La crocifissione

Cristo 1.jpgLA CROCIFISSIONE

Dopo il penoso percorso nelle vie di Gerusalemme, sotto un sole cocente e afoso, fra lo scherno e la rabbia della folla, Gesù raggiunge il colle del Golgota, sfinito, dolorante, bagnato di sangue, di sudore, di pianto, di lordure e sputi gettati dalla folla. Su questo monticello, luogo santissimo fra tutti i luoghi della terra, si sta per compiere l’opera della nostra salvezza. Qui saremo lavati dal Sangue dell’Agnello. Qui saremo purificati e resi degni del perdono. Qui il Figlio sarà glorificato (Vangelo di Giovanni 12,28). Qui il senso della creazione sarà compiuto.

Gesù, stremato di forze, si toglie la croce dalla spalla con l’aiuto del Cireneo. Gesù si guarda intorno. I suoi diletti apostoli non ci sono. Tutti lo hanno abbandonato. Solo Giovanni, con Maria, il gruppetto delle donne e altri fedeli discepoli sono rimasti. Capisce che i suoi cari apostoli hanno avuto paura e si sono nascosti. La sua Chiesa! Dov’è ora la sua Chiesa? Dov’è Pietro, la sua roccia? Una grossa lacrima gli esce dall’occhio destro, rigandogli la guancia sudata e sporca di polvere. Guarda Maria e Giovanni, guarda le altre donne e i pochi discepoli rimasti. Uno sguardo mesto, sconfortato, supplichevole, buono, di una bontà commovente. Guarda la Madre, ed ha un così angelico sorriso che sembra dimenticare tutto il male che gli sta intorno. Maria risponde allo sguardo del Figlio con un sorriso straziato di immensa pietà.

Mentre si preparano gli attrezzi della crocifissione, ai condannati viene offerta da bere una mistura di vino mirrato per dare un po’ di intontimento al dolore. Ma Gesù non ne beve. Vuole andare alla morte nella pienezza delle sue facoltà mentali, senza il leggero e benefico esaltamento della bevanda eccitante. Vuole essere cosciente in tutto e soffrire ciò che è stabilito che debba soffrire. È ‘l’uomo dei dolori che ben conosce il patire’ (Libro del profeta lsaia 53,3). I due ladroni invece bevono molto.

Viene dato l’ordine ai condannati di spogliarsi. I due ladroni lo fanno senza nessun pudore. Anzi si divertono a fare atti osceni verso la folla e specie verso il gruppo sacerdotale, tutto candido nelle sue vesti di lino. Poi un gruppetto di robusti uomini, preposti al servizio della crocifissione, si fa avanti con decisione, scansando con delle manate chi si trova in mezzo ed ostacola il lavoro, perché già altre volte hanno eseguito la crocifissione e sono ormai insensibili a donne, pianti, lamenti, suppliche, commenti. Per loro è un compito come un altro, un lavoro da fare in fretta, come quando si uccide un animale, poiché la paga è già pronta. In quel momento sono solo dei boia, dei carnefici, degli esecutori, non degli uomini, non dei figli di madri, non persone con un cuore. Non guardano nemmeno Gesù in faccia, tanto è freddo e distaccato il loro agire. Se lo vedessero in volto forse avrebbero più pietà e un raggio di grazia entrerebbe in loro. Ma nulla. Insensibili come pietre, seccati quasi per tanta folla che ostacola il loro compito e controlla il loro comportamento.

Senza tante storie, e non curandosi dello stato di Gesù che è tutto una piaga, gli prendono le vesti e, con uno strappo deciso, gliele strappano dalle ferite ormai coagulate. Un dolore lancinante, acuto, da far spezzare il cuore. Gesù vacilla, diventa bianco come un cadavere, trema, si curva, piange, sembra svenire, e sangue ricomincia a colare dalle ferite nuovamente aperte. La bella tunica, tessuta tutta d’un pezzo da Maria (Vangelo di Giovanni 19,23), vola da un braccio all’altro e si ferma presso un gruppo di soldati romani che la osservano e fanno dei commenti sulla sua perfetta lavorazione e sulla qualità della stoffa. Parlano fra loro, perché quel tessuto è troppo prezioso per essere gettato, e decidono di giocarselo a dadi (Salmo 21,19). Dopo una bella pulita diventa una tunica da far invidia all’imperatore e al sommo sacerdote, perciò chi è fortunato se la prende.

Vengono offerti ai condannati degli stracci per coprirsi le nudità, ma Gesù non lo vuole. Rimane con il suo indumento intimo, una specie di pantaloncini, che coprono le parti più delicate e nascoste dei corpo. Uno dei quattro si avvicina e gli fa cenno di togliersi anche quelli. Gesù lo guarda meravigliato, non si aspettava quell’ordine. Pensa che sarebbe indecente doversi denudare completamente davanti a tanta folla e a tante donne. Guarda il boia con uno sguardo di supplica, di pudica supplica, con degli occhi come quelli di un agnellino pronto al macello. Ma gli occhi convinti dell’uomo che ordina non danno altra possibilità. Deve togliersi anche l’ultimo indumento. Allora Gesù si ricrede e chiede anche Lui lo straccio, ma ormai non c’è più, chissà dov’è andato a finire. È proprio l’Annichilito, l’Umiliato (Lettera di San Paolo ai Filippesi 2,6-8) fino a dover chiedere uno straccio ai delinquenti. Sembra che dica: “Perché? Perché anche questa umiliazione? Perché davanti a mia Madre e alle discepole? Uomo, abbi pietà!”. Gesù non parla, ma i suoi occhi sono perfino dilatati per parlare, e parlano anche senza suono. Come non riescono a commuovere il carnefice? Questi incrocia gli occhi supplichevoli di Gesù, ma è impenetrabile al suo sguardo e si infastidisce. Con un deciso cenno del capo gli comanda ancora di togliersi tutto. Anche questo ci voleva per dire al mondo quanto Dio ha fatto per l’uomo. Ha dato tutto all’umanità, denudandosi con vergogna fino oltre il pudore. Nudo di ogni cosa, per rivestire l’uomo di ogni grazia. Egli: “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (Seconda Lettera di San Paolo ai Corinti 8,9).

Gesù si gira per non mostrarsi alla folla e, ubbidiente, si denuda completamente. È proprio l’Uomo, ma l’Uomo sofferente e piagato, perché tutto il suo corpo è una lividura. I segni dei flagelli coprono la schiena, le spalle, le gambe e perfino la testa. Non c’è più una parte bianca sul corpo. Tutto è rigato di sangue. Solo i piedi e le mani sono ancora puliti, ma presto anche questi saranno trafitti.

