CARLO MARIA MARTINI. PREGHIERA CON L’EVANGELISTA LUCA. SESTA PARTE.

 

6 La preghiera del cristiano

San Luca.jpgLc 11,#1-4 Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli” Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore, e non ci indurre in tentazione” La preghiera che il Vangelo di Luca inquadra nell’occasione storica in cui Gesù la insegna è a tutti molto nota.

Eppure ogni volta che si riprende in mano questo brano ci si trova disarmati e smarriti come di fronte a qualcosa che non conosciamo ancora.

Chiediamo allora al Signore: “Tu che hai insegnato ai discepoli a pregare dopo aver pregato tu stesso, insegna anche a noi, questa sera, a pregare con te, a pregare in te, insegna a ciascuno di noi a vivere in preghiera le parole che tu metti sulle nostre labbra”

La scoperta del Padre Questa storia nasce da un primo apprendimento mnemonico e confuso. L’abbiamo ricevuta quando eravamo bambini, con tutta quella carica di amore con cui ci è stata insegnata. Anche se non capivamo le parole, le ripetevamo a memoria, sapendo di raggiungere il contenuto di coloro che ce le trasmettevano: i genitori, gli educatori, il sacerdote. Chi ci ha insegnato a pregare ci ha insegnato non soltanto delle parole ma ci ha trasmesso una esperienza vissuta. Accogliendola come segno di comunione con chi ha pregato prima di noi, ci siamo così inseriti nell’immenso fiume della preghiera che parte da Gesù stesso e, attraverso gli apostoli, corre lungo i secoli e arriva fino ad oggi.

Dopo gli anni dell’infanzia c’è stato forse un momento di scoperta: per me è stata la scoperta della parola: “Padre” Dio chiamato Padre, Dio Padre come nuovo orizzonte della vita, Dio realmente nostro Padre.

L’adolescente coglie volentieri l’aspetto di questa preghiera che lo mette in un rapporto affettivo col mistero dell’infinita, profondissima e rassicurante paternità di Dio.

Con la scoperta della paternità di Dio si giunge gradualmente a comprendere il Padre nostro come la preghiera del Regno, come il “progetto di Dio su di noi” Si intuisce cosa vuol dire “venga il tuo Regno”, a quali orizzonti mentali, a quali figure del futuro esso ci metta in relazione. Ci doniamo con tutto l’entusiasmo per questo Regno, facendo nostro il progetto di Dio. Questa è la scoperta del giovane: che il Padre nostro è la preghiera del discepolo del Regno, di colui che vuole soprattutto il Regno della giustizia, della verità, della perfetta fraternità.

C’è un’ulteriore tappa, o almeno c’è stata per molti di noi: la tappa dell’adulto. La preghiera del Regno diviene la preghiera del povero, di colui che nel Regno arranca, fa fatica ed ha bisogno del pane, del sostentamento quotidiano, ha bisogno del perdono, della forza nelle difficoltà. L’adulto cerca il Regno del Padre a partire dalla propria fragilità riconosciuta.

Abbiamo così tratteggiato molto schematicamente quella che può essere la storia del Padre nostro in noi, della nostra integrazione in questa preghiera. Alcuni degli aspetti descritti non sono forse ancora divenuti per molti esperienza di vita: restano soltanto parole. Per questo è utile fare un primo momento di riflessione.

s.luca.evangelista.jpgInsegnaci a pregare Il preambolo del Padre nostro è un fatto che suscita una domanda. Gesù prega e i discepoli gli chiedono: insegnaci a pregare.

Gesù prega per renderci capaci di farlo. Noi oggi possiamo pregare perché lui ha pregato, e impariamo a pregare inserendoci nella sua preghiera.

Gesù pregava e la sua preghiera doveva essere di una qualità, anche esteriormente e visibilmente, molto intensa. Dal testo si capisce che i discepoli non hanno osato interromperlo; “quando ebbe finito”, i discepoli che erano attoniti, stupiti, timorosi, affascinati dal modo con cui pregava, gli si avvicinano. Il testo greco ci farebbe quasi tradurre: “durante una pausa”. Gesù, nell’intensità della preghiera si concede una pausa e allora i discepoli gli pongono la domanda. Questa domanda è importante come preambolo per la preghiera: per imparare a pregare bisogna volerlo e bisogna chiederlo.

