Vita di Gesù 4

caravaggio_sepoltura-cristo.jpgDivina Commedia.

81. Ma il giudaismo palestinese insegnava che prima dell’oltretomba dovevano accadere due grandi fatti: la venuta del Messia e il dramma dei tempi estremi. Spessissimo poi i due fatti, che per sé apparivano distinti, furono congiunti e mescolati insieme, ed offri­rono inesauribile materia alla letteratura apocalittica che fiori in pieno a quei tempi. Il grande Eletto in greco “un­to”, ch’era stato promesso dagli antichi profeti come liberatore e glorificatore d’Israele, era atteso nei due secoli anteriori e in quello posteriore a Gesù in maniera ansiosissima. La sua venuta era messa in relazione con le condizioni in cui si trovava la nazione. Questo Messia avrebbe dovuto instaurare in Israele un’epoca di felicità, la quale sarebbe stata anche una giusta ricompensa per le tante umi­liazioni fino allora sofferte; il Dio Jahvè, liberando per mezzo del Messia la sua prediletta nazione e facendola trionfare di tutti i suoi nemici, avrebbe procurato anche il suo proprio trionfo: il dominio d’Israele su tutte le nazioni pagane sarebbe stato anche il dominio del vero Dio su tutti i figli dell’uomo, il Regno di Dio sulla terra. Perciò tutti gli sguardi erano protesi verso quel grande Venturo: si speculava sul tempo della sua venuta, sul modo della sua azione, sulle sue gesta fra le nazioni pagane, e anche sui rapporti che il regno messianico avrebbe avuto col mondo fisico odierno e con le leggi che lo governano. Ai tempi di Gesù si ritiene concordemente che il Messia discenderà dalla stirpe di David, come ha affermato l’antica tradizione; spesso lo si chiama “figlio d’uomo”, come è stato chiamato in Daniele, 7, 13. Se quattro grandi regni si sono succeduti nel passato crollando tutti successivamente, il regno del Messia che sarà il quinto permar­rà in eterno (Daniele, 2); se nel passato quattro regnanti in forma di quattro grandi fiere sono sorti dal mare e un corno della quarta fiera (Antioco IV Epifane) ha fatto strage dei santi dell’Altissimo, tutte queste forze ostili a Dio saranno distrutte da Uno che è “come figlio d’uomo”, che riceve in cielo ogni potenza dall’”Antico dei giorni“, e scende poi sulla terra a stabilirvi vittoriosamente il suo regno imperituro in cui domineranno i santi dell’Altissimo, e rice­veranno l’omaggio di tutti gl’imperi (Daniele, 7). Su questi fonda­mentali temi biblici ricamano i vari scritti apocrifi, intrecciandovi molti altri elementi.

§ 82. Di particolare importanza è quella sezione del Libro di He­noch designata come “Libro delle parabole” (capp. 37-71), che fu scritta probabilmente verso l’80 av. Cr. Il Messia è l’Eletto di Dio, e presso Dio attualmente egli dimora; il nome del “figlio dell’uo­mo” è pronunziato davanti al Signore degli spiriti (cioè il Messia – esiste effettivamente davanti a Dio) prima che siano creati il sole e le stelle. Egli sarà bastone di sostegno per i giusti, lume delle na­zioni; davanti a lui si prostreranno tutte le genti (48, 2 segg.), in lui dimora lo spirito di sapienza e lo spirito che rischiara, lo spirito di scienza e di forza, e lo spirito di coloro che si sono addormentati nella giustizia (49, 3; cfr. Isaia, 11, 2); egli giudicherà tutte le genti, ripagando coloro che hanno oppresso i giusti, e alla sua venuta risorgeranno i morti (51, i segg.; 62), cielo e terra si trasmuteranno, e i giusti rimarranno insieme con lui nella vita eterna diventando angeli celestiali. Di poco posteriori a Henoch sono i cosiddetti Salmi di Salomone, i quali contemplano il Messia sotto una luce un po’ meno celestiale e un po’ più terrena. Essi, specialmente il XVII e il XVIII, pregano Dio d’inviare ad Israele il suo “re, figlio di David”, affinché regni su di esso, schiacciando i dominatori ingiusti, purificando Gerusalemme dai pagani, mettendo in fuga le nazioni; dopo di ciò egli racco­glierà Israele, governandolo in pace e con giustizia, e allora tutti i pagani verranno dall’estremità della terra a contemplare la gloria di Gerusalemme. Egli è “puro da peccato”, e ”Dio lo renderà forte per mezzo dello Spirito santo”. Concetti analoghi si ritrovano nei Testamenti dei XVI Patriarchi, nel IV Esdra (cap. 13), nell’Apocalisse di Baruch (39, 7 segg.; 70, 2 segg.), ecc.