Maria, che vede, perché è vicina al suo Figlio, vorrebbe porgergli il suo velo bianco che si è levata dal capo, ma ci sono i soldati frammezzo. Lo dà a Giovanni perché lo passi al centurione Longino. II soldato romano, che ha visto l’affanno di Maria, ne ha pietà. Prende il velo e lo porge a Gesù che lo riconosce, lo bagna delle sue lacrime, lo bacia come per aspirare da esso l’amore che gli darà la forza di sopportare le lunghe ore di agonia. Se lo fissa saldamente ai fianchi e si gira verso il popolo con il volto più sereno e rassicurato. Guarda Maria e sembra le dica con uno sguardo di profonda pietà: “Grazie Mamma! La tua presenza mi fa affrontare la Passione. Sei Tu la mia forza. Tu sola mi dai conforto”. E sul velo di Maria, fino allora solo bagnato di pianto, cadono le prime gocce di sangue, perché molte delle ferite, appena seccate, si riaprono nel piegarsi, e il sangue riprende a sgorgare.

Mentre Gesù attende che i ladroni vengano crocifissi, guarda Maria con infinito amore. Vederla è un sollievo, una gioia, un riposo, una forza prima del grande tormento.

Ma il tempo della dolcezza materna si arresta bruscamente. “Non c’è tempo per le moine! Giù, stenditi sul legno, facci vedere che sei un vero uomo!”. E, con uno spintone, lo fanno cadere, quasi, sulla trave. In quattro lo pigliano per le estremità e lo stendono bene sulla croce. A differenza dei due ladroni che davano calci e imprecavano, Gesù non reagisce. Si distende docilmente sulla croce. Mette il capo dove gli dicono di metterlo. Apre le braccia come gli dicono di farlo, stende le gambe come gli ordinano. Si è solo preoccupato di accomodarsi per bene ai fianchi il velo materno. II ruvido legno, a contatto della schiena martoriata, punge e sfregola sulle ferite aperte. La corona di spine gli penetra nella testa ancora di più. Vorrebbe appoggiare il capo, ma appena tocca il palo le spine pungono e dolgono, perché premono sulla testa ed entrano maggiormente.

Un giustiziere si siede sul petto di Gesù per impedirgli di reagire. Due prendono il braccio sinistro e uno il braccio opposto. Mentre il compagno tiene il braccio teso, ben aderente al legno, nel punto in cui si trova già un foro per facilitare l’entrata del chiodo, l’altro prende il martello e dà il primo colpo sul polso.

La punta del chiodo penetra nella carne viva, perfora l’osso, rompe i nervi. Un grido lacera l’aria. Gesù non si aspettava un dolore così violento. Maria risponde con un gemito da commuovere le pietre e si curva come spezzata. Un colpo talmente forte e deciso che ne bastano pochi altri per far penetrare completamente il lungo chiodo nel robusto patibolo. Gesù ha la bocca serrata e i denti quasi si spezzano nello sforzo di sopportare il dolore ad ogni colpo di martello. Maria si curva lei pure al suono dei colpi, pigola come una rondine, geme come una colomba (Libro del profeta Isaia 38,14), e sembra che il chiodo raggiunga Lei, povera Madre. Ad ogni colpo Maria si piega e geme, come se il chiodo perforasse il suo cuore. La vecchia profezia di Simeone si sta compiendo: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Vangelo di Luca 2,35). Gesù non grida più per non far soffrire la Madre, perché ne sente il lamento, come se il martello battesse sul suo capo.

La mano sinistra è inchiodata, si passa alla destra. II foro non corrisponde al polso e allora tirano con una fune il braccio di Gesù per allungarlo un po’, ma non arriva ancora. Allora inchiodano dove possono, nel palmo della mano, spezzando carne e nervi con un dolore ancora maggiore della mano sinistra. Gesù non grida per non addolorare Maria, ma il suo corpo è tutta una vibrazione: un dolore tremendo, inconcepibile, impossibile da descrivere. Le dita si piegano, il pollice si infossa all’interno e sangue cola da ogni parte. Ora è la volta dei piedi. Quando Gesù comprende che stanno per essere inchiodati, perché vede luccicare al sole il lungo e grosso chiodo, ha il moto istintivo di ritirarli. Due carnefici si siedono sulle sue ginocchia per tenerlo fermo. Gli altri due appoggiano i piedi accavallati sopra un piccolo cuneo per facilitare la presa, e poi battono forte. Ai colpi di martello Gesù risponde con dei mugoli per non farsi sentire da Maria, un lamento roco dietro le labbra fortemente chiuse, e lacrime di spasimo cadono per terra dopo esser cadute sul legno. È tutto una contrazione. Fissare i piedi è ancora più difficile, perché, essendo uno sopra l’altro, scivolano sotto la scossa del martello e il chiodo entra male. Una tortura che fa vibrare tutte le membra, la testa e il cuore. La crocifissione è tremenda!

L’inchiodatura è terminata. Prendono la croce e la trascinano sino al buco, dove viene lasciata cadere con delle scosse che tormentano il Crocifisso, allargando i fori dei chiodi. Le mani si squarciano, specie la destra, e si allarga anche il foro dei piedi. Prima di essere bene assicurata con pietre e terriccio, la croce ondeggia in tutti i sensi, imprimendo continui spostamenti al povero Corpo sospeso a tre chiodi. La sofferenza deve essere atroce.

La gente urla e impreca contro i condannati, specie contro Gesù: “Ecco il verme del deserto! (Libro dei numeri 21,8-9). Quello guariva, mentre tu sei maledetto da Dio. Bestemmiatore! Sei rosso come il serpente di rame e come il grande re Davide, ma non sei dei nostri. Hai tradito la fede. Hai tradito Abramo, Giacobbe e Mosè. Un demonio sei, un nemico di Dio!” e altre simili bestemmie.

Gesù abbassa gli occhi velati dalla morte. Sotto di Lui vede degli uomini che, perduto ogni senso di umana dignità, sono in preda all’odio più violento. Essi sono agitati da una frenesia di delitto, da una sfrenata libidine di vendetta, da una demoniaca sete di sangue. È uno spettacolo rivoltante. Gesù chiude gli occhi per non vedere e, come un sordo, non ascolta. È come un uomo che non sente e non risponde (Salmo 37,14-15). Ripete le parole del Salmo 37: “Amici e compagni si scostano dalle mie piaghe, i miei vicini stanno a distanza… l miei nemici sono vivi e forti, troppi mi odiano senza motivo, mi pagano il bene col male, mi accusano perché cerco il bene” (Salmo 37,12.20-21). L’insulto, il disprezzo e la calunnia lo abbattono. Perché tanto odio dopo tanto amore? II suo cuore soffre e i battiti si fanno irregolari, sembra che si spezzi da un momento all’altro. Si realizzano le parole della Scrittura: “L’insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno. Ho atteso compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati” (Salmo 68,21).

I soldati giocano a dadi la bella tunica del Maestro. C’è l’indifferenza quasi totale a ciò che sta accadendo. Solo qualcuno alza ogni tanto il volto ai crocifissi. Il centurione romano invece, Longino, è ritto in piedi, e osserva attentamente le croci. II suo occhio penetrante non perde un particolare. E per vedere meglio si fa ombra con la mano, perché il sole gli deve dare noia.

È infatti un sole strano. Di un giallo rosso d’incendio. E poi pare che l’incendio si spenga di colpo per un nuvolone di pece che sorge da dietro le catene giudee e che corre veloce per il cielo, scomparendo dietro ad altri monti. E quando il sole ritorna fuori è così vivo che l’occhio non lo sopporta che male.