“Noi non sappiamo pregare”, dice S. Paolo, e dobbiamo perciò dire: Signore insegnaci! Luca, nel suo Vangelo, ci mostra che i discepoli fanno questa domanda piuttosto tardi: siamo al capitolo undicesimo e ormai avanti nella descrizione della vita di Gesù. In precedenza, Gesù ha già pregato: durante la scena del battesimo (Lc 3), quando molta gente andava da lui per essere guarita e lui si allontanava nei deserti per pregare (Lc 5,#16). L’evangelista suppone che i discepoli sono già stati colpiti da questo ritirarsi, quasi violento, di Gesù dalla gente che si accalca intorno a lui, per mettersi in preghiera. Anche al capitolo sesto, prima di scegliere i discepoli, Gesù prega sulla montagna tutta la notte.

Come mai, allora, Luca mette solo qui la domanda? Certamente perché a questo punto l’evangelista presenta il quadro della formazione interiore del discepolo per cui si inserisce bene l’istruzione sulla preghiera. Forse, però, vuole mettere anche in rilievo che la domanda nasce quanto più i discepoli vedono Gesù pregare.

Analogamente, nella chiesa, la domanda sulla preghiera nasce quando vediamo altri pregare, quando pregando insieme ci accorgiamo che c’è intorno a noi una qualità inspiegabile di preghiera che ci affascina e che desideriamo per noi. Il desiderio è il preambolo della preghiera: esso nasce spesso dall’esempio e porta alla domanda.

Parole sintesi Il testo ha in sé qualcosa di paradossale. Da una parte contiene parole elementari: il nome, il Regno, sia santificato, venga, il pane, i peccati, la tentazione, e alcune di esse sono parole chiave del Nuovo Testamento. D’altra parte, pur sembrando tanto semplici, non sono affatto facili da spiegare.

Gli esegeti hanno discusso per secoli, che cosa significhi la parola epiousion che è un attributo del pane. $è un termine che non ricorre altrove nel Nuovo Testamento ed è rarissimo nella letteratura greca. Nessuno sa, fino ad oggi, cosa vuol dire precisamente: viene tradotto “quotidiano”, “di oggi”, “di domani”, “sostanziale”. Forse il senso più ovvio è “quotidiano”, ma non abbiamo la certezza filologica che sia la sola traduzione possibile.

Così pure: “santificato il tuo nome” è un’espressione molto strana; “non ci indurre in tentazione” è una parola talmente densa da produrre difficoltà se la esaminiamo nella sua brevità, per cui deve essere spiegata a lungo.

Il Padre nostro è quindi una preghiera fatta di parole elementari, ma allusive a tutta la realtà del Regno di Dio. Sono un compendio del Vangelo, sono parole che “scoppiano” perché contengono una sintesi dell’insegnamento di Gesù. La spiegazione letterale dei singoli termini, uno ad uno, ci porterebbe a rileggere buona parte del Vangelo.

Atmosfera di preghiera $è un primo momento della preghiera. Dire “Padre” non significa fare uno sforzo di immaginazione o avere una certa idea di Dio; significa più semplicemente entrare nel modo di pregare di Gesù.

Tutte le sue preghiere tramandate nel Vangelo cominciano così: “Padre” “Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra” (Mt 11,#25); “Padre tutto ti è possibile, se vuoi passi da me questo calice” (Mc 14,#36) Le due preghiere sulla croce riportate da Luca: “Padre perdona loro”, “Padre nelle tue mani affido il mio spirito” (Lc 23,#34.#46).

Nel Vangelo di Giovanni al capitolo undici: “Padre ti ringrazio perché mi esaudisci sempre”, e al capitolo dodici: “Padre preservami da quest’ora, salvami da quest’ora”, “Padre glorifica il tuo nome” Sempre in Giovanni la preghiera cosiddetta sacerdotale: “Padre hai manifestato il tuo nome… glorifica il tuo nome… conserva Padre nel tuo nome quelli che mi hai dato” (cfr. Gv 17).