§ 83. In queste elucubrazioni si ritrovano i tradizionali temi mes­sianici dei profeti, ma adattati alle diverse circostanze storiche e ten­denze spirituali. Lo speculativo scrittore di Henoch li impiega per dar corpo alla sua costruzione mistico-escatologica; il Fariseo autore dei Salmi di Salomone, che scrive sotto gli ultimi decadenti Asmo­nei, vi ricerca una specie di rivincita religioso-nazionale fra lo sban­damento dello Stato e dopo la conquista di Gerusalemme fatta da Pompeo nel 63 av. Cr. Da quel tempo, infatti, si pensò sempre più al Messia come a un vindice nazionale e a un conquistatore politico. Gli stessi Zeloti (§ 42), nel suscitare e condurre avanti la paradossale insurrezione degli anni 66-70 contro Roma, non furono sostenuti da speranze umane, bensi da quella del Messia, invincibile condottiero che sarebbe apparso improvvisamente a sbaragliare i Romani, per poi assidersi glorioso sul trono di Gerusalemme. A qualcosa di simile sembra che pensasse anche la madre dei due discepoli di Gesù, quando voleva assicurare ai suoi figli i due migliori posti, uno a si­nistra e l’altro a destra di lui (Matteo, 20, 21). Lo stesso alessandri­no Filone pare che abbia condiviso, al­meno parzialmente, l’idea del Messia conquistatore politico, senza però giungere all’aberrazione di Flavio Giuseppe; costui, nel suo servilismo verso i Romani, affermò che le sacre Scritture ebraiche, parlando del futuro Messia, avevano alluso all’imperatore Vespasiano. E’ superfluo dire che della febbrile aspettativa comune s’approfitta­rono, ai tempi di Gesù e dopo, moltissimi ciurmadori ricordati occa­sionalmente da Flavio Giuseppe, i quali si spacciavano alle ansiose plebi come inviati di Dio. I loro tentativi finivano naturalmente in maniera o tragica, sotto le spade dei Romani, o ridicola, tra le beffe dei connazionali eppure, tanta era la fiducia riposta in essi dal po­polino, che perfino quando Gerusalemme era già invasa dai Romani e il Tempio era già in fiamme, cotesti falsi profeti messianici trova­vano seguaci disposti a credere imminente l’intervento taumaturgico di Dio (cfr. Guerra giud., VI, 285-288). Diffondendosi ulteriormente, il messianismo nazionalistico invase an­che il campo dell’escatologia, e intrecciandosi più o meno stretta­mente con le credenze dei tempi estremi offrì ampio materiale alla letteratura apocalittica contemporanea.

§ 84. L’apocalittica è una particolare forma letteraria che si presen­ta – come dice il suo nome (da “svelo cose segrete” da parte di Dio) – quale rivelatrice difatti futuri, specialmente delle ul­time sorti dell’umanità intera e d’Israele. Ha perciò molte analogie con la letteratura “profetica”, ma ha pure rilevanti divergenze da essa. L’apocalittica fu in realtà un succedaneo allo scritto “profe­tico”, e mirò anch’essa ad assicurare il trionfo finale del bene sul male e d’Israele sulle nazioni pagane; ma si ritrovò in altre circostanze storiche, ed impiegò artifizi letterari differenti. L’antico profetismo si era proposto di correggere la nazione con­temporanea, riferendosi ai tempi presenti e preparando i futuri: l’apocalittica invece fu più radicale, e con un pessimismo fonda­mentale proclamò il fallimento di tutto il mondo contemporaneo, che doveva essere rinnovato ab imis e attraverso una palingenesi doveva far posto a nuovi cieli e nuova terra, in cui finalmente avrebbero trionfato il bene e Israele. Il profetismo aveva bensi appellato all’epoca messianica ma in funzione correttiva dei tempi presenti, pre­sentandola quale condizionato premio del rinsavimento d’Israele: l’apocalittica, al contrario, ne parlò incondizionatamente come di oggetto d’un assoluto decreto divino, e soprattutto contemplò quell’epoca come affatto indipendente dalla condotta attuale d’Israele. Siffatto atteggiamento, cosi sfiduciato del presente e cosi proteso verso il futuro, era conseguenza sia delle sciagure politiche, le quali dai tempi dei Seleucidi in poi si erano rovesciate periodicamente sulla nazione, sia della progressiva decadenza interna cagionata dal dilagante ellenismo. Evidentemente, un mondo – o come si diceva un “secolo” – cosi tenacemente iniquo non poteva sussistere più oltre; doveva ben ve­nire dies irae, dies illa (Sofonia, 1, 15), che solvet saeculum in favilla, e appunto questa conflagrazione cosmica sarebbe stata l’inizio dell’auspicata palingenesi! Ma quanto alla data di questa palingenesi, l’apocalittica andò spesso a ritroso all’ansiosa attesa diffusa, rele­gando il solenne avvenimento in un vago ma remoto futuro; si mo­strava con ciò nuovamente il pessimismo cagionato dalle circostanze storiche contemporanee, ma insieme la fiducia che le antiche pro­messe non sarebbero fallite.