Longino vede Maria, appena sotto, che guarda con un volto straziato verso il Figlio e che vorrebbe avvicinarsi a Lui. Ordina che venga lasciata passare insieme a Giovanni, creduto “figlio”. La folla impreca e maledice Maria con obbrobriosi insulti, ma Ella, con le labbra tremanti e sbiancate, cerca solo di dare conforto a Gesù con un sorriso straziato, su cui si perdono le lacrime che nessuna forza di volontà riesce a trattenere negli occhi.

Gesù soffre. II suo corpo cerca di trovare una posizione di sollievo, alleggerendo il peso che grava sui piedi, sospendendosi alle mani e facendo forza con le braccia. Respira a stento, e il volto passa da un bianco avorio a un rosso fuoco, a causa del sangue che non

circola bene e dell’aria che non esce completamente dai polmoni. Sopra il capo una spina più lunga delle altre gli tormenta la testa, provocando una ferita più profonda. II sangue salato gli entra nell’occhio sinistro semichiuso, reso tale dal gonfiore della guancia.

Scribi, farisei, sacerdoti, giudei urlano: “Ebbene? Tu, Salvatore del genere umano, perché non ti salvi? Dov’è il tuo padrone Beelzebul? Ti ha abbandonato anche lui?. Dov’è il Padre tuo? Non sei una cosa sola con Lui? Non sei suo Figlio? Non sei Dio? Dio!… Tu? Bestemmiatore! Scendi dalla croce e ti crederemo. Hai salvato tanti. Salva ora te stesso! Fai il miracolo. Ma poverino, non può, perché ha le mani impedite!”, e ridono senza pietà. “Solo a te i chiodi! Sì, per fermare quelle mani sacrileghe che hanno benedetto in nome di Beelzebul. Un favore che abbiamo fatto solo a te, nostro Re, ‘Re dei Giudei!”.

“Sei la Risurrezione e la Vita?. Ah! Ah! Ah! Ecco, fratelli, davanti a voi la Risurrezione e la Vita! Ecco il Figlio di Dio, l’Onnipotente! Ecco la Verità! Beh! Se questa è la Verità ci conviene fuggire e cercarne un’altra…”. E ridono. “Tu che distruggi il Tempio e lo fai risorgere! Eccolo là, il glorioso e santo Tempio d’Israele. È intoccabile, o profanatore! Tu! stai per essere distrutto, non il Tempio! Ma forse ora hai fame e sete, perché è molto che non mangi. Trasforma queste pietre in pani e quest’acqua in vino, così prenderai forza e ti staccherai dalla croce! Hai nostalgia dei festini di Lazzaro, vero? Ci sono le tue donne che ti aspettano a braccia aperte e anche quella spudorata di Maddalena che adesso ti adora. Amico delle prostitute e dei pubblicani! Sacrilego!”.

Gesù piange. Lacrime scendono abbondanti dai suoi occhi. Così lo ripagano? Non comprendono che Egli è l’Amore. Perché non comprendono le profezie dei Salmi e dei Profeti? Se non ha fatto nulla di male, perché lo percuotono? “Perché le genti congiurano, perché invano cospirano i popoli? Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia” (Salmo 2,1-2). Con profonda pietà Gesù dice mestamente: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”.

Tutto il corpo si arcua verso l’esterno, stando staccato dal tronco della croce dal bacino in su. La testa e tutto il torace pende in avanti. II ladrone di sinistra bestemmia e dice: “Salvati e salvaci se vuoi che ti si creda. Tu il Cristo? Sei un folle! Dio non c’è. lo! ci sono! Il resto non m’importa. La morte viene dopo la vita! non la vita dopo la morte. Sei un pazzo! Chi ti può credere? Dio, paradiso, vita eterna!? Non c’è nulla! La vita è qui e basta. Sai quali sono le cose che valgono nella vita? Queste: denaro, donne e potere. Tutto il resto è fola per tenerci quieti. Dio non c’è. Ho avuto tante donne e me ne farei ancora se potessi.

Peccato che per noi sia finita!”.

L’altro ladrone, che è a destra, lo rimprovera dicendo: Taci! Non temi Dio neanche adesso che stai per incontrarlo? Non temi il suo giudizio? Noi siamo stati cattivi in vita, ma Lui che male ha fatto? Non voglio sentire le tue bestemmie. Forse Dio… chissà, ci può ancora perdonare. Taci! Non farmi morire con le tue bestemmie nella mente. E poi si volge in basso per non vedere più gli occhi cattivi del compagno, e vede Maria nel suo affanno. La guarda e piange mormorando: “La mamma! Vorrei tanto chiederle perdono… L’ho uccisa col dolore che le davo… Mamma, perdonami! Sono un peccatore, ma sono sempre tuo figlio…”. Piange.

II buon ladrone ricorda sua mamma, il suo amore, la sua bontà, la sua pazienza, le sue raccomandazioni, la sua compagnia. Ricorda quando era bambino e correva fra le sue braccia. Ricorda i suoi baci e il suo sorriso. Piange apertamente… Un fiume di lacrime. Per mezzo di Maria la grazia sta operando il miracolo della conversione. II condannato guarda la Madre e dice: “Visto che mia mamma non c’è, chiedi tu perdono a lei ‘`      in nome mio. Dille che la amo. Dille che è una santa. Dille che il suo ‘bambino’ è qui e che sta morendo col suo nome sulle labbra. Mi capirà e mi perdonerà! Consolala tu, posto che io non posso farlo. Che sciagurato che sono stato! L’ho fatta piangere e l’ho uccisa con le mie mani! Era la mia vita… e adesso non c’è più!. Un lampo di soprannaturale speranza entra negli occhi del crocifisso e dice con ansia: “Madre, in nome del tuo Figlio morente, prega per me. Perdono!”. E piange forte. Maria lo guarda con profonda pietà e pare lo carezzi col suo sguardo di colomba. Poi Disma guarda Gesù e dice: “Gesù Nazareno, re dei giudei, pietà di me! Ricordati di me quando sarai nel tuo regno! Tu sei buono e stai pagando per i nostri peccati. Ora comprendo! Credo nella tua Divinità! Una volta ti ho sentito parlare, ma non ho avuto il coraggio di fermarmi, eri troppo Santo per me e io volevo godermi la vita. Ora me ne pento. Chiedo perdono davanti a Te. lo credo che Tu vieni da Dio. Credo nel tuo Potere, nella tua Divinità, nella tua Misericordia. Cristo perdonami in nome di Lei e del tuo Padre che è nei cieli. Gesù Nazareno, re dei giudei, abbi pietà di me! Gesù Nazareno, re dei giudei, io spero e confido in Te …!

Gesù si volge e lo guarda con profonda pietà, ed ha un sorriso ancora bellissimo sulla povera bocca torturata. Con voce fievole, ma sicura di Maestro, dice: “Sì, lo te lo dico: oggi tu sarai con me… in Paradiso”. Il ladrone si rilassa, sorride, si adagia sulla croce come su di un tappeto fiorito. Non sente più il dolore. Ha una gioia incontenibile dentro di sé. Guarda Gesù, guarda Maria, guarda i soldati, guarda la folla, guarda il cielo.