CARLO MARIA MARTINI.jpgSe ogni preghiera di Gesù che ci è stata tramandata comincia con l’invocazione: “Padre”, vuol dire che questo è il primo grado, l’atmosfera della preghiera, è l’orizzonte nel quale la preghiera si compie. E questo orizzonte che è il suo, Gesù lo mette nel nostro cuore, ce lo comunica, ci invita a entrare nel suo modo di pregare. Idealmente, ogni domanda del Padre nostro dovrebbe essere preceduta dall’invocazione: Padre, “sia santificato il tuo nome”; Padre, “venga il Regno tuo”; Padre, “dà a noi il pane”; Padre, “rimetti i nostri peccati”. Con questa invocazione fondamentale troviamo il tono vero, l’atteggiamento giusto di disponibilità, di fiducia, di abbandono, di certezza di essere ascoltati, di sicurezza, di superamento delle paure, di chiarezza di rapporto.

Desiderio del Regno Un secondo momento della preghiera sono le espressioni di auspicio: “Sia santificato il tuo Nome”, “Venga il tuo Regno”

Mi fermo soprattutto sulla seconda: la preghiera per la realizzazione piena del disegno divino. Chiedendo la venuta del Regno esprimiamo l’augurio, il desiderio, l’ansia per la manifestazione di quella realtà che indichiamo col nome di Regno. Realtà che può essere espressa in mille modi e che noi, pregando, assumiamo tutti insieme senza volerli specificare: la giustizia, la fraternità, il trionfo della vita, la sconfitta della morte, la situazione dove non ci saranno più lacrime, la capacità di conoscerci e di amarci fino in fondo, la pienezza del Corpo di Cristo realizzata nella chiesa, l’unità vera degli uomini. Con questa espressione noi anticipiamo, desideriamo e attendiamo il progetto di Dio nella storia.

Il Regno “tuo” Non il Regno che io mi immagino, ma quello che tu ci prepari, ci doni, ci metti nelle mani, ci dai di realizzare giorno per giorno. $è il progetto tuo e ha quelle caratteristiche di pienezza, assolutezza, verità, purità, chiarezza, luminosità, che possono essere tue soltanto.

Noi le intuiamo quando cerchiamo di realizzarle perché questo Regno si concretizza nella figura del nostro progetto umano, nella nostra figura di chiesa, di società, di rapporti umani vissuti nella pienezza evangelica, nella nostra figura di costruzione del mondo nuovo. Ma è il tuo: noi lo accettiamo da te e tu ce lo riveli sempre più grande, sempre più largo dei nostri desideri, sempre più elevato delle nostre richieste.

In questa dinamica – tra il Regno come progetto che noi costruiamo giorno per giorno, e il Regno che Dio ci dà e che è più grande del nostro progetto – la nostra preghiera ci rende attivi. Ci fa disponibili, pronti all’eventuale conflitto che si potesse determinare tra il Regno come lo vediamo noi e il Regno come Dio ce lo dona nella sua infinita e misteriosa sapienza. $è il conflitto che si è realizzato, per esempio, nella preghiera di Gesù nel giardino degli ulivi: “Padre non la mia, ma la tua volontà si compia”, venga non il mio Regno, ma il tuo. Questa espressione del Padre nostro ci forma, quindi, allo spirito battesimale: con essa entriamo nella realtà vissuta del nostro Battesimo.

Tre domande

Le domande sono il terzo momento della preghiera. Che cosa occorre perché “venga il Regno”, perché il progetto di Dio si realizzi? Di che cosa abbiamo bisogno perché questa realizzazione sia efficace e possibile? Se avessimo dovuto comporre noi il Padre nostro avremmo certamente scritto una lunga lista di condizioni esterne e interne. Gesù si limita, nella preghiera riportata da Luca, a menzionarne tre.

Abbiamo bisogno, perché il Regno si realizzi, di perseverare nell’oggi, attraverso il pane quotidiano.

Abbiamo bisogno di molta misericordia e di perdono reciproco, attraverso la capacità di accoglierci, e attraverso il perdono che Dio dà alle nostre continue cadute e incapacità nella realizzazione del Regno.

Abbiamo bisogno del sostegno di Dio per non cedere alla tentazione quando viene la prova e il Regno sembra oscurarsi intorno a noi.

Nella prima parte del Padre nostro eravamo descritti come desiderosi progettatori o anticipatori del Regno; nella seconda parte siamo descritti come poveri pellegrini del Regno.

La verità del nostro cuore

S.LUCA EVANG..jpgOra possiamo paragonare i tre momenti della preghiera con ciò che abbiamo nel cuore.

