La crocifissione 4

trasfigurazione_di_Cristo.jpg IL CHIRURGO

dal volume di Pierre Barbet

“La Passione di Cristo secondo il chirurgo” Descrizione degli atroci dolori sofferti da Gesù durante la sua Passione, fatta da un dottore francese sulla base dei Vangeli e della Sindone

Io sono soprattutto un chirurgo; ho insegnato a lungo. Per tredici anni sono vissuto in compagnia di cadaveri; durante la mia carriera ho studiato a fondo l’anatomia. Posso dunque scrivere senza presunzione.

Gesù entrato in agonia nel Getsemani – scrive l’evangelista Luca-pregava più intensamente. E diede in un sudore “come gocce di sangue” che cadevano fino a terra.

Il solo evangelista che riporta il fatto è un medico, Luca. E lo fa con la precisione di un clinico.

Il sudar sangue, o ematoidrosi, è un fenomeno rarissimo. Si produce in condizioni eccezionali: a provocarlo ci vuole una spossatezza fisica, accompagnata da una scossa morale violenta causata da una profonda emozione, da una grande paura. Il terrore, lo spavento, l’angoscia terribile di sentirsi carico di tutti i peccati degli uomini devono aver schiacciato il Martire.

Tale tensione estrema produce la rottura delle finissime vene capillari che stanno sotto le ghiandole sudoripare, il sangue si mescola al sudore e si raccoglie sulla pelle; poi cola per tutto il corpo fino a terra.

Conosciamo la farsa del processo imbastito dal Sinedrio ebraico, l’invio di Gesù a Pilato e il ballottaggio fra il procuratore romano ed Erode. Pilato cede e ordina la flagellazione. I soldati spogliano Gesù e lo legano per i polsi a una colonna apposita, alta circa tre metri, che termina con un anello. La flagellazione si effettua con delle strisce di cuoio multiple su cui sono fissate due palline di piombo. Le tracce nella Sindone di Torino sono innumerevoli; la maggior parte delle sferzate è sulla spalla, sulla schiena, sulla regione lombare e anche sul petto.

I carnefici devono essere stati due, uno da ciascun lato, di ineguale corporatura. Colpiscono a staffilate la pelle, già alterata da milioni di microscopiche emorragie del sudor di sangue. La pelle si lacera e si spacca; il sangue zampilla.

A ogni colpo Gesù trasale in un soprassalto di dolore. Le forze gli vengono meno: un sudor freddo gli imperla la fronte, la testa gli gira in una vertigine di nausea, brividi gli corrono lungo la schiena. Se non fosse appeso, quasi, per i polsi, crollerebbe in una pozza di sangue.

Poi lo scherno della coronazione. Con lunghe spine, più dure di quelle dell’acacia, gli aguzzini intrecciano una specie di corona e glielo applicano sul capo. Le spine penetrano nel cuoio capelluto e lo fanno sanguinare (i chirurghi sanno quanto sanguina il cuoio capelluto). Dalla Sindone si rivela che un forte colpo di bastone, dato obliquamente, lasciò sulla guancia destra di Gesù una orribile piaga contusa; il naso è deformato da una frattura dell’ala cartilaginea.

Pilato, dopo aver mostrato quell’Uomo straziato alla folla inferocita, glielo consegna per la crocifissione. Caricano sulle spalle di Gesù il grosso legno della croce; pesa una cinquantina di chili, ma peserebbe di più se non toccasse il terreno con il palo verticale. Gesù cammina a piedi scalzi per le strade dal fondo irregolare, cosparso di ciottoli. I soldati lo tirano con le corde. Il percorso, fortunatamente, non e molto lungo: circa seicento metri. Gesù, a fatica, trascina un piede dopo l’altro; spesso cade sulle ginocchia. E la spalla di Gesù è coperta di piaghe. Quando Egli cade a terra, la trave gli sfugge e gli scortica il dorso.

Sul Calvario ha inizio la crocifissione. I carnefici, spogliano il Condannato; ma la sua tunica è incollata alle ferite e il toglierla è atroce. Avete mai staccato la garza di medicazione da una larga piaga contusa? Non avete sofferto voi stessi questa prova che richiede talvolta l’anestesia generale? Potete allora rendervi conto di che si tratta.

Ogni filo di stoffa aderisce al tessuto della carne viva: a levare la tunica, si lacerano le terminazioni nervose messe allo scoperto dalle piaghe. I carnefici danno uno strappo violento. Come mai quel dolore atroce non provoca uno svenimento?