È una creatura nuova (Lettera di San Paolo agli Efesini 4,22-24). Vede il mondo con occhi diversi. Tace e prega, mentre il suo compagno è agitato e bestemmia.

Anche Gesù è più sereno. Il suo primo redento! II suo Sangue non è sparso invano. Un piccolo sollievo, ma ecco che torna l’agonia con la sua realtà di morte.

Gesù ansa per la fatica. Anche una sola parola gli crea dolore, perché i polmoni non lavorano bene in quella posizione. I suoi lineamenti sono sfigurati. Eppure, sotto il velo dei livori e delle ammaccature, del gonfiore per le percosse e del sangue, c’è ancora la traccia di una antica e non ancora del tutto perduta bellezza. Un corpo giovane, bello, sano e perfetto, capolavoro della natura umana (Salmo 44,3). Insieme a questa bellezza esteriore delle proporzioni e delle linee, si scorge in Lui un’altra bellezza che non si può definire. Una bellezza celeste, la bellezza della santità. È la bellezza spirituale del suo grande Cuore.

Nel suo Volto santo si scorge il riflesso di Dio. È qualcosa che colpisce, che commuove e che edifica. In quel Volto maltrattato e battuto c’è tutto il suo Amore. I suoi occhi, già pieni dell’orrore dell’agonia, lasciano trasparire una tenerezza più grande di quella materna. È proprio Lui: il Maestro buono (Vangelo di Marco 10, 17). Longino se n’è accorto e non cessa di guardare il Crocifisso. Si pone tante domande e vorrebbe sapere, conoscere, capire. Chi è quell’Uomo? Perché è così diverso dagli altri? Perché non impreca e non maledice? E la Madre vicina: una vera signora. Guarda, confronta e pensa. Intuisce che qualcosa di grande sta avvenendo su quel monticello e si compiace di poter assistere all’evento. Vorrebbe parlare con l’Uomo sopra di lui, ma la ferrea disciplina romana glielo vieta. È immobile come una statua, con la mano sinistra sulla spada e la destra tesa lungo il fianco. Mentre Disma, ora, ha trovato la pace e sembra che

non senta più dolore, l’altro ladrone si contorce, si dimena, impreca.

Il cielo si incupisce sempre più. Ora difficilmente le nubi si aprono per far passare il sole. Nel caldo afoso, vengono ventate fredde che passano rapide, ad intervalli, portandosi dietro una scia di nubi livide. La luce, prima molto forte, si va facendo verdastra. Gesù appare ancora più un cadavere in quella strana luce che precede il temporale. Infatti, molti cominciano a t impressionarsi e qualcuno ha paura. Anche i soldati accennano al cielo e ad una specie di cono che pare di lavagna tanto è cupo, e che si leva come un pino da dietro una vetta. Sembra una tromba marina. Mentre avanza lentamente diventa sempre più grossa e nera.

Gesù soffre molto e trema per la febbre. Dopo il caldo soffocante e le mosche, ora anche il vento si è messo a tormentarlo con i suoi gelidi soffi. La tensione dei muscoli si fa sempre più violenta, procurando frequenti crampi, specie nelle gambe. La circolazione è stentata e le estremità sono quasi gelide. II senso di soffocamento aumenta di intensità e si fa sempre più tormentoso, il respiro più rapido e difficile, perché i polmoni non riescono a svuotarsi dell’aria. L’angoscia diventa insopportabile e non c’è possibilità di cambiare posizione. Non c’è scampo: la morte avanza implacabile e lenta.

La testa gli si china sul petto, le forze vengono a mancare. Gesù trema di freddo e, nella sua debolezza, mormora: “Mamma… Mamma”. Lo dice piano, come in un sospiro, quasi fosse già in un lieve delirio. E Maria ogni volta ha un atto infrenabile di tendere le braccia come per soccorrerlo.

Eccola la Mamma! È lì, ai piedi della croce, crocifissa Lei pure. È in piedi, ma è l’amore che la sorregge, altrimenti sarebbe a terra già morta di dolore. Ma non può morire, non deve morire! per amore del suo Gesù. Anche il Padre non lo permette. Ha le labbra esangui e sottili, il viso venerando d’un pallore mortale, gli occhi bruciati dal pianto e dilatati dall’angoscia. Le altre donne, fra cui Maria di Alfeo, le mormorano qualche parola di conforto, ma Lei non risponde. Ogni conforto è assolutamente inutile. Maria è sola nel suo inenarrabile dolore.

È veramente un miracolo se non cade a terra. Se potesse salirebbe anche Lei sulla croce, poiché stare a terra è per Lei un dolore più atroce che essere appesa. Giovanni la sorregge con filiale premura, ma non parla: è l’amore per Lei che si fa parola.

Nemmeno una carezza può dare Maria al suo Figlio: i soldati non lo permettono. La spada profetizzata del vecchio Simeone penetra profonda nel suo cuore di Madre: “E anche a te una spada trafiggerà /’anima” (Vangelo di Luca 2,35)! Questa spada, che aveva visto balenare davanti a sé durante tutta la vita, questa spada, lunga e pungente, ora è tutta immersa nella sua anima! L’aveva intravista nelle veglie, l’aveva sognata nelle notti, l’aveva scorta pendere misteriosa sopra la culla del Figlio, l’aveva notata ricomparire nei giorni della sua vita pubblica… E aveva tanto temuto e trepidato per Lui! E ora, vibrata da una mano invisibile, quella spada le straziava il Cuore di Madre.

Anche la natura sembra che soffra di questa tortura. II buio si fa sempre più denso. È in questa luce crepuscolare e paurosa che Gesù affida Giovanni a Maria e Maria a Giovanni. Egli sente la Madre, la cara Madre vicina. La sente lì, ai piedi della croce. Sente il suo amore che sale a confortarlo. Vede il suo dolore. La povera testa del Redentore, tanto maltrattata, sfigurata e sanguinante, si piega lentamente verso di Lei. I loro occhi si incontrano, si parlano, si baciano. Maria ha un sospiro profondo e un brivido. II battito del suo cuore si fa più veloce e le toglie il respiro. Si mette più sotto alla croce per vedere meglio. Gesù le dice: “Donna… ecco tuo figlio. Figlio… ecco tua Madre”. Egli, che non ha più nulla da dare a sua Madre, le affida Giovanni. Ricorda il passo della Scrittura: “Con che cosa ti metterò a confronto? A che cosa ti paragonerò, figlia di Gerusalemme? Che cosa eguaglierò a te per consolarti, vergine figlia di Sion? Poiché è grande come il mare la tua rovina; chi potrà guarirti?” (Libro delle Lamentazioni 2,13). Maria piange lentamente, perché capisce che quelle parole sono come il testamento del suo Gesù, ma cerca lo stesso di sorridere come può, per confortare Lui…

Gesù non la chiama Mamma, ma “Donna”, per ricordare al mondo che Maria è la nuova Eva che dà la vita all’umanità. È la Donna che ha reso possibile l’incarnazione, la redenzione e quindi la salvezza. È la Donna vincitrice di Satana (Libro della Genesi 3,15), la Donna coronata con dodici stelle (Libro dell’Apocalisse 12, 1), la Madre: principio e fondamento dell’amore di Dio. La chiama “Donna”, per affidarla a noi come Madre. Egli si spoglia anche della cosa più cara al mondo, per cederla a noi: “Ecco tuo figlio”. Per Lui ora è la Donna, per noi è la Mamma. Un dono per tutti noi, rappresentati nella persona dell’amato discepolo Giovanni.

