediamo di aver imparato e di possedere. Dobbiamo entrare nella preghiera come poveri, non come possidenti. Ogni volta che ci presentiamo davanti a Dio ci presentiamo come assolutamente poveri; credo che tutte le volte che non lo facciamo la nostra preghiera ne soffre, diventa più pesante, è carica di cose che la disturbano.

$è necessario entrare davanti a Dio veramente in stato di povertà, di spogliazione, di assenza di pretese: “Signore, non sono capace di pregare, e se tu permetterai che io stia davanti a te in uno stato di aridità, di attesa, ebbene benedirò questa attesa, perché tu sei troppo grande perché io ti possa comprendere. Tu sei l’Immenso, l’Infinito, l’Eterno, come posso io parlare con te?”. $è questo lo stato che emerge da molti salmi, modelli autentici di preghiera, che devono poi farsi interiorità.

Incominciamo dunque la preghiera con questo azzeramento di noi stessi che può esprimersi in forme esteriori: un momento di silenzio, di adorazione in ginocchio, un momento di riverenza, di rispetto esteriore che manifesta il nostro entrare in questa situazione, consci di non aver niente da portare, ma tutto da ricevere.

Entro in un dialogo nel quale la parola arricchisce me, povero. Entro quindi come malato che ha bisogno del medico, come un peccatore che ha bisogno di essere giustificato, come un povero che ha bisogno di essere arricchito: “Ha rimandato i ricchi a mani vuote, ha rovesciato i potenti dai troni” (anche i potenti che credono di saper pregare o di aver acquistato questa capacità).

Ci rimettiamo ogni volta nella situazione battesimale del cieco che supplica: “Signore, che io veda”, che io possa comprendere, che possa pronunciare le parole che lo Spirito mi suggerisce.

CARLO MARIA MARTINI. PREGHIERA CON L’EVANGELISTA LUCA. SECONDA PARTE.ultima modifica: 2013-06-05T22:07:00+02:00da meneziade
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