Abbiamo nel cuore, come parola fondamentale rivolta a Dio, l’appellativo di Padre e lo ripetiamo con fiducia, con abbadono, con tenerezza.

Abbiamo nel cuore, come desiderio fondamentale, la pienezza del progetto di Dio a cui la nostra vita è chiamata a dedicarsi, attraverso il Battesimo e la presenza in tutte le realtà di questo mondo, in ogni forma di servizio ai fratelli, alla chiesa e alla società.

Abbiamo nel cuore un umile sentire di noi che ci fa domandare cose essenziali e adatte alla nostra debolezza.

Uniamoci a tutti i fratelli che, insieme con noi, soffrono particolarmente questa debolezza e povertà sulla via del Regno. Penso a coloro che sono vittime di violenza o di sequestro, a coloro che hanno una vita faticosa, quasi al limite dell’intollerabile, ai tanti fratelli e sorelle gravemente malati. Al bisogno che hanno del pane quotidiano della speranza, di quel respiro di forza che permette di vivere la giornata accogliendola.

Ci sono poi i fratelli che mancano di questa prospettiva del Regno, che non credono a un progetto di Dio nella loro vita e perciò non hanno futuro, non sanno dove dirigersi, non hanno niente che li attragga o che li spinga a impegnarsi per un domani migliore.

Preghiamo con tutti, soprattutto con coloro che incontriamo ogni giorno e che vorremmo fare entrare nel nostro desiderio e, attraverso l’invocazione del Padre, renderli partecipi di questa preghiera e del senso della paternità di Dio che Gesù ci dona di vivere.

7 La preghiera della comunità

At 4,#23-31 Appena rimessi in libertà, andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto i sommi sacerdoti e gli anziani. All’udire ciò, tutti insieme levarono la loro voce a Dio dicendo: “Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, tu che per mezzo dello Spirito Santo dicesti per bocca del nostro padre, il tuo servo Davide: Perché si agitarono le genti e i popoli tramarono cose vane? Si sollevarono i re della terra e i principi si radunarono insieme, contro il Signore e contro il suo Cristo; davvero in questa città si radunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli d’Israele, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse. Ed ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunziare con tutta franchezza la tua parola. Stendi la mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù”. $è una preghiera che la comunità cristiana esprime in una circostanza particolare: nel momento della prova. La comunità si trova, per la prima volta, di fronte ad una potenza avversa che vuole soffocare la libertà della Parola di Dio.

La Parola incatenata

Storicamente, gli Atti degli Apostoli riferiscono che Pietro e Giovanni sono portati davanti al tribunale, interrogati, minacciati e viene loro intimato di non parlare più nel nome del Signore. Pietro e Giovanni ritornano nella comunità ed è a questo punto che ha luogo la preghiera. Ecco perché ho detto che è una preghiera nata in un momento di opposizione e di persecuzione. Non è ancora una situazione nella quale viene fatto del male agli apostoli, nella quale vengono assaliti o torturati: è già però una situazione tipica di contrasto. Anzi è la tipica situazione persecutoria che riguarda la libertà della Parola di Dio. La preghiera non ha come occasione il male inflitto ai credenti in quanto tali, ma il fatto della Parola incatenata, impedita dalla forza, soffocata dalla minaccia.

La risposta della comunità

Cosa fa la comunità di fronte a questa minaccia? Avrebbe potuto fare tante cose: incontri, consultazioni, analisi, piani di azione, strategie, distinzioni fra intransigenti e moderati, ecc… Forse le avranno anche fatte, ma gli Atti degli Apostoli non ce ne parlano: volendoci presentare un modello di comunità nei suoi elementi essenziali, ci dicono che la comunità – messa di fronte alla prova – prega.

Questo ci deve far riflettere. La preghiera appare qui come l’espressione privilegiata della comunità, il suo modo proprio di mettersi di fronte a situazioni difficili.

Quando dunque una comunità, in un momento duro e responsabile della sua vita, si mette insieme a pregare, compie il primo atto con il quale afferma se stessa, ritrova la propria identità, si pone nella situazione giusta, al di là e prima di tutti gli altri modi di agire o di reagire.

Risposta personale

Questa riflessione pone a ciascuno di noi una domanda: “dove mi sento più a mio agio nella comunità, quali sono i momenti in cui mi sento maggiormente ciò che sono?”