Lo sforzo sostenuto nel reprimere i sentimenti di Figlio nei confronti della Madre, getta Gesù in uno stato di angoscia indescrivibile. Non poterle comunicare tutto il suo amore, vederla immersa in uno strazio indicibile senza poterla soccorrere, Lui che aveva soccorso tanti infelici, tutto questo è un dolore intensissimo per il suo Cuore ed Egli si lascia invadere da un gelido senso di rimorso e di solitudine. Le tenebre, che già regnano fuori nel mondo, irrompono nell’anima sua. E Gesù si sente solo, infelicissimo, abbandonato, pentito. Si spegne ogni luce e gli pare di precipitare nell’abisso. È l’agonia completa. Prova tutto ciò che umanamente è possibile provare, per essere veramente il Figlio dell’uomo: “Provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato” (Lettera di San Paolo agli Ebrei 4,15).

Le sofferenze crescono di minuto in minuto. La soffocazione si fa sempre più intensa e più vivo l’affanno cardiaco. Gesù muove la bocca con fatica, le mascelle si irrigidiscono. La corona di spine gli vieta di appoggiarsi al tronco della croce per aiutare la sospensione sulle braccia e alleggerire i piedi. La schiena si curva più ancora e il respiro è sempre più inceppato. II volto di Cristo passa alternativamente da vampe di rossore intensissimo a pallori verdastri di morente per dissanguamento.

A gran fatica, puntandosi ancora una volta sui piedi, tendendosi quasi per offrirsi, per muovere a compassione il Padre con la vista di tutte le sue piaghe e della sua angoscia, alza il volto, guardando il cielo nero dal quale ogni azzurro ed ogni ricordo di luce sono scomparsi. E a questo cielo chiuso, compatto, basso, simile ad una enorme lastra di lavagna scura, Egli grida a gran voce: “Eloi, Eloi, lamma scebacteni!”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ma nessuna luce viene dal cielo. È l’agonia totale di corpo, di anima e di spirito. L’agonia solitaria, disperata, senza nessun tipo di conforto.

La gente ride e lo scherza. Lo insulta: “Parla più forte, altrimenti Baal non sente! Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato, si sveglierà” (Primo Libro dei Re 18,27). Altri dicono: “Non sa che farne Dio di Te! I demoni sono maledetti da Lui!”. Altri gridano: “Vediamo se Elia, o Dio, che Egli chiama, vengono a salvarlo”.

Gesù si accascia desolato, sembra morto. Qualcuno tira sassi per svegliarlo. La vita ritorna, ma la lotta continua. Satana lo assale nell’ultima tentazione.

Gli prospetta il suo fallimento di Maestro e di Redentore. Dov’è più la sua Parola di fuoco? Dove sono finiti i suoi portentosi miracoli? Dove sono i convertiti? A che serve tanto sacrificio? Il Padre non lo voleva. Era meglio se continuava a vivere, girare il mondo a predicare e a sanare. Molti si sarebbero convertiti all’udire le sue parole e a vedere i suoi miracoli. Ma la croce, perché? Dio non era d’accordo e per questo si era ritirato.

La voce satanica gli tormenta il cervello: “Torna indietro Cristo! Sei ancora in tempo. Fai un miracolo e scendi dalla croce. Fulmina con la tua potenza i tuoi nemici, rendi gloria al tuo Nome! È questo il modo per salvare le anime. lo te lo dissi già molto tempo fa, nel deserto, ma non mi hai creduto. Ora saresti rispettato, amato, seguito. II tuo nome sarebbe su tutte le bocche della terra… Ti sacrifichi per nulla! Gli uomini non ti ameranno per il tuo Sacrificio! Continueranno a peccare come prima e tu non potrai vincere l’inferno. Dove sono quelli che hai beneficato? Lo stesso tuo Padre non c’é. Se non ti ama Lui, di cui sei Figlio, come puoi sperare che ti amino gli uomini di cui sei Padrone? Dici che vuoi fare la volontà dei Padre, ma qual è la sua volontà? Non certo questa. Hai voluto fare di testa tua ed Egli ti ha abbandonato. Non sei più Dio, perché hai peccato. Come puoi pensare che Egli voglia la morte di suo Figlio? Credi che possa illudersi della sua utilità? Dovevi predicare, e invece hai voluto morire. Hai fallito Gesù! È con la Parola che si redime, non con la risurrezione dopo la morte. Lo hai detto anche Tu: ‘Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi’ (Vangelo di Luca 16,31). Quanto potrai servire Dio vivendo! Puoi percorrere il mondo, evangelizzare, guarire, consolare.

La terra abitata da Dio! Ecco la vera redenzione: rifare della terra il paradiso terrestre dove l’uomo torni a vivere in amicizia con il suo Creatore, ne oda la voce e ne veda i passi (Genesi 3,10). Ma Tu vuoi far l’eroe e dare la vita per gli amici! (Vangelo di Giovanni 15,13). Guarda tua Madre! Non ti addolora di farla soffrire? Non vedi che sta morendo anche Lei? Che Figlio sei? Che rispetto porti alla Legge? (Deuteronomio 5,16). E perché vuoi essere fedele a Dio? Ti è forse fedele Lui? Dove sono i suoi angeli? il suo sorriso? la sua luce? Sei un fallito, o Cristo! Sei un poveruomo e nulla più! Un sacrilego sei, perché permetti che mani sozze di peccato ti tocchino e dai la tua Parola in mano ai porci che la calpestino. Lo hai detto: ‘Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi’ (Vangelo di Matteo 7,6). Ma nemmeno Tu, a quanto vedo, rispetti la Parola di Dio, perciò Dio ti abbandona. Cambia idea, o Cristo, fin che sei in tempo, e impara da tua Madre a santificare il mondo. Guarda come soffre! Che Figlio sei? Tuo Padre l’ha creata, Tu l’hai distrutta. Lei è una Santa e non vuole la tua morte! Se la volesse non piangerebbe in questo modo. Guardala! Perciò lascia perdere il ‘Sacrificio’ e comincia una vita nuova di apostolo. Scendi dalla croce, è questo che vuole il Padre da Te! Scendi! perché stai per morire e poi sarà troppo tardi”.

La tentazione di Satana è tremenda, perché toglie il senso a tutto ciò per cui si vive e si muore. È la morte assoluta: il non senso. L’inutilità del vivere. È il tormento finale. Quello che accelera la morte, perché spreme le ultime gocce di sangue dai pori, perché stritola le superstiti fibre del cuore e uccide lo spirito: è la follia, o la morte.