Il sangue riprende a scorrere; Gesù viene disteso sul dorso. Le sue piaghe si incrostano di polvere e di ghiaietta. Lo distendono sulla croce, gli aguzzini prendono le misure. Un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi. Le spalle della Vittima hanno strisciato dolorosamente sul legno ruvido. Le punte taglienti della corona gli hanno lacerato il cranio. La sua povera testa è inclinata in avanti, poiché lo spessore della corona di spine le impedisce di appoggiarsi al legno. Ogni volta che il Martire solleva la testa, riprendono le fitte acutissime.

Il carnefice prende un chiodo (un lungo chiodo appuntito e quadrato), lo appoggia sul polso di Gesù, con un colpo netto di martello glielo pianta e lo ribatte saldamente sul legno: orribile supplizio! Gesù deve avere spaventosamente contratto il volto. Nello stesso istante il suo pollice, con un movimento violento si e posto in opposizione nel palmo della mano; il nervo mediano è stato leso. Si può immaginare ciò che Gesù deve aver provato: un dolore lancinante, acutissimo, che si è diffuso nelle dita, è passato, come una lingua di fuoco, nella spalla e gli ha folgorato il cervello. È il dolore più insopportabile che un uomo possa provare, quello dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi. Di solito provoca uno svenimento e fa perdere la conoscenza. In Gesù no. Almeno il nervo fosse stato tagliato netto!

Il sangue riprende a scorrere; Gesù viene disteso sul dorso. Le sue piaghe si incrostano di polvere e di ghiaietta. Lo distendono sulla croce, gli aguzzini prendono le misure. Un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi. Le spalle della Vittima hanno strisciato dolorosamente sul legno ruvido. Le punte taglienti della corona gli hanno lacerato il cranio. La sua povera testa è inclinata in avanti, poiché lo spessore della corona di spine le impedisce di appoggiarsi al legno. Ogni volta che il Martire solleva la testa, riprendono le fitte acutissime.

Il carnefice prende un chiodo (un lungo chiodo appuntito e quadrato), lo appoggia sul polso di Gesù, con un colpo netto di martello glielo pianta e lo ribatte saldamente sul legno: orribile supplizio! Gesù deve avere spaventosamente contratto il volto. Nello stesso istante il suo pollice, con un movimento violento si e posto in opposizione nel palmo della mano; il nervo mediano è stato leso. Si può immaginare ciò che Gesù deve aver provato: un dolore lancinante, acutissimo, che si è diffuso nelle dita, è passato, come una lingua di fuoco, nella spalla e gli ha folgorato il cervello. È il dolore più insopportabile che un uomo possa provare, quello dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi. Di solito provoca uno svenimento e fa perdere la conoscenza. In Gesù no. Almeno il nervo fosse stato tagliato netto!

Invece (lo si constata spesso sperimentalmente) il nervo è distrutto solo in parte: la lesione del tronco nervoso rimane in contatto col chiodo: quando il corpo sarà sospeso sulla croce, il nervo si tenderà fortemente come una corda di violino teso sul ponticello. A ogni scossa, a ogni movimento, vibrerà, risvegliando dolori strazianti. Un supplizio che durerà tre ore. Così fanno anche per l’altra mano.

Gli inchiodano i piedi, il sinistro sopra il destro, con un chiodo grosso e lungo il doppio di quello usato per le mani. Operazione ancora più difficile delle mani, perché i piedi scivolano per la scossa del martello.

Il boia e i suoi aiutanti impugnano le estremità della croce; sollevano Gesù, poi rapidamente la incastrano nella buca già preparata per sostenere il patibolo.

È mezzogiorno. Gesù ha sete. Non ha bevuto dalla sera precedente. I lineamenti sono tirati, il volto è una maschera di sangue. La bocca è semiaperta e il labbro inferiore comincia a pendere.

La gola, secca, gli brucia, ma Egli non può deglutire. Ha sete. Un soldato gli tende, sulla punta della canna, una spugna imbevuta di bevanda acidula, in uso tra i militari. Tutto ciò è una tortura atroce.

Uno strano fenomeno si produce sul corpo di Gesù.