La mia personale risposta è che, come Vescovo, mi sento perfettamente a mio agio con una comunità che prega, che ascolta la Parola e che di conseguenza serve, si mette in servizio. Chi nella comunità vive questa esperienza, coglie di essere là dove Dio ci ha posti come chiesa, cioè comunità convocata dalla Parola e in atto di risposta alla Parola.

Preghiera d’intelligenza Messi di fronte a problemi che minacciano il loro futuro (perché dalla decisione delle autorità potrebbe derivare lo scioglimento e la fine dell’esperienza cristiana) i primi cristiani ritrovano la loro compattezza di preghiera.

Che cosa chiede a Dio la comunità che gli Atti degli Apostoli ci mettono davanti come modello per tutte le chiese? Innanzitutto non chiede protezione, non chiede neppure la cessazione delle difficoltà, non chiede vendetta o rivalsa. Nessuna di queste cose appare nella preghiera. Anzi, stranamente nella prima parte della preghiera, non chiede assolutamente niente.

La sua è una preghiera di “intelligenza” che vuole capire. Non nel senso in cui Gesù ha ringraziato il Padre perché ha nascosto queste cose ai sapienti, agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli. Piuttosto nel senso dell’insistenza di Gesù, soprattutto nel Vangelo di Marco, là dove dice: “non vedete, non capite, non avete occhi aperti, ancora non intendete”.

La comunità per prima cosa cerca di vedere, di comprendere: è una preghiera interpretativa che non domanda niente. Vuole capire l’evento alla luce della fede, praticare “l’intelligenza” di ciò che le è avvenuto.

L’interpretazione avviene a partire dalle Scritture, dalla infinità e trascendenza di Dio: “Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che è in esso”, che hai agito nella storia e “per mezzo dello Spirito Santo hai parlato davvero in questa città”

Notiamo il passaggio: dal riconoscimento che Dio è tutto, che ha operato nella storia in momenti privilegiati – e questo suo operare nella storia ci è detto con attualità dal Salmo che abbiamo recitato – si giunge alla comprensione di ciò che è avvenuto in questa città.

Ci sono tre momenti della preghiera di intelligenza: – si contempla l’assoluto di Dio; – si contempla l’azione di Dio nella storia della salvezza; – si contempla l’oggi.

Un Salmo, vecchio di molti secoli, riletto alla luce dell’esperienza presente, consente di capirla.

Leggendo il brano noi ci stupiamo perché, in realtà, non si cerca di capire ciò che è avvenuto agli Apostoli: “In questa città si radunarono i capi contro il tuo santo servo Gesù Cristo” La comunità capisce se stessa nel Cristo, nel fatto di Gesù, ponendosi non come aggregazione sociale o storica comunque, ma come gruppo di uomini che sono in Cristo, il cui vivere è “essere nel Cristo Gesù” Ciò che in lui è avvenuto è segno e spiegazione di ciò che in essi sta avvenendo. Crescono nella conoscenza di sé sentendosi in Cristo.

evangelista-san-luca-russia.jpgL’esperienza degli Apostoli non ha importanza, quasi scompare perché ciò che in essi è avvenuto è il ricollegarsi a ciò che è avvenuto in Cristo: la loro storia non è casuale, non è un conglomerato di fatti senza senso: è storia sacra.

Da questa preghiera di “intelligenza”, contemplativa del mistero di Dio nella storia della salvezza fino a noi, nasce l’urgenza che anche noi impariamo a pregare così. L’abbiamo fatto troppo poco, non siamo abituati. $è una preghiera che richiede discernimento e tempo, però dobbiamo incamminarci perché ad essa siamo chiamati.

Attraverso l’esperienza che abbiamo maturato quest’anno, spero che possa nascere in noi la capacità di pregare così. Dobbiamo farlo con molta umiltà e con molto timore: non siamo dotati di spirito profetico così da poter interpretare le realtà quasi le vedessimo già fotografate nella luce di Dio. Siamo dotati di umile spirito di ricerca e di preghiera che ci fa costantemente cercare il senso di ciò che ci succede, l’illuminazione sulle cose che ci avvengono. Dobbiamo avere fiducia che, in preghiera, come comunità, possiamo interpretare i segni dei tempi.