§ 85. Letterariamente, l’apocalittica non inventò di sana pianta le sue forme, ch’erano già state impiegate parzialmente da precedenti scritti, ma le sviluppò ed accrebbe grandemente. Essa attribuisce quasi sempre le proprie rivelazioni a venerati personaggi dell’anti­chità (Henoch, Mosè, Elia, ecc.), e fa annunziare da essi in forma profetica avvenimenti apparentemente futuri, i quali sono in realtà avvenimenti passati per il vero compositore dell’apocalisse: questa falsa attribuzione era una commendatizia per lo scritto, concilian­dogli in parte quell’autorità che non si poteva più avere dopo il tra­monto del profetismo. Artifizi letterari frequentissimi dell’apocalittica sono la “visione” e il simbolo, che spesso si fingono rimanere in­compresi dagli uditori a cui si rivolge il personaggio che parla (in Zacharia, cap. 4 segg., un angelo funge da interprete dei simboli), mentre per i contemporanei del vero autore sono allegorie ben chia­re di avvenimenti passati. Le descrizioni escatologiche sono minuziose, e il “secolo futuro” è analizzato nelle minime particolarità. Assai sviluppata è pure l’angelologia, e gli spiriti buoni o cattivi ap­paiono in funzioni di cooperatori o di avversari di Dio nella sua lot­ta contro il male, che finirà sconfitto. I temi più frequenti, entro il gran quadro degli avvenimenti messianici, sono la lotta degli imperi pagani contro Dio e contro Israele, l’adunata delle dodici tribù di­sperse, il cataclisma dell’intero cosmo, il trionfo dei giusti nel re­gno del Messia, la resurrezione dei morti e il giudizio di tutto il ge­nere umano, lo stato finale dei giusti e degli empi. §. 86. Crediamo opportuno, per dare un’idea concreta, aggiungere qui un riassunto del più ampio e antico scritto apocalittico apocrifo gia piu volte allegato, l’etiopico Libro di Henoch. è non di getto ma di compilazione, nella quale sono confluiti vari scrit­ti precedenti, sorti fra il II e il I secolo av. Cr. in Palestina, in lingua ebraica o aramaica: l’intera compilazione fu poi tradotta in greco, e di qui in etiopico verso il secolo V. Servi da repertorio a scrittori di apocalissi posteriori Libro dei Giubilei; Testamenti dei XII Pa­triarchi; ecc.), fu allegata con venerazione da Padri cristiani, ed ha pure stretta parentela con un passo del Nuovo Testamento (cfr. Giuda, vers. 14-15, con Henoch, 1, 9). Eccome il riassunto. CAPP. 1-5: Servono da introduzione. Il protagonista Henoch descrive il giudizio futuro, secondo notizie comunicategli dagli angeli con l’incarico di trasmetterle agli uomini; nel giudizio si assegnano pene agli angeli prevaricatori e agli uomini empi, e premi ai giusti. –capp. 6-16: Duecento angeli prevaricano avendo commercio con le figlie degli uomini, e svelano ad esse gran quantità di segreti magici, terapeutici, ecc.; perciò sono puniti. capp. 17-36: Henoch viaggia nel cosmo superiore e inferiore, guidato da un angelo che spiega le cose misteriose: fra altro, egli vede in alto i magazzini delle varie meteore, le camere degli astri, ecc.; visita il paradiso terrestre e il luogo dei dannati; conosce i nomi e gli uffici dei sette arcangeli, il peccato delle sette stelle incatenate per diecimila secoli, ecc. – CAPP. 37-71: E il “Libro delle parabole”. La prima descrive la lotta fra il mondo superiore e quello inferiore, che rimane sopraflatto nel giorno del giudizio quando si rivela il Regno dei santi; la seconda presenta l’avvento e il trionfo del « figlio dell’uomo » e la vittoria messianica sugli empi; la terza parabola descrive la beatitudine degli eletti dopo l’attuazione del Regno messianico; infine (CAPP. 70-71) Henoch e’ assunto in cielo ad ammirare le meraviglie. – CAPP. 72-82: E’ il cosiddetto “Libro astronomico”, che tratta del moto degli astri, delle varie leggi cosmiche e fisiche, ecc. – CAPP. 83-90: Vi si conten­gono visioni avute in sogno: la prima tratta del diluvio universale; l’altra presenta personaggi e periodi della storia ebraica, da Adamo fino a Giuda Maccabeo, sotto simboli di animali: il Messia e’ simbo­leggiato in un toro bianca con grandi corna, emblema di potenza. – CAPP. 91-105: Vi e’ contenuta dapprima (con alcuni spostamenti) una visione di dieci settimane corrispondenti a dieci periodi della storia del mondo, quindi una serie di esortazioni e minacce rivolte da Henoch ai suoi figli.