I muscoli delle braccia si irrigidiscono in una contrazione che va accentuandosi: i muscoli delle spalle e delle braccia sono tesi e rilevati, le dita si incurvano. Si direbbe un

ferito colpito da tetano, in preda a quelle orribili crisi che non si possono descrivere. È ciò che i medici chiamano tetania, quando i crampi si generalizzano: i muscoli dell’addome si irrigidiscono in onde immobili; poi quelli intercostali, quelli del collo e quelli respiratori.

Il respiro si è fatto, a poco a poco, più corto. L’aria entra con un sibilo, ma non riesce più ad uscire. Gesù respira con l’apice dei polmoni. Ha sete di aria: come un asmatico in piena crisi, il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, poi trascolora nel violetto purpureo e infine nel cianotico.

Gesù, colpito da asfissia, soffoca. I polmoni, gonfi d’aria, nonpossonopiù svuotarsi. La fronte è imperlata di sudore, gli occhi escono fuori dall’orbita. Che dolori atroci devono aver martellato il suo cranio!

Ma cosa avviene? Lentamente con uno sforzo sovrumano, il Crocifisso ha preso un punto di appoggio sul chiodo dei piedi. Facendosi forza, a piccoli colpi, si tira su alleggerendo la trazione delle braccia. I muscoli del torace si distendono.

La respirazione diventa più ampia e profonda, i polmoni si svuotano e il viso riprende il pallore primitivo.

Perché questo sforzo? Perché Gesù vuole parlare: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Dopo un istante il corpo ricomincia ad afflosciarsi e l’asfissia riprende.

Sono state tramandate sette frasi, pronunciate dal Signore in croce: ogni volta che vuol parlare, dovrà sollevarsi tenendosi ritto sui chiodi dei piedi: inimmaginabile!

Sciami di mosche, grosse mosche verdi e blu, ronzano attorno al suo corpo; gli si accaniscono sul viso e sulle piaghe, ma Egli non può scacciarle. Dopo un po’, il cielo si oscura, il sole si nasconde: d’un tratto la temperatura si abbassa.

Fra poco saranno le tre del pomeriggio. Gesù lotta sempre: di quando in quando si solleva per respirare. È l’asfissia periodica dell’infelice che viene strozzato. Una tortura che dura tre ore.

Tutti i suoi dolori, la sete, i crampi, l’asfissia, le vibrazioni dei nervi mediani, gli hanno strappato un lamento: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

Ai piedi della croce stava la Madre di Gesù. Potete immaginare quale strazio Ella provò? A Lei affida Giovanni.

Poi Gesù esclama: “Tutto è compiuto!”.

Infine, con immensa rassegnazione, dice: “Padre, nelle tue mani raccomando il mio Spirito”.

Emette un alto grido.

 

PIAGATO PER LE NOSTRE INIQUITA’

Gesù Cristo ora vive in paradiso e radiosa è la sua Umanità. Ma durante la Passione essa era simile a quella di un lebbroso, tanto era percossa ed umiliata. L’Uomo-Dio che aveva in Sé la perfezione della bellezza fisica, perché Figlio di Dio e della Donna senza macchia, apparve allora un verme, l’obbrobrio degli uomini, il rifiuto della gente, come dice la Scrittura (Salmo 21, 7).

L’amore per il Padre e per le sue creature portò Gesù ad abbandonare il suo corpo a chi lo percuoteva, a chi lo schiaffeggiava e sputacchiava, a chi credeva fare opera meritoria strappandogli i capelli e la barba, trapassandogli la testa con le spine, slogandogli le membra, scoprendo le sue ossa, strappandogli le vesti e dando così alla sua purezza la più grande delle torture, configgendolo ad un legno e innalzandolo come agnello sgozzato sul palo della croce, in una tremenda agonia.

Accusato, condannato, ucciso, tradito, rinnegato, venduto. Abbandonato anche da Dio, perché su Lui erano i delitti di cui si era addossato. Reso più povero del viandante derubato dai briganti, perché non gli fu lasciata neppur la veste per coprire la sua nudità di Martire. Non risparmiato neppur oltre la morte dallo sfregio della ferita al cuore e dalle calunnie dei nemici. Sommerso sotto il fango di tutti i nostri peccati, precipitato sino in fondo al buio del dolore, senza più luce dal cielo che rispondesse al suo sguardo morente, né voce divina che rispondesse al suo estremo invocare. Isaia spiega la ragione di tanto dolore: “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori” (Libro del profeta lsaia 53,4).

