CARLO MARIA MARTINI. PREGHIERA CON L’EVANGELISTA LUCA. QUINTA PARTE.

 

5 La preghiera di Gesù_sulla Croce

San_Luca_X.jpgLc 22,#33-49 Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno alla destra e l’altro alla sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”.

Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte.

Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto” Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!” Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male” E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso”

Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò.

Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: “Veramente quest’uomo era giusto” Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti. Secondo il Vangelo di Luca l’ultima parola di Gesù nella sua vita è una preghiera. Gesù muore pregando: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”.

$è una preghiera che lui sa a memoria. Nel momento drammatico che sta vivendo, non c’è evidentemente né tempo né modo di comporre preghiere; erompono dal cuore quelle che gli sono più familiari, che gli stanno dentro come un grido.

Quelle parole sono di un salmo: “In te Signore mi sono rifugiato, mai sarò deluso. Per la tua giustizia salvami”. E poi: “Mi affido alle tue mani, tu mi riscatti, Signore Dio fedele” (Sal 30,#2.#6).

Preghiera biblica I versetti del salmo che Gesù lascia emergere dal fondo del cuore e dalla memoria, sono stati composti molti secoli prima di lui. Avrebbe potuto considerarli come preghiere lontane, scritte da uomini di un mondo diverso, di una mentalità e di una cultura diversa, eppure, quel salmo così antico, sulle labbra di Gesù diventa la sua preghiera, si identifica con la sua esperienza. $è come se lo pronunciasse in quel momento perché è diventato espressivo della sua realtà. Di fronte alla morte le parole più vere che Gesù sente il bisogno di pronunciare, sono parole della Bibbia.

Anche noi abbiamo cercato di imparare, durante il nostro “itinerario”, a leggere noi stessi in quelle preghiere antiche, pronunciate da altri molti secoli fa; a leggere la nostra esperienza e a vedere come attraverso di esse ci sentivamo capiti e interpretati. Abbiamo cercato di imparare che sono le parole giuste perché dicono ciò che di più vero avevamo o abbiamo dentro. Dovremmo conservare come ricordo permanente che le preghiere bibliche sono scritte anche per noi. Pregando con quelle parole scritte tanti secoli fa, troviamo il modo di esprimerci più autenticamente, sperimentiamo  che Dio ce le ha messe dentro per poterci manifestare davanti a lui e davanti agli uomini, perché con quelle parole diciamo ciò che in altro modo non riusciremmo a spiegare né a noi né agli altri.

Gesù che prega nel momento supremo della sua vita ci insegna ad affidarci, con la sua stessa preghiera, alla Parola di Dio.

Solitudine nella testimonianza Il salmo che Gesù proclama è una parola di fiducia totale. Gesù “rende” se stesso a Dio, compie un atto di abbandono pieno al Padre.

Quella che sta vivendo non è soltanto una situazione drammatica: è la situazione limite della morte. $è una morte in totale, perfetta, amarissima solitudine. Il Vangelo ha cura di farci notare che nessuno intorno l’ha capito e il racconto che introduce a questa ultima parola di Gesù sottolinea fortemente che viene abbandonato da tutti. Le persone che avrebbero potuto capirlo, che avevano motivi per essergli almeno vicino, non lo sono. Il popolo sta a vedere, i capi lo scherniscono, i soldati lo beffeggiano, persino uno dei malfattori appesi alla croce lo insulta. $è drammatico vedere come queste persone (i capi, i soldati, i malfattori) rappresentano categorie che la pensano in maniera diversissima gli uni dagli altri, categorie nemiche tra loro, eppure nessuna di esse è con Gesù.

Tutto sembra dirgli che è una morte assurda, che non serve a niente, è un gesto sbagliato e per questo nessuno lo sostiene. La solitudine che sperimenta non è soltanto quella di non essere capito, ma è la solitudine di essere deriso, schernito in ciò che gli sta più a cuore: la salvezza. Il ritornello di chi gli sta vicino e lo insulta è sempre uguale: “Salva te stesso”, “salvi se stesso”.

Questa parola-chiave, ripetuta tre volte, è proprio la parola-chiave di tutta la predicazione e la missione di Gesù: è la parola che Luca ha addirittura preso come spunto di riferimento di tutto il suo Vangelo. Luca presenta Gesù che comincia il suo ministero pubblico a Nazaret nel capitolo quarto, pronunciando – con una citazione della Scrittura, – la parola di salvezza: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. Con questo annuncio della salvezza, si inaugura la missione di Gesù.

San Luca.jpgE l’evangelista chiude il suo secondo libro – gli Atti degli Apostoli – quasi a sigillo di tutto ciò che ha raccontato, ancora con la parola “salvezza” “. La salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani…” (At 28,#28).

$è questa parola di salvezza che viene messa in questione proprio nel momento culminante, quando Gesù sta per morire. La gente gli dice: “Se veramente sei capace a salvare, comincia a salvare te stesso. Come puoi dare salvezza, se non sai dare salvezza a te stesso?”.

L’argomento sembra evidente e irrefragabile: se Gesù non sa salvarsi non sarà neanche credibile. Gesù è solo ed è attaccato proprio nel cuore della sua missione: portare salvezza. Gli viene chiesto di usare del potere che dice di avere, di usarlo a suo favore. Se lo userà per scendere dalla croce crederanno che è il Messia.