LE FONTI

§ 87. Di Gesù parlano numerosi scritti antichi, che spontaneamente si raggruppano in due categorie: scritti non cristiani, e scritti cri­stiani. Questo criterio morale di raggruppamento ha un’evidente im­portanza scientifica, per valutare l’imparzialità delle rispettive testi­monianze; tuttavia non può essere l’unico, perché insieme con esso dovrà anche applicarsi il criterio cronologico, secondo il quale una testimonianza è di solito tanto più autorevole e preziosa, quanto più è antica e vicina ai fatti attestati. Nel caso nostro è praticamente più agevole seguire il criterio morale, che lascia campo a poche contestazioni, mentre l’assegnazione cronologica dei vari scritti implica questioni numerose assai dibattute: naturalmente di tali questioni bisognerà tener conto anche seguendo la ripartizione fra scritti non cristiani e cristiani.

FONTI NON CRISTIANE. I Giudei, conterranei e coetanei di Gesù, dovrebbero offrirci riguar­do a lui le prime testimonianze; ma purtroppo non è così, giacché le fonti giudaiche, pur non essendo del tutto mute in proposito, sono taciturne e avare di notizie attendibili, quasi quanto le fonti pagane.

Giudaismo ufficiale.

Con la distruzione di Gerusalemme e dello Stato giudaico avvenuta nel 70 dell’Era Volgare, cioè un quarantennio dopo la morte di Gesù, la vita spirituale del giudaismo palestinese rimase rappresen­tata esclusivamente dalla corrente dei Farisei; i quali, conforme ai loro principii, si dedicarono totalmente a raccogliere e perpe­tuare la “tradizione” orale che, insieme con la Bibbia, formava ormai l’unico patrimonio morale del giudaismo. I dottori farisei, datisi a questo lavoro lungo i secoli I-III, furono chiamati i Tannaiti, e ad essi tennero dietro gli Amorei, che operarono fino al termine del secolo V. Ai Tannaiti è dovuto il codice della Mishna; agli Amorei, il commento alla Mishna; dall’unione della Mishna col suo com­mento è sorto il Talmud, nella doppia recensione palestinese e ba­bilonese. Ma il Talmud, pur contenendo materiali che possono ri­salire a prima della distruzione di Gerusalemme, non fu messo definitivamente in iscritto che tra i secoli V e VI, giacché in prece­denza il suo contenuto era stato trasmesso solo oralmente, affidato alla memoria dei vari dottori, benché con fedeltà verbale. Il Talmud, così redatto, divenne la roccaforte spirituale del giudaismo e ricevette, insieme con la Bibbia, carattere ufficiale. Ma contemporaneamente al Talmud si elaborava altro materiale, che parimenti fu messo in iscritto soltanto dopo una lunga trasmissione esclusivamente orale, sebbene i suoi primi elementi possano risalire all’epoca dei Tannaiti. Gli scritti così sorti, fra cui primeggiano per estensione e numero i vari Midrashim, non rivestirono carattere ufficiale come il Talmud, tuttavia ricevettero un valore subordinato e complementare.