I nostri dolori. Sì, Gesù li ha portati per noi! Per sollevarci dal peccato e dalle sue conseguenze. Sul Cristo era la lebbra dei nostri numerosi peccati, come una veste di penitenza, come un peso che curva e uccide: “Trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità… il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (Libro del profeta lsaia 53.5-6).

Sarebbe bastato un volgere di occhi per incenerire accusatori, giudici e carnefici. Ma Gesù era venuto volontariamente per compiere il sacrificio e, come Agnello – poiché Egli è l’Agnello di Dio e lo è in eterno – si è lasciato condurre, per essere spogliato e ucciso e per fare della sua Morte la nostra Vita: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Libro del profeta lsaia 53,7).

II nostro Salvatore non è bianco nella veste e biondo nel capo, come dovrebbe essere. Non ha lo sguardo di zaffiro e il sorriso di un amico, come dovrebbe avere un Maestro buono. II suo vestito è rosso di sangue, è lacero, coperto di immondezze e di sputi (Libro del profeta lsaia 63,1-6; Libro dell’Apocalisse 19,11-16). Il suo volto è tumefatto e stravolto, il suo sguardo velato dal sangue, dal sudore e dal pianto, e ci guarda attraverso occhi di dolore. Le sue mani sono inchiodate e non possono più benedire per salvare.

Gesù si lascia condannare e appendere, si lascia insultare e uccidere dai molti che non lo vogliono amare. Ma, ai pochi fedeli che lo onorano e lo seguono, Egli promette il beato paradiso e la vita eterna.

“Nessuno ha un amore più grande di questo dare la vita per i propri amici (Vangelo di Giovanni 15,1. Crocifisso del Concilio venerato nel duomo di Treni

 

LE PASSIONI DELL’UOMO GESÙ LE HA PROVATE

Uno dei grandi dolori di Gesù crocifisso fu quello di avere dovuto straziare Maria sua Madre, l’avere dovuto vederla piangere. È per questo che Egli non le nega nulla. Maria gli ha dato tutto. Gesù le dà tutto. Maria ha sofferto tutto il dolore. Gesù le dà tutta la gioia.

Quando pensiamo alla Vergine dovremmo meditare questa sua agonia, durata trentatré anni e culminata ai piedi della croce. Ella l’ha sofferta per noi.

Per noi le derisioni della folla che la giudicava Madre di un pazzo. Per noi i rimproveri dei parenti e delle persone influenti. Per noi la sua vìta nascosta neì segreti della contemplazione. Per noi il dolore di vivere lontana dal Figlio. Per noi il voto della sua verginità, per noi l’ubbidienza totale alla volontà di Dio. Per noi il sacrificio di lasciare la sua casetta e mescolarsi alle folle. Per noi il disagio di lasciare la sua piccola patria per ìl tumulto dì Gerusalemme. Per noì il dovere essere a contatto con un demonio come Giuda, che covava in cuore il tradimento. Per noi il dolore di sentire suo Figlio accusato di possessione diabolica, di tradimento e di eresia. Per noi lo strazio della croce e l’insulto dei crocifissori. Per noi la solitudine che precedette la risurrezione. Per noi gli anni trascorsi prima della sua assunzione al cielo. Tutto, tutto ha sofferto per noi. Noi non sappiamo quanto Gesù ha amato la Madre sua. Noi non riflettiamo come il cuore del Figlio di Maria e di Giuseppe fosse sensibile agli affetti. E crediamo che la sua tortura sia stata puramente fisica; al massimo vi aggiungiamo la tortura spirituale dell’abbandono finale del Padre (Vangelo di Marco 15, 34).

Gesù ha sofferto molto nel corpo e nello spirito, ma anche nel morale. Le passioni dell’uomo, Gesù-Uomo le ha provate.

Ha sofferto di veder soffrire sua Madre, di doverla condurre, come agnella mansueta, al supplizio, di doverla straziare coi successivi addii: a Nazareth prima dell’evangelizzazione, al Cenacolo prima della passione, sul Calvario prima della morte, sul monte degli Ulivi prima dell’ascensione.

Gesù ha sofferto di vedersi schernito, odiato, calunniato, circuito da curiosità malsane che evolvevano in male. Ha sofferto di tutte le menzogne che ha dovuto udire o vedere agenti al suo fianco. Le menzogne dei farisei ipocriti, che lo chiamavano Maestro e gli facevano domande non per fede nella sua intelligenza ma per tendergli tranelli. Le menzogne dei beneficati da Lui e che gli si volsero in accusatori nel Sinedrio e nel Pretorio. La menzogna premeditata, lunga, sottile di Giuda, che l’ha venduto ed ha

continuato a fingersi discepolo, che l’ha indicato ai carnefici col bacio: segno dell’amore. Ha sofferto della menzogna di Pietro, preso per paura umana.