Anche Gerusalemme scompare, avvolta in nubi di polvere sollevata dal vento, nelle tenebre di una notte precoce. Vi è infatti un vento che asseta anche i sani. Un vento continuo, a tratti violento, polveroso, freddo, pauroso. Ma proprio tutto si è messo a torturare il Martire!

Il sole, come il Padre, non c’è più. La sete, data dalla perdita di sangue, dalla febbre e dal sole, deve essere intensa, tanto che Gesù, con mossa macchinale, beve le stille del suo sudore e del suo pianto, e anche le gocce del sangue che gli scendono dalla fronte fin sui baffi, e si bagna con queste la lingua…

La sete! Quale tortura la sete! Gesù aveva passato la notte oppresso da un’angoscia di morte. Durante le terribili ore dell’agonia spirituale aveva avuto un sudore copioso, che s’era poi trasformato in sudore di sangue. E anche questo trasudamento di sangue dovette essere abbondante, perché, dopo aver bagnato il sacro corpo di Gesù, andò a inzuppare la terra (Vangelo di Luca 22,44). Questo forte sudore produsse in Lui una sete acuta. A ciò si aggiunga che Gesù aveva passato una notte tormentata, trascinato da un tribunale all’altro, accusato di colpe gravissime, maltrattato dai capi giudei e dalle guardie romane.

E che dire poi della orribile flagellazione e della coronazione di spine? Questa nuova perdita di sangue gli procurò un inasprimento della sete, che era già ardente. La febbre, dovuta alle gravi ferite e alla perdita di sangue, non fece che aumentare l’arsura e renderla sempre più insopportabile.

Durante.tutta quella terribile mattina, Gesù aveva dovuto sempre stare in piedi. Non gli era stato concesso un momento di riposo. Aveva dovuto portare la croce, dopo la barbara flagellazione, benché ormai sfinito e assolutamente stremato di forze; e tutto questo sotto la sferza del sole d’aprile che in Palestina è assai caldo, un sole afoso, come quando si prepara un grosso temporale.

Gesù era anche oppresso dalla soffocazione. II suo respiro non era più ritmicamente regolare, bensì affrettato, quasi violento, come se sentisse mancare l’aria. La Sacra Sindone mostra chiaramente l’impronta del torace sollevato, come per aspirare disperatamente l’ultima stilla di aria. Quel respiro affannoso, fatto attraverso la bocca aperta, perché ormai il naso intasato da grumi di sangue non bastava più al bisogno, fini per essiccare del tutto la lingua, il palato e la gola del Salvatore, soprattutto sulla croce.

La tortura della sete! Gesù geme con voce rauca e stridula, una voce angosciata: “Ho sete!”. Anche il vento lo tortura, asciugandogli più ancora la bocca e impedendogli il respiro col suo violento soffio. Ha sete di acqua il nostro Maestro, ma anche questa gli viene negata. Un soldato va ad un vaso dove c’è aceto con fiele, perché col suo amaro aumenti la salivazione nei suppliziati, non certo per dissetare. Prende la spugna immersa nel liquido, la infila su una canna e porge la spugna al Morente, il quale apre avidamente la bocca e si tende in avanti per avere un refrigerio. Trova il mordente dell’aceto per la bocca ferita e l’amaro del fiele per ultimo disgusto. È un fuoco per le labbra e il palato. Si ritrae ripugnato, accasciato. Si abbandona. Ricorda le parole del Salmo: “Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto” (Salmo 68,22). Maria che vede, geme. Ricorda quando Gesù prendeva il suo latte. Si appoggia a Giovanni, sconfortata. Vorrebbe dargli un po’ d’acqua, o almeno bagnarli le labbra con le sue lacrime, ma non può.

È una tortura!

Ora tutto il peso del Corpo gravita sui piedi e in avanti. Solo le anche aderiscono alla croce. Anche la testa, con i capelli scomposti che la nascondono, pende in avanti. II respiro si fa sempre più debole. Ogni tanto un colpo di tosse penosa porta una schiuma

lievemente rosata alle labbra. E le distanze fra una espirazione e l’altra diventano sempre più lunghe. L’addome è già fermo. Solo il torace ha ancora dei sollevamenti, ma faticosi, stentati… La paralisi polmonare si accentua sempre più. Sempre più fievole viene l’invocazione: “…Mamma! Dove sei? Non ti vedo più. Anche tu mi abbandoni?”. E Maria mormora: “No, tesoro, sono qui! lo non ti abbandono, Figlio caro!. La Mamma è qui, qui è… e solo si tormenta di non poter venire dove Tu sei…”. Piange. E, se Giovanni non la tenesse, salirebbe anche Lei sulla croce. Pure Giovanni piange. La morte imminente fa parlare Gesù come in un delirio e neppure sa cosa dice; e, purtroppo, neppure comprende il conforto materno e l’amore del prediletto.

Longino e gli altri soldati non vogliono commuoversi. Ma il loro volto si altera nello sforzo di vincere l’emozione, e gli occhi hanno un luccicore di pianto che solo la ferrea disciplina romana trattiene. II cielo è diventato nerissimo: un grosso temporale si sta avvicinando. Sembra quasi notte. Gesù sente la morte vicina e, nell’oscurità totale, sussurra: “Tutto è compiuto!”. Lo dice con infinita rassegnazione. E poi l’ansito sempre più rantoloso, con pause di silenzio fra un rantolo e l’altro sempre più lunghe.

Si, tutto è compiuto. La Scrittura ha trovato in Gesù il suo pieno compimento, le profezie si sono avverate, Dio ha fatto il possibile per salvare l’uomo, il Cristo ha amato sino alla fine e si è pienamente consumato nelle fiamme di una inesauribile e inconcepibile carità. La redenzione è pronta.

Ancora un silenzio. Poi viene pronunciata con infinita dolcezza, con ardente preghiera, la supplica: “Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!”.

Infine, ecco, l’ultimo spasimo di Gesù. Una convulsione che sale per tre volte dai piedi e corre per tutti i poveri nervi torturati e pare voglia svellere il corpo infisso coi tre chiodi dal legno; solleva tre volte l’addome, poi lo lascia, dopo averlo dilatato come per sconvolgimento di visceri, ed esso si affloscia come svuotato; contrae e gonfia fortemente il torace, scuote le braccia, fa rovesciare violentemente indietro, una, due, tre volte il capo, che percuote contro il palo; contrae in uno spasimo tutti i muscoli del volto, accentuando la deviazione della bocca a destra, fa spalancare e dilatare le palpebre sotto la crosta della polvere e del sangue. Il corpo si tende come un arco teso, vibrante, e poi un grido potente, impensabile in quel corpo sfinito, si sprigiona, lacera l’aria: “Mam… ma”. Una parola spezzata dalla morte. Il “grande grido” di cui parlano i Vangeli (Vangelo di Matteo 27,50; Vangelo di Marco 15,37). E più nulla… La testa ricade sul petto, il corpo in avanti, il fremito cessa e cessa il respiro. È spirato.