§ 88. Troviamo pertanto che, in questi scritti del giudaismo uffi­ciale, la persona e l’opera di Gesù sono certamente note, sebbene spesso si alluda ad esse solo indirettamente ed in maniera anonima e velata. Riunendo poi i dati precisi che se ne possono estrarre, si trova che essi non hanno riscontro in nessun altro documento an­tico, e non senza contraddizioni e incongruenze se ne ottiene il seguente schema biografico. Gesù il Nosri (Nazareno) nacque da una pettinatrice di nome Ma­ria; il marito di questa donna è chiamato talvolta Pappos figlio di Giuda e talvolta Stada, sebbene si trovi anche la donna stessa chiamata col nome di Stada. Il vero padre di Gesù fu un certo Pantera; i perciò si trova che Gesù è chiamato tanto figlio di Pan­tera, quanto figlio di Stada. Recatosi in Egitto, Gesù studiò colà magia sotto Giosuè figlio di Perachia. Quanto alla cronologia è da rilevare che, mentre questo Giosuè fiorì verso l’anno 100 avanti l’Era Volgare, il suddetto Pappos fiorì circa 230 anni più tardi. Tornato in patria e respinto dal suo maestro, Gesù esercitò la ma­gia traviando il popolo. Per tali ragioni fu giudicato e condannato a morte. Prima che la condanna fosse eseguita, si attesero quaranta giorni durante i quali un araldo invitava la gente a esporre qual­siasi giustificazione in favore del condannato. Non essendosi pre­sentato alcuno, il condannato fu lapidato e poi appeso al patibolo a Lydda, il giorno di preparazione alla Pasqua. Al presente egli si trova nella Gehenna, immerso in una melma bollente. In relazione con questi dati, e specialmente con la maniera velata con cui sono esposti, si trova che Gesù è designato con l’indicazione di un tale, o con l’epiteto di Balaam (l’antico mago di Numeri, 22 segg.), e con gli appellativi di pazzo, di bastardo, e con un altro anche più obbrobrioso. NOTA: Di questo strano nome, che appare anche sotto le varianti di Pantri, Pan­tori, Pandera, è stata data la seguente spiegazione. Dopo il definitivo distacco del cristianesimo dal giudaismo, i Giudei udivano dai cristiani di lingua greca asserire che Gesù era figlio di “parthènou”, ossia d’una vergine; e quindi il nome comune fu creduto nome proprio, e da appellativo della madre divenne nome personale del padre illegittimo. Questa spiegazione è molto verosimile, e dimostrerebbe una volta di più che il giudaismo non ebbe un suo particolare patrimonio di notizie riguardo a Gesù, ma le prese dal cristianesimo deformandole tendenziosamente.

§ 89. Il seguente aneddoto può essere un esempio di come si allu­deva a fatti e dottrine di Gesù in maniera anonima, ma non per questo meno precisa. A Rabbi Giosuè figlio di Anania, che fiorì verso l’anno 90 dell’Era Volgare, fu chiesto in Roma da alcuni sapienti: Raccontaci qualche cosa di favoloso! – Egli disse: Ci fu una volta una mula che fece un figlio; a questo fu appesa un’etichet­ta su cui era scritto che esso doveva ereditare dalla famiglia paterna 100.000 “zuz” (una moneta). – Gli fu risposto: Ma una mula può partorire? – Quello disse: Appunto si tratta d’una favola! – (Poi gli fu chiesto:) Se il sale diventa insipido, con che cosa si dovrà salarlo? – Quello rispose: Con la placenta d’una mula. – (Gli si disse:) Ma una mula (sterile qual e’) ha la placenta? – (Quello rispose:) E il sale può diventare insipido? In questo aneddoto è evidente l’allusione al detto di Gesù: Se il sale sia diventato insi­pido, con che si salerà? (Matteo, 5, 13), di cui si vorrebbe far rile­vare l’insensatezza; ma è anche chiaro che i due animali sono un beffardo adombramento di Maria e Gesù, e che tutto l’aneddoto vuol mostrare come il giudaismo sia il genuino sale che non di­venterà mai insipido, e come ad ogni modo Gesù meno di ogni altro avrebbe potuto rendergli il naturale sapore. Anche fuori degli scritti giudaici, questi dati sono attestati par­zialmente come provenienti dal giudaismo. A metà del secolo II il palestinese Giustino martire, nel suo Dialogo col (giudeo) Trifone, vi accenna più d’una volta, accusando i dottori giudei di diffondere ovunque calunnie e bestemmie a carico di Gesù. Più nettamente si ritrovano gli stessi dati impiegati dal pagano Gelso nel suo Discorso veritiero scritto poco prima dell’anno 180, di cui si tratterà in seguito (§ 195); sembra certo che Celso abbia attinto questi dati ad una fonte scritta. Finalmente, ampliati sempre più, gli stessi dati costituirono il libello intitolato Toledoth Jeshua, « Generazioni (cioè, Storia) di Gesù », che circolava in varie recensioni già verso i se­coli VIII-IX, e che per il giudaismo rimase quale ufficiosa biografia di Gesù fino a poche decine d’anni addietro. Ora, tutte queste affermazioni potranno attestare le disposizioni d’a­nimo che il giudaismo aveva verso Gesù nei primi secoli cristiani; ma non sarebbe cosa né seria scientificamente né dignitosa moral­mente anche solo discuterli quali autorevoli documenti per la biografia di Gesù. Del resto la discussione sarebbe oggi inutile: ormai gli stessi Israeliti dotti e coscienziosi considerano questi elementi co­me del tutto leggendari; altrettanto fanno dal canto loro gli stu­diosi razionalisti, che di solito aggiungono allo stesso verdetto parole molto severe, come ad esempio il Renan che definisce l’insieme di questi racconti una leggenda burlesca ed oscena.

Flavio Giuseppe.