Quanta menzogna! Quanta menzogna tanto rivoltante per Gesù, che è la Verità! E quanta anche ora ve ne è nel mondo, così contraria a Lui, così contraria al bene!

Infine, Gesù ha sofferto pensando che davanti al valore infinito del suo Sacrificio, il Sacrificio di un Dio, troppo pochi si sarebbero salvati. Tutti coloro che nei secoli dei secoli della terra avrebbero preferito la morte alla vita eterna, rendendo vana la sua oblazione, Gesù li ha avuti presenti. E con questa cognizione è andato incontro alla morte.

 

ERA QUESTO CHE VOLEVA SATANA: PORTARE IL CRISTO ALLA DISPERAZIONE

Gesù è il Figlio del Dio Altissimo, ma è anche il Figlio dell’uomo. Colui che, pur essendo di natura divina, ha preso la nostra natura umana (Lettera ai Filippesi 2,6-8). Maria, la casta Madre di Gesù, ha portato il Figlio non solo per i nove mesi con cui ogni donna porta il frutto dell’uomo, ma per tutta la vita. I cuori dell’Uomo e della Donna erano uniti da spirituali fibre e hanno palpitato sempre insieme. Non c’era lacrima materna che cadesse senza rigare il cuore di Gesù, e non c’era interno lamento di Gesù che non aumentasse la sofferenza materna.

Se fa pena pensare alla madre di un figlio destinato alla morte per malattia, o alla madre di un innocente ucciso dalla cattiveria umana, pensiamo a Maria che, dal momento in cui ha concepito Gesù, ha tremato, sapendo che era il Condannato. Pensiamo a questa Madre che, quando ha dato il primo bacio sulle carni morbide e rosee del suo Neonato, ha sentito sulle labbra il sangue delle sue future piaghe; a questa Madre che avrebbe dato dieci, cento, mille volte la vita per impedire al Redentore di divenire Uomo e di giungere al momento dell’immolazione; a questa Madre che sapeva, e che doveva desiderare quell’ora

tremenda, per accettare la volontà del Signore e per il bene dell’umanità.

Non vi fu agonia più lunga per una donna, finita in un dolore più grande, di quella della Madre di Dio. E non vi è stato un dolore più grande e più completo per un uomo, di quello del Dio della Madre.

Gesù sentiva, come acqua che monta e preme contro una diga, crescere, ora per ora, il rigore del Padre verso di Lui. A testimonianza degli increduli, che non volevano comprendere chi era Gesù, il Padre aveva aperto per tre volte il Cielo: al fiume Giordano, sul monte Tabor e in Gerusalemme nella vigilia della passione (Vangelo di Matteo 3,17; 17,5; Vangelo di Giovanni 12,28). Ma l’aveva fatto per gli uomini, perché credessero, non per dare sollievo al Figlio. Costui ormai era l’Espiatore.

Gesù è il Redentore che ha sofferto e sa, per personale esperienza, cosa sia la pena d’esser guardato con severità dal Padre ed essere abbandonato da Lui. Più l’ora dell’espiazione si avvicinava e più sentiva allontanarsi il conforto celeste.

La separazione da Dio porta con sé tristezza, paura, attaccamento alla vita, stanchezza, malinconia, insoddisfazione, turbamento. Più la separazione è profonda e più sono forti queste conseguenze. Quando la separazione è totale porta la disperazione, e tanto più ne soffre chi non l’ha meritata.

Gesù ha dovuto conoscere tutto il dolore, per poter tutto perorare presso il Padre in nostro favore. Anche le nostre disperazioni Gesù le ha provate. Ha provato cosa significa dire: “Sono solo. Tutti mi hanno tradito, tutti mi hanno abbandonato. Anche il Padre non

m’aiuta più”.

Nella sera del Giovedì santo solo Gesù sa quanto aveva bisogno di un conforto spirituale! Era già agonizzante per lo sforzo di aver dovuto superare i due più grandi dolori di un uomo: l’addio ad una Madre amatissima, la vicinanza dell’amico traditore. Erano due piaghe che bruciavano il cuore dell’Uomo-Dio. Una col suo pianto, l’altro col suo odio.