La terra risponde al grido dell’Ucciso con un boato pauroso. Mentre il vento fischia, fulmini rigano il cielo in tutti i sensi, cadendo sulla città, sul Tempio, sulla folla…, e un terremoto scuote la terra (Vangelo di Matteo 27,51). Sembra la fine del mondo. La gente urla di terrore e si abbranca l’una con l’altra. I fulmini sono l’unica luce che permetta di vedere, tanto è scuro (Vangelo di Luca 23,44). Nelle scosse sussultorie e ondulatorie, che scuotono talmente le tre croci che sembra le debbano ribaltare, la vetta del Golgota ondeggia e balla come un piatto in mano di un pazzo.

La gente rimasta, Longino e i soldati si raccolgono insieme dove possono, per non cadere e non scivolare giù dal pendio. Maria, per il dolore e per il traballio, si abbandona sul cuore di Giovanni e sviene. II discepolo la adagia ai suoi piedi. I ladroni urlano di terrore, mentre la folla urla ancora di più e vorrebbe scappare. Ma non può, perché traballa tutto e ci vuole poco per cadere dai dirupi. Cadono le persone l’una sull’altra, si pestano, si infossano nelle spaccature del suolo, si feriscono anche, rotolano giù per la china, impazziti.

Per tre volte si ripete il terremoto e l’aeromoto, e poi si fa l’immobilità assoluta di un mondo morto. Solo dei , lampi, ma senza tuono, rigano ancora il cielo e illuminano la scena dei giudei fuggenti in ogni senso, con le mani fra i capelli, o tese in avanti, o alzate al cielo, schernito fino allora e di cui adesso hanno paura.

L’oscurità si fa poi meno fitta, in un barlume di luce che lentamente ritorna. Molti restano al suolo: morti, feriti o svenuti. Una casa arde nell’interno delle mura e le fiamme si alzano dritte nell’aria ferma, mettendo un punto di rosso fuoco sul verde cenere dell’atmosfera.

Alla luce scialba e livida di quel cielo crepuscolare, il corpo immobile di Gesù pende senza più moto dalla croce. La sua carne, bianca come il marmo, è tutto striata di rigagnoli di sangue. Un’ultima goccia, scorrendo sui piedi e perdendosi tra le dita, cade a terra.

Maria alza il capo dal petto di Giovanni e guarda Gesù. Lo chiama, perché mal lo vede nella poca luce e con i poveri occhi pieni di pianto. Tre volte lo chiama: “Gesù! Gesù! Figlio mio!”. Poi ascolta… Ha la bocca aperta, pare voglia ascoltare anche con quella, come ha dilatati gli occhi per vedere, per vedere… Non può credere che sia morto… Infine, ad un lampo che fa come una corona sopra la vetta del Golgota, vede Gesù, immobile, tutto pendente in avanti, col capo talmente piegato all’infuori e a destra, da toccare con la guancia la spalla e coi mento le coste. E comprende. Giovanni, che anche lui ha guardato e ascoltato, ed ha capito che tutto è finito, abbraccia Maria e cerca allontanarla dicendo: “Non soffre più”.

Quelle parole sono una frecciata per Maria che si curva ad arco verso il suolo, si porta le mani agli occhi e grida: “Non ho più Figlio!”. E poi vacilla e cadrebbe se Giovanni non se la raccogliesse tutta sulle spalle. Poi il discepolo si siede per terra, per sostenerla meglio sul suo petto, accarezzandola sulla testa e chiamandola per nome. Vengono anche le altre donne a soccorrerla, presso Giovanni.

La Maddalena si siede dove era Giovanni e si adagia Maria sui ginocchi, sostenendola fra le braccia e il suo petto, baciandola sul volto esangue, riverso sulla sua spalla. Marta e Susanna, con la spugna e un lino intrisi nell’aceto, le bagnano le tempie e le narici, mentre la cognata Maria di Alfeo le bacia le mani e la chiama: “Figlia diletta… dimmi che mi vedi… Sono la tua Maria… povera, santa figlia mia! Non mi guardare così!…”. Maria rinviene sconvolta con un primo singhiozzo, e poi molte lacrime le cadono dalle guance con gemiti di colomba torturata. Un pianto desolato à cui fanno eco tutte le altre donne, ossia Marta e Maria, la madre di Giovanni, Maria di Cleofa e Susanna.

II centurione capisce che questo è il momento più adatto per compire il crurifragio. Si accosta a Giovanni e gli dice piano qualche parola. Poi si fa dare da un soldato una lancia. Guarda le donne tutte intente a Maria, che riprende lentamente le forze. Esse hanno tutte le spalle alla croce, perciò è il momento giusto. Longino si pone in fronte al Crocifisso, studia bene il colpo e poi lo vibra. La lancia penetra profondamente da sotto in su, da destra a sinistra. Dalla ferita geme un fiotto di siero e sangue che scola lentamente dalle carni ormai fredde. Dice a Giovanni: “È fatto, amico… E senza spezzare osso… Era veramente un Giusto! Non ho mai visto un uomo morire come Lui”, esclama seriamente Longino (Vangelo di Giovanni 19,33-34).

E Giuseppe con Nicodemo dicono: “Sì. Era il Figlio di Dio!”. Poi vanno in fretta da Pilato a chiedere il corpo di Gesù.

Nel scendere dal monticello incontrano Gamaliele, il grande rabbi d’Israele. Un Gamaliele spettinato, senza copricapo, senza mantello, con la veste sporca di terriccio e strappata dai rovi. Un Gamaliele che corre, salendo e ansando, con le mani nei capelli radi e molto brizzolati di uomo anziano. Dice “Cose tremende! Ero nel Tempio…! II segno! II terremoto! II velo lacerato!.    Il Santo dei santi profanato!” (Vangelo di Matteo 27,51).

Sì, il velo del tempio è squarciato, perché Gesù Cristo ha tolto il muro di separazione che era fra Dio e l’uomo, facendo dei due una cosa sola (Lettera di San Paolo agli Efesini 2,14-16).

Tu sei degno, o Signore, di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo Sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione. A Te, Agnello immolato, onore, gloria e benedizione! (Libro dell’Apocalisse 5,9-13).

“Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte… Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti! Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo. Tutte le genti verranno e si prostreranno davanti a te, perché i tuoi giusti giudizi si sono manifestati” (Libro dell’Apocalisse 12,10, 15,3-4).

Tu sei l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine, il Primo e l’Ultimo, l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente! (Libro dell’Apocalisse 1,8; 3,14, 22,13).

La città è in preda al terrore. Gente che vaga battendosi il petto. Gente che sale e gente che scende. Molti corrono, ma non sanno perché corrono e dove vanno. Gente sconvolta e girovaga, senza meta. Alcuni dicono: “Dio ci ha maledetti. Pietà! Abbiamo ucciso il Cristo, abbiamo rinnegato Dio e i nostri Padri! Israele non sarà più il popolo eletto”. Chi geme: “I sepolcri! I sepolcri! Mi è apparsa mia madre e mi ha maledetto!” (Vangelo di Matteo 27,52-53). Si battono il petto con rimorso e hanno paura.