§ 90. Giuseppe, sacerdote gerosolimitano, figlio di Mattia, nacque tra il 37 e il 38 dell’Era Volgare. Scoppiata nel 66 la rivolta della sua patria contro Roma, egli fu a capo delle truppe insorte che per prime si scontrarono con i Romani nella Galilea; dopo alcune sconfitte ricevute, si consegnò al generale nemico, il futuro impe­ratore Vespasiano, del quale rimase poi sempre fedele servitore. Distrutta Gerusalemme sotto i suoi occhi, Giuseppe venne a Roma insieme col vincitore Tito, figlio di Vespasiano, e alla loro gens Flavia – il cui nome egli, come liberto, aveva aggiunto al suo di Giuseppe – prestò i propri servizi di stipendiato storico aulico. Fra gli anni 75 e 79 Giuseppe pubblicò la Guerra giudaica, ove nar­ra le vicende precedenti e tutto lo svolgimento della guerra di cui era stato attore e spettatore; la quale opera, pur essendo macchiata di moltissimi e gravissimi difetti, è insostituibile e di singolare uti­lità per conoscere lo sfondo storico dei tempi di Gesù. Fra gli anni 93 e 94 Giuseppe pubblicò le Antichità giudaiche, ove narra la sto­ria della nazione ebraica dalle origini fino allo scoppio della guerra contro Roma, ricollegandosi perciò a questo punto con lo scritto precedente. Poco dopo l’anno 95 pubblicò il Contra Apionem ch’è uno scritto polemico in difesa del giudaismo, e dopo l’anno 100 pubblicò la Vita (propria) ch’è un’apologia della sua condotta po­litica. In tutti questi scritti Giuseppe, benché parli moltissimo di persone del mondo giudaico o romano nominate anche nei vangeli, non nomina mai né Gesù né i cristiani, salvo in tre passi. In uno parla con onore di Giovanni il Battista e della sua morte (Antichità giud., XVIII, 116-119); in un altro riferisce, egualmente con onore, la mor­te violenta di Giacomo fratello di Gesù, chiamato il Cristo (ivi, XX, 200): e sull’autenticità di questi due passi, nonostante l’incertez­za di pochi studiosi moderni, non vi sono ragionevoli dubbi.

§ 91. Diversamente stanno le cose riguardo al terzo passo ch’è il seguente, reso in traduzione letterale: Ora, ci fu verso questo tempo Gesù, un uomo sapiente, seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti facitore di opere straordinarie, maestro di uomini che accol­gono con piacere la verità. E attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei Greci. Costui era il Cristo. E avendo Pilato, per denunzia degli uomini principali fra noi, punito lui di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti comparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già detto i divini profeti queste e migliaia d’altre cose mirabili riguardo a lui. E ancora adesso non e’ venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati i Cristiani (Antichità giud., XVIII, 63-64). Questo passo, conosciuto comunemente come testimonium fiavia­num, è contenuto in tutti i codici delle Antichità giudaiche, e nel secolo IV era già noto ad Eusebio che lo cita più d’una volta (Hist. cccl., i, Il; Demonstr. evang., III, 3); né, fino al secolo XVI, alcuno studioso dubitò mai della sua autenticità. In quel tempo furono mossi i primi dubbi, ma fondati soltanto su ragioni interne, in quan­to cioè sembrava che il giudeo e fariseo Giuseppe non potesse par­lare in modo cosi onorifico di Gesù: si concluse, quindi, che il passo era stato interpolato da un’ignota mano cristiana. La questione si è prolungata fino ai nostri giorni, e oggi esistono sia fautori sia avversari dell’autenticità in ogni campo: ad esempio, il razionalista Harnack ha difeso l’autenticità, mentre il cattolico Lagrange ha supposto l’interpolazione. Una soluzione incontrastabile non si troverà probabilmente mai, sia per mancanza di documenti, sia perché le ragioni addotte contro l’autenticità sono soltanto di ordine morale e quindi variamente giudicabili. Non essendo qui il caso di sottoporre a nuovo esame i vari argomenti, rimandiamo il lettore a quello che ne facemmo noi stessi altrove, limitandoci a riportare qui il periodo finale: «In conclusione, a noi sembra che il testimonium com’è oggi possa es­sere stato interpolato da mano cristiana, benché il suo fondo sia certamente genuino; tuttavia la stessa possibilità, e anche una mag­giore probabilità, concediamo all’altra opinione secondo cui esso sarebbe integralmente genuino e vergato, cosi come oggi, dallo stilo di Giuseppe» (Flavio Giuseppe tradotto e commentato, voi. I, pag. 185).

Scrittori romani ed altri.