Ma Gesù non usa di questo potere. Se lo usasse, infatti, si farebbe garante di un Dio pagano, di un Dio detentore di potere e distributore di potere per accrescere il potere di ciascuno, di un Dio che si serve del potere a proprio vantaggio e lo distribuisce perché ciascuno se ne serva a proprio vantaggio. Se scenderà dalla croce gli crederanno, ma crederanno a un Dio che fa comodo, ad un’immagine sbagliata di Dio.

Abbandono all’amore del Padre Gesù sceglie di non scendere dalla croce. $è vero che in questo modo morirà solo e abbandonato, avrà però testimoniato il Dio che dà la vita, il Dio a servizio dell’uomo. Avrà testimoniato il Dio che è Amore.

Ed ecco, in questo sfondo, il significato dell’ultima parola di Gesù. Si è trovato di fronte alla contestazione massima, definitiva, quella che riguarda la sua missione alla quale vuole essere fedele fino in fondo. In questa solitudine che esteriormente appare fallimento totale, Gesù reagisce esclamando: “Nelle tue mani, Padre, affido la mia vita”. Così testimonia il Dio del Vangelo, il Dio della fede, il Dio a cui ci si affida a occhi chiusi, il Dio nel quale siamo invitati noi stessi a deporre la nostra vita, il nostro passato, il nostro presente e il nostro avvenire.

Fede e preghiera La domanda fondamentale che emerge da questa scena e da questa parola di Gesù è: a quale Dio credo? Al Dio da cui posso sperare un certo successo, una certa alleanza di cui mi posso servire a mio vantaggio? Oppure credo al Dio che dà la vita se affido a lui tutto me stesso, il mio progetto di vita e il mio futuro? Credo al Dio che mi saprà ridare la vita al centuplo, anche se l’evidenza sarà la morte perché la certezza è la vita col Risorto? Gesù l’ha detto nel Vangelo: chi perde la propria vita la troverà, ma chi invece vuol trovare la propria vita, vuol tenerla chiusa in se stesso, non si affida, la perderà. C’è una seconda domanda: la mia preghiera è la preghiera dell’esigenza? Oppure è la preghiera dell’affidamento? Quando il Signore ci guida verso il culmine della preghiera che è preghiera di affidamento, di consegna della nostra vita nelle sue mani, allora abbiamo raggiunto l’atteggiamento fondamentale, primario e sorgivo dell’esistenza perché l’esistenza dell’uomo è affidarsi e sapersi fidare. Il bene che si fa nel mondo viene dal fatto che qualcuno va oltre il calcolo, oltre la misura, oltre la pura razionalità.

L’atteggiamento di morte, invece, è quello di un mondo che ha paura del futuro, che ha paura di dare la vita: e allora scende inesorabilmente verso un gusto progressivo di morte, verso un intristirsi di tutte le espressioni dell’esistenza. Così si spiegano tanti fatti che succedono intorno a noi, in una civiltà che ha perso il gusto di rischiare, di giocarsi nel futuro di Dio, di mettersi nelle mani del Padre.

Gesù si affida: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito” La sua preghiera esprime quell’abbandono filiale nel quale noi ritroviamo la verità di noi stessi, e di cui non siamo capaci. Ne siamo capaci, a volte, nella nostra fantasia, ma quando siamo di fronte ad una realtà che chiede di fare davvero un salto, allora vediamo come la preghiera di Gesù è lontana da noi, rappresenta un ideale che non riusciamo a realizzare.

Preghiamo: “Signore, non sono capace a dire quella parola di affidamento di Gesù: dilla tu in me. Tu, Signore Gesù, che vivi in me con la pienezza del tuo Spirito, pronuncia in me quella preghiera, mettila nel mio cuore. Fà che io sappia riconsiderare tutta la mia vita alla luce di questa preghiera, che sappia riconsiderare le mie attività, le cose per le quali sono chiamato, l’avvenire, la mia stessa scelta di vocazione e di impegno. Di fronte alla tua croce, o Signore, e alla potenza della tua risurrezione sono sempre tanto povero, tanto mancante. Ti chiedo di imprimere nel mio cuore il tuo abbandono supremo perché in esso hai davvero manifestato Dio. Tu, o Signore, non ci hai voluto ingannare, non hai voluto scendere dalla croce e con la tua preghiera è incominciato a sorgere intorno a te il Regno del Padre. Il centurione ha glorificato Dio, le folle sono tornate percuotendosi il petto, convinte di trovarsi di fronte a qualcosa di straordinario, ad una realtà sconosciuta e nuova. Prima ancora di manifestarti nella gloria della risurrezione, ti sei manifestato mettendo nelle mani del Padre la tua vita.

Aiutaci a capire che una esistenza evangelica nella quale si manifesta l’abbandono al Padre, è già presenza del Regno, è già manifestazione della vera potenza di Dio, non della potenza per proprio uso e strapotere, ma di quella di Dio che ci mette a servizio”

Dalla preghiera passiamo così al servizio e al dono di noi stessi perché queste preghiere sono atteggiamenti di vita, esperienza fondamentale di conversione cristiana.

CARLO MARIA MARTINI. PREGHIERA CON L’EVANGELISTA LUCA. QUINTA PARTE.ultima modifica: 2013-06-15T22:39:00+02:00da meneziade
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