Gesù era l’Espiatore, la Vittima, l’Agnello. L’agnello, prima d’esser immolato, conosce il marchio rovente, conosce le percosse, conosce lo spogliamento, conosce la vendita al beccaio. Solo alla fine conosce il gelo del coltello, che penetra nella gola e svena e uccide. Prima deve lasciare tutto: il pascolo dove è cresciuto, la madre al cui petto si è nutrito, i compagni con cui ha vissuto. Tutto. Gesù, Agnello di Dio, ha conosciuto tutto.

Allora, mentre il Padre si ritirava nei cieli, è venuto Satana. Glielo aveva promesso (Vangelo di Luca 4,13). Con la sua astuzia perfetta, Satana presentò al Salvatore le torture della carne con un verismo insuperabile. Anche nel deserto aveva cominciato dalla carne. Gesù vinse il demonio pregando, e lo spirito signoreggiò la paura del corpo.

Gli presentò allora l’inutilità del suo morire, l’utilità di vivere per Se stesso senza occuparsi degli uomini ingrati. Vivere ricco, felice, amato. Vivere per sua Madre e non farla soffrire. Vivere per portare a Dio, con un lungo apostolato, tanti uomini. Una volta morto Gesù, gli uomini si sarebbero dimenticati di Lui; mentre se fosse stato Maestro non per tre anni, ma per decenni, avrebbero finito ad immedesimarsi della sua dottrina. Ed anche il Padre lo avrebbe perdonato, vedendo l’abbondante messe dei credenti da Lui raccolta.

Satana presentò poi a Gesù l’abbandono di Dio.

II Padre non lo amava più, perché era carico dei peccati del mondo. Gli faceva ribrezzo. Lo abbandonava al ludibrio di una folla feroce e non gli concedeva neppure il suo divino conforto. Solo! In quell’ora non c’era che Satana presso il Cristo. Dio e gli uomini erano assenti, poiché non lo amavano o erano indifferenti.

Gesù pregava per coprire con la sua preghiera le parole sataniche. Ma la preghiera non saliva più a Dio. Ricadeva sul Cristo, come le pietre della lapidazione, e lo schiacciava sotto il suo peso. Invano la sua preghiera era lanciata contro i cieli chiusi.

Allora il Martire senti l’amaro del fondo del calice. II sapore della disperazione. Era questo, infatti, che voleva Satana: portare il Cristo a disperare, per fare di Lui un suo schiavo. Ma Gesù ha vinto la disperazione, e l’ha vinta con le sole sue forze, perché ha voluto vincerla. Con le sole sue forze di Uomo.

Sulla croce il Redentore sperimentò la sua ultima tentazione, la più forte e la più tremenda, perché quella finale. L’ultima occasione in mano di Satana per vincere il suo Nemico. Gesù ha sudato ancora sangue in quel momento, e questa volta senza conforto angelico (Vangelo di Luca 22,43). Ha sudato sangue per essere fedele alla volontà di Dio (Vangelo di Luca 22,44). Gesù ha vinto facendo la volontà del Padre, solamente quella. Non rispose più a colui che lo accusava, perché quando Satana diventa fortissimo l’unica cosa da fare è ignorarlo: silenzio e fedeltà.

Il diavolo allora se ne andò vinto, vinto anche dal Padre, ma deciso a tormentare fino alla fine dei secoli i figli del suo Figlio.

I nostri nomi! I nomi dei salvati dal sacrificio del Cristo! Tutti li ha avuti presenti Gesù nella lotta contro la disperazione. Ogni nome di persona buona fu per Lui come un farmaco nelle vene per ridargli speranza. Ognuno dei salvati dal suo Sangue fu per Lui vita che torna, luce che nasce, forza che aumenta, gioia che viene. Nelle inumane torture della crocifissione, per non urlare il suo dolore di Uomo e per non disperare di un Dio troppo severo verso la sua Vittima, Gesù si è ripetuto i nostri nomi. Egli ci ha visti nel futuro del suo eterno presente. Ci ha benedetti da allora e da allora ci ha portati nel cuore.

Benedetti i salvati dal suo Sangue! Conforto del Cristo morente! La Madre amatissima, il discepolo prediletto, le donne pietose e molti altri erano intorno al suo morire, ma noi pure c’eravamo. I suoi occhi morenti si sono chiusi così. Beati di chiudersi per averci salvati. Noi, che abbiamo meritato il Sacrificio di un Dio, dobbiamo essere perseveranti, vivere nel bene, fuggire dal male, tenerci stretti alla croce, santificandoci nella fede, nella speranza e nella carità.