§ 92. Nel secondo decennio del secolo Il tre scrittori romani par­lano di Cristo e dei cristiani. La celebre lettera scritta verso il 112 da Plinio il Giovane all’impe­ratore Traiano (Epist., X, 96) non dice nulla circa la persona di Gesù; attesta soltanto che nella Bitinia, governata da Plinio, erano molto diffusi i cristiani, i quali erano soliti stato die ante lucem convenire carmenque Christo quasi deo dicere. Poco anteriori all’anno 117 sono gli Annali di Tacito, che è il meno avaro sull’argomento. Trattando di Nerone e dell’incendio di Ro­ma dell’anno 64, egli dice che quell’imperatore, per dissipare le voci che l’incendio fosse stato comandato, ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissimi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti chiamava Cristiani. L’autore di questa denominazione, Cristo, sotto l’impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l’esi­ziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, ori­gine di quel male, ma anche per l’Urbe, ove da ogni parte confluiscono e sono esaltate tutte le cose atroci e vergognose (Annal., XV, 44); segue poi la descrizione dei supplizi usati contro i cristiani nella persecuzione neroniana. Come appare subito, questa testimo­nianza pagana della lontana Roma conferma alcune fondamentali notizie della vita di Gesù che circolavano in Palestina già nel secolo precedente. Qualche anno dopo, verso il 120, Svetonio conferma genericamente che sotto Nerone furono sottoposti a supplizi i Cristiani, razza d’uo­mini d’una superstizione nuova e matefica (Nero, 16); ma, quando tratta del precedente impero di Claudio, fornisce una notizia nuo­va, riferendo che costui espulse da Roma i Giudei i quali, ad im­pulso di Cristo, facevano frequenti tumulti (Claudius, 25). Questa espulsione, confermata da quanto dicono gli Atti, 18, 2, avvenne fra gli anni 49 e 50. Non si può ragionevolmente dubitare che l’ap­pellativo di Cristo di Svetonio sia il termine greco « christòs », traduzione etimologica del termine ebraico “messia” (§ 81); tanto più che, come ha già fatto Tacito nel passo qui sopra riportato, anche in seguito i cristiani saranno chiamati cristiani (Tertulliano, Apolog., 3). Si può concludere quindi che a Roma, circa un ven­tennio dopo la morte di Gesù, i Giudei ivi dimoranti avevano assi­dui e clamorosi contrasti riguardo alla qualità di “Cristo”, o Mes­sia, attribuita allo stesso Gesù, la quale evidentemente da alcuni gli era riconosciuta e da altri negata: i primi erano senza dubbio i cristiani, specialmente quelli convertiti dal giudaismo. Svetonio, che scrive 70 anni dopo gli avvenimenti ed è ben poco informato del cristianesimo, s’immagina che il suo Cristo sia stato presente personalmente a Roma e vi abbia provocato i tumulti. Dell’imperatore Adriano abbiamo una lettera indirizzata verso l’an­no 125 al proconsole d’Asia, Minucio Fundano, e conservataci da Eusebio (Hist. eccl., IV, 9): vi si impartiscono solo norme per i processi contro i cristiani. Allo stesso imperatore è attribuita una lettera indirizzata verso il 133 al console Serviano (Flavio Vopisco, Quadrigee tyrannorum, 8, in Script. Hist. Aug.), ove sono inciden­talmente nominati Cristo e cristiani. Si noti pertanto come questi scrittori romani non riportino mal il nome di Gesu’, ma solo quello di Cristo (Cresto).

§ 93, Da scrittori non romani dei primi due secoli non si ricava di più. Il sarcastico Luciano, semita ellenizzato, beffeggia spesso i cristia­ni, ma fa rare allusioni a Gesù: le più sicure sono quelle contenute nel Peregrino (11 e 13), di circa l’anno 170, ove si ricorda che il primo legislatore dei cristiani, sofista e mago, fu crocifisso in Palestina. Di un altro semita, Mara figlio di Serapione, abbiamo una lettera in siriaco, indirizzata a suo figlio Serapione, che contiene un’allu­sione a Gesù (in Cureton, Spicilegium syriacum, pag. 43 segg.); in­sieme con Socrate e Pitagora vi è nominato, in maniera onorifica, un sapiente re dei Giudei messo a morte dalla propria nazione, la quale perciò è stata punita da Dio con la distruzione della capitale e con l’esilio. E’ chiaro, dunque, che la lettera fu scritta dopo gli avvenimenti palestinesi del 70; ma è impossibile una datazione più precisa della lettera, che può essere benissimo del secolo II molto inoltrato, come neppure risulta con sicurezza se l’autore sia un cri­stiano dissimulato oppure un pagano stoico ammiratore del cri­stianesimo.