Gamaliele raggiunge le croci e dice, rivolto verso Gesù: “Il segno! II segno! Dimmi che mi perdoni! Un gemito, anche un gemito solo, per dirmi che mi senti e mi perdoni”. Lo crede ancora vivo, ma un soldato si avvicina e gli dice “Taci. Non serve! Dovevi pensarci prima. È morto. E io, pagano, te lo dico: Costui, che voi avete crocifisso, era veramente il Figlio di Dio! Non ho mai visto cose simili” (Vangelo di Marco 2,12).

“Morto? Morto sei? Oh! …”. Gamaliele alza il volto terrorizzato, cerca di vedere bene nella luce crepuscolare. Capisce che Gesù è morto, perché il suo corpo pende inerte in avanti senza moto. Poi vede il gruppo pietoso delle donne che confortano Maria, e Giovanni ritto alla sinistra della croce che piange, e Longino ritto a destra, solenne nella sua rispettosa postura. Gamaliele si pone in ginocchio, tende le braccia e piange disperatamente: “Eri Tu! Eri Tu! Non possiamo più avere perdono. Abbiamo chiesto il tuo Sangue su noi. Ed Esso grida al Cielo e il Cielo ci maledice… Oh! Ma Tu eri la Misericordia!.., Il tuo Sangue su noi, per pietà. Aspergici con Esso! Perché solo il tuo Sangue può impetrarci perdono… Tu, Luce del mondo, pietà di me! Nelle tenebre che non ti hanno compreso fa’ scendere un tuo raggio! Sono Gamaliele, il grande rabbi, il vecchio giudeo fedele a ciò che credeva giustizia ed invece era errore. Adesso sono un arido deserto. Perché non ti ho compreso quando venisti al Tempio fanciullo, molti anni fa? Perché ti ho disprezzato poiché venivi dalla Galilea? Sulle tue labbra c’era la Sapienza ed io non l’ho vista. Avevo occhi e non vedevo, avevo orecchi e non sentivo (Salmo 134,16-17; Libro del profeta Geremia 5,21). Opera Tu il miracolo di far sorgere un fiore, che abbia il tuo Nome, in questo povero cuore di vecchio israelita  pervicace. In questo mio povero pensiero, prigioniero delle formule, penetra Tu, Liberatore. Isaia lo dice: ‘Pagò per i peccatori e prese su di Sé i peccati di molti’ (Libro del profeta lsaia 53).

Gamaliele piange. Si alza. Guarda la croce, che si fa sempre più nitida nella luce che rischiara, e poi se ne va curvo, invecchiato, annichilito, sconvolto, pensoso.

E sul Calvario torna il silenzio appena rotto dal pianto di Maria. I due ladroni, esausti dalla paura, sono ancora vivi e non parlano più.

Tornano di corsa Nicodemo e Giuseppe, dicendo che hanno il permesso di Pilato e l’ordine di compiere il crurifragio sugli altri due condannati. Longino chiama i quattro boia, che sono ancora terrorizzati dall’accaduto, e ordina che i due ladroni siano finiti a colpi di mazza, prima sulle gambe e poi sul petto (Vangelo di Giovanni 19,32).

Giuseppe e Nicodemo pensano a togliere Gesù dalla croce con leve e tenaglie, mentre Giovanni tiene le scale. Schiodano prima il palmo destro. II braccio cade lungo il Corpo che ora pende semistaccato. Dicono a Giovanni di salire lui pure e di lasciare le scale alle donne.

E Giovanni, montato sulla scala dove prima era Nicodemo, si passa il braccio del Signore intorno al collo e lo tiene così, tutto abbandonato sulla spalla: sembra un bambino addormentato sul cuore della mamma.

Quando i piedi sono schiodati, Giovanni fatica non poco a tenere e sostenere il Corpo del suo Maestro fra lui e la croce. Ma schiodare il braccio destro è l’operazione più difficile. Nonostante ogni sforzo di Giovanni, il Corpo pende tutto in avanti e la testa del chiodo sprofonda nella carne. Finalmente il chiodo è afferrato dalla tenaglia ed estratto piano piano.

Giovanni tiene sempre Gesù per le ascelle, con la testa rovesciata sulla sua spalla, mentre Nicodemo e Giuseppe lo afferrano uno alle cosce, l’altro ai ginocchi, e cautamente scendono così dalle scale.

Maria si pone già ai piedi della croce, seduta con le spalle alla stessa, pronta a ricevere il suo Gesù nel grembo. Finalmente può toccare il suo ‘Bambino’.

Giunti a terra vorrebbero adagiare il Corpo sul lenzuolo che hanno steso sui loro mantelli. Ma Maria lo vuole. Si è aperta il manto e sta con le ginocchia un po’ aperte per fare cuna al suo Gesù. Glielo posano in grembo e sembra uno stanco e grande Bambino che dorma tutto raccolto sul seno materno.

Maria lo chiama con voce di strazio. Poi lo carezza, lo bacia e piange sulle ferite. Gli accarezza le guance, specie là dove è il livido della bastonata e il gonfiore (Vangelo di Luca 22,63-64), bacia gli occhi infossati, la bocca rimasta lievemente socchiusa e storta a destra. Vorrebbe ravviargli i capelli, come gli ha ravviato la barba ingrommata di sangue, ma nel farlo incontra le spine. Si punge per levare la corona e non vuole farlo che Lei, con l’unica mano che ha libera. E, quando può levare questa torturante corona, si curva a medicare tutti gli sgraffi delle spine con i suoi baci. Con la mano tremante divide i capelli scomposti, li ravvia e piange, e parla piano piano, e asciuga con le dita le lacrime che cadono sulle povere carni gelide e sanguinose. Nell’asciugare dal sangue e dalle lacrime le membra sante del Figlio, incontra lo squarcio del costato. La piccola mano, coperta dal lino sottile, entra quasi tutta nell’ampia ferita. Maria si curva per vedere nella semiluce che si è formata, e vede. Vede il petto aperto e il cuore di suo Figlio. Urla e sembra che una spada le abbia aperto il cuore, poi si rovescia su Gesù morto e pare morta Lei pure.

La soccorrono, la confortano. Maria piange, gridando: “Dove ti metterò, che sia sicuro e degno di Te?”. Giuseppe d’Arimatea la rassicura dicendo: “Confortati, o Donna! II mio sepolcro è nuovo e degno di un grande. Lo dono a Lui. Lì lo deporremo. E questo mio amico, Nicodemo, ha offerto il telo ed ha già portato gli aromi nel sepolcro. Ma, ti preghiamo, poiché la sera si avvicina, lasciaci fare, o Donna Santa! …

È Parasceve e non si può più aspettare. Il tramonto è vicino”.

Anche Giovanni e le altre donne supplicano Maria, e Lei si lascia levare dal grembo la sua Creatura e si alza, affannosa, bianca come il marmo, mentre avvolgono il corpo di Gesù nella Sindone.

Sollevano la Salma avvolta nel lenzuolo e si avviano giù per la via. Maria è sorretta dalla cognata Maria Cleofa di Alfeo e dalla Maddalena, seguita da Marta, Maria di Zebedeo e Susanna, che hanno raccolto i chiodi, le tenaglie, la corona, la spugna e la canna. Scendono tristemente verso il sepolcro, senza proferire parola.

La crocifissioneultima modifica: 2010-07-20T15:42:00+02:00da meneziade
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