Preghiera di richiesta La seconda parte è propriamente una preghiera di richiesta. La comunità finalmente ha capito che ciò che le è accaduto è l’essere inseriti nel Cristo sofferente e perseguitato, non una disgrazia.

E chiede una cosa sola: di potere annunciare con franchezza la Parola. Si sente responsabile, di fronte al mondo, della Parola e chiede di annunziarla.

Noi ci meravigliamo perché non chiede di avere successo, non chiede che le persecuzioni finiscano e che tutti i malintesi siano di colpo ingoiati da un trionfo. Chiede di potere continuare ad annunciare con coraggio la Parola nella sua interezza, con quella umiltà e perseveranza con cui si annuncia il Vangelo.

Poi domanda che si compiano guarigioni, miracoli e prodigi.

La prima è la domanda fondamentale di una comunità consapevole del suo dovere di evangelizzare, di portare la Parola ad altri.

La seconda è la richiesta di portarla in un contesto di fatti. Di poter comunicare la Parola in modo che si mostri la forza trasformante dello Spirito di Dio nell’esistenza umana e non come un principio astratto.

Guarigioni, miracoli, prodigi: è il mondo che si cambia, i cuori che si cambiano, lo stile di vita mutato, gente che si odiava e che giunge a perdonarsi, gente che sognava un avvenire di successo personale e adesso sente il bisogno di consacrarsi a qualche cosa per cui vale la pena di spendere la propria vita. Fatti trasformanti che sono la risonanza concreta della Parola.

La comunità chiede al Signore di poter parlare e insieme di poter cambiare il cuore e la mentalità, così che ci sia consonanza tra parola detta e realtà circostante. La forza di cambiare, che è domandata nella preghiera è quella che si oppone alla paura istintiva di cambiare, di lanciarsi su vie nuove che cambino in gusto di vita l’inclinazione e la forza di morte.

Nella preghiera chiediamo il coraggio della Parola. Cosa significa per noi il coraggio della Parola? In quale situazione questo coraggio ci viene meno? Quali situazioni in noi e attorno a noi esigono di essere cambiate perché ci sia consonanza tra parola detta e parola ascoltata?

RILIEVI su un cammino

Al termine dei nostri incontri di preghiera ci chiediamo che senso hanno avuto per noi.

Per me, innanzitutto, è stata una delle esperienze più belle di quest’anno, in cui ho sentito la chiesa come chiesa.

$è stato importante che ci siamo messi a pregare a partire dalla Parola di Dio, come risposta a Dio che parla. Se durante il cammino ci siamo proposti seriamente di pregare a partire dalla Parola di Dio nella Scrittura, abbiamo fatto passi molto importanti.

Un terzo significato è l’aver pregato insieme: ho compreso qualche cosa che non è semplicemente spiegabile attraverso la somma delle singole unità in preghiera. Ho sentito e vissuto, in questo pregare insieme, il mistero di Dio in mezzo a noi: il mistero di Dio accolto e non frutto dei nostri sforzi. Ci siamo vicendevolmente comunicati nella fede.

$è stata anche una espressione corporea della preghiera. Abbiamo sperimentato l’ascolto, la proclamazione con la voce, il canto, il silenzio: diversi ritmi con cui la preghiera si esprime. Abbiamo capito meglio che se l’uomo è corporeo anche la preghiera assume i movimenti del corpo perché ci deve coinvolgere totalmente.

Infine mi ha colpito il rapporto che abbiamo cercato di porre tra preghiera e penitenza. Anche questo è emblematico perché la preghiera purifica e porta a purificarci. Senza questo continuo sforzo di purificazione la preghiera può diventare vana, come tutti i gesti della vita cristiana possono diventare vani perché riempiti di ambizione e di gusto del successo personale. Soltanto la purificazione e la penitenza ci rimettono davanti a Dio nella nostra povertà di peccatori amati dalla sua misericordia.

Rendiamo dunque lode al Signore per tutti i doni che ci ha elargiti e preghiamo lo Spirito affinché venga su di noi e compia in profondità la purificazione che ci è necessaria per accogliere in povertà l’infinita misericordia di Dio.

CARLO MARIA MARTINI. PREGHIERA CON L’EVANGELISTA LUCA. SESTA PARTE.ultima modifica: 2013-06-21T22:47:00+02:00da meneziade
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