 

SULLA CROCE GESÙ HA COMPLETATO LA SUA MISSIONE DI REDENTORE, MA ANCHE DI MAESTRO

Sulla croce Gesù ha completato la sua missione di Redentore, ma anche di Maestro.

Ci ha insegnato il perdono, con le parole: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Vangelo di Luca 23,34), perdonando ai suoi uccisori e a chi lo offendeva come Dio e come morente.

Ci ha insegnato ad aver fede nella misericordia concessa a chi si pente, con le parole: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” (Vangelo di Luca 23,43), promettendo il paradiso a Disma (Vangelo di Luca 23,43).

Ci ha insegnato a chi andare per non sentirvi soli, a Maria che ci è Madre, con le parole: “Ecco la tua madre” (Vangelo di Giovanni 19,27).

Ci ha insegnato a chiedere umilmente ed a soffrire pazientemente, anche delle necessità corporali, con le parole: “Ho sete” (Vangelo di Giovanni 19,28), chiedendo un sorso per le sue labbra arse. Ci ha insegnato a non lamentarci se quel sorso è aceto e fiele. Aceto e fiele che è dato non soltanto alle labbra, ma spesso al cuore che chiede di amare e riceve ripulse e offese. II nostro Gesù, di questa amarissima mistura, ne ha avuto saturo il cuore.

Ci ha insegnato chi invocare nelle ore in cui il dolore si precipita su noi e ci pare che tutti, anche Dio, ci abbiano abbandonato, con le parole: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Vangelo di Matteo 27,46).

Gesù era, per necessità di Redenzione, realmente abbandonato dal Padre, ma l’ha ugualmente invocato. Così dobbiamo fare anche noi nelle ore di prova e di dolore.

Se anche Dio ci pare lontano, chiamarlo lo stesso in soccorso. Dargli sempre filiale amore. Egli ci darà i suoi doni. Potranno non essere quelli che invochiamo. Saranno altri ancora più utili a noi. Dobbiamo fidarci dei Padre nostro. Egli ama e provvede (Libro della Genesi 22,14). Dio premia chi crede nella sua bontà.

Sulla croce Gesù ci ha insegnato il grande valore che ha l’anima, con le parole: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Vangelo di Luca 23,46).

L’estrema sollecitudine del Morente va al suo spirito, prossimo a liberarsi dalla carne per tornare all’Origine da cui era venuto. Lo raccomanda al Padre.

Gesù ci ha insegnato che una sola cosa e preziosa nella vita e preziosa oltre la vita: lo spirito. Esso deve avere tutte le nostre cure durante l’esistenza e le nostre previdenze nell’ora della morte.

Valore immisurabile del nostro vivere di uomini è lo spirito, signore del nostro essere. Tutto quanto possediamo sulla terra è cosa che muore con la carne. Nulla ci segue nell’altra vita. Ma lo spirito resta e ci precede (Vangelo di Giovanni 6,63). Si presenta al Giudice e riceve la prima sentenza, poi riscuote la carne nell’ora dell’ultimo Giudizio e la fa di nuovo viva, beata con lo spirito o con esso maledetta. Secoli o attimi di morte conosce la carne avanti la sua risurrezione, ma lo spirito non conosce che una morte da quella non risorge. Di questa dobbiamo aver paura (Vangelo di Matteo 10,28; Libro dell’Apocalisse 20,14 15;21,8).

Affidiamo in vita e in morte il nostro spirito al Potente, al Santo, al Misericordioso Iddio. Allo spirito che si affida a Lui poco può nuocere Satana sulla terra allo spirito che nell’agonia invoca Dio sono risparmiati terrori che il Nemico suscita per ultima vendetta; allo spirito che spira in Dio gli viene aperto il cielo e da morte passa a vita eterna, santa, beata.

Sulla croce Gesù ci ha insegnato la gioia che viene dal compiere la volontà di Dio, con le parole: “Tutto è compiuto” (Vangelo di Giovanni 19,30).

Al dolore angoscioso di quella morte, subentrò in Gesù la gioia d’averci conquistato la Vita. Così avvienE anche per noi quando moriamo in grazia di Dio.

La crocifissione 4ultima modifica: 2010-08-20T15:45:00+02:00da meneziade
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