FONTI CRISTIANE Documenti estranei ai Nuovo Testamento

§ 94. Di Gesù trattano molti scritti cristiani composti nei primi secoli, ma che non fanno parte del Nuovo Testamento: essi talvolta si presentano sotto forme analoghe a quelle del Nuovo Testamento, come Vangeli, Atti, Lettere, Apocalissi, costituendo i cosiddetti libri Apocrifi, talvolta sotto forma di scritti ecclesiastici, come Costitu­zioni, Canoni, ecc., costituendo i cosiddetti libri Pseudo-epigrafi; tal­volta, infine, consistono in piccoli detti o fatti attribuiti a Gesù i quali, senza aver riscontro nel Nuovo Testamento, si ritrovano in maniera staccata o in opere di antichi Padri, o in codici particolari del Nuovo Testamento, oppure in frammenti di papiri antichi re­centemente scoperti, e tali minime particelle sono desiguate con nomi di Agrafa o di Logia. Gli studiosi recenti si sono molto occupati di queste diverse serie di scritti, ai quali invece nel secolo passato si prestava scarsa atten­zione; ma queste nuove indagini, se hanno indubbiamente contri­buito a far conoscere sempre meglio i vari ceti cristiani che pro­dussero quegli scritti, hanno messo in luce sempre più chiara la deficienza d’autorità storica ch’è alla base degli scritti apocrifi, e per contrapposto la sodezza su cui poggiano quelli del Nuovo Testamento. Fra le due categorie di scritti, in realtà, c’e un abisso, come già ai suoi tempi giudicò il Renan; il quale, istituendo un con­fronto fra esse sotto l’aspetto puramente storico, trovava che i van­geli apocrifi sono volgari e puerili amplificazioni fatte sulla trama dei vangeli canonici, senza aggiungervi alcunché di serio. Né a questo antico giudizio hanno apportato alcuna modificazione so­stanziale gli studi recenti.

§ 95. In generale i vangeli apocrifi devono la loro origine al de­siderio o di presentare alcune particolari dottrine come giustificate dalla vita e dall’insegnamento di Gesù stesso, oppure di accrescere con altri particolari biografici le notizie che i vangeli canonici co­municano su Gesù, e che alle plebi cristiane sembravano troppo parsimoniose; nel primo caso si hanno gli scritti d’origine eretica o almeno tendenziosa, che sono i più numerosi: nel secondo i rac­conti di carattere popolare, amanti del meraviglioso. I due casi spesso si fondono insieme, senza che oggi si possano separare con certezza. Occasione a coteste fantastiche costruzioni era fornita sia dalle ammonizioni di uno degli stessi vangeli canonici, il quale avverte che molti altri fatti di Gesù non sono contenuti in esso (Gio­vanni, 20, 30) e che a contenerli sarebbero necessari infiniti altri libri (ivi, 21, 25), sia anche dall’aver osservato che S. Paolo in un suo discorso riporta un aforisma di Gesù non contenuto in nessuno dei vangeli canonici (Atti, 20, 35). Questo ampio ricamo immaginativo cominciò ben presto, già nel secolo II, per accrescersi sempre più in seguito e prolungarsi fino al Medioevo; ma a noi ne è pervenuta solo una minor parte, della quale spesso è difficile definire, oltreché la tendenza dottrinale, an­che il tempo preciso. Essendo pertanto inutile scendere a molti par­ticolari, ci limiteremo a brevi cenni sulle più antiche di queste composizioni.

§ 96. Di un Vangelo secondo gli Ebrei parlano vari scrittori anti­chi, che ce ne hanno pure trasmesse alcune poche citazioni ma per questa scarsezza e per confusioni sorte più tardi è difficile farsi un concetto approssimativo dello scritto. Certamente era redatto in aramaico, e doveva circolare già nel secolo I. Pare che avesse stretta affinità col vangelo canonico di Matteo, se pure non era in sostanza questo stesso vangelo rimanipolato in varie maniere, con accorciamenti e con aggiunte di provenienza incerta. Una di que­ste aggiunte, ad esempio, diceva che Gesù era stato trasportato, sospeso per uno dei suoi capelli, al monte Tabor per opera di sua madre, che sarebbe stato lo Spirito santo: in aramaico, infatti, “spirito” è voce di genere femminile, come giustamente ricorda S. Girolamo, il quale riporta l’aggiunta dopo Origene. Non risulta con sicurezza se recensione particolare di questo apocrifo, ovvero opera ben diversa, fosse il Vangelo dei Nazarei o Nazorei, ch’erano membri di una comunità giudeo-cristiana accentrata attorno a Berea (Aleppo). Il Vangelo degli Ebioniti era particolare a questa setta, di cui propugnava idee e norme, ad esempio quella del vegetarianismo. Fu composto nel secolo II, ma ne rimangono pochi frammenti in cita­zioni di Epifanio. Era chiamato dagli Ebioniti Vangelo secondo gli Ebrei, ma pare che fosse ben diverso dal precedente: ad ogni modo era certamente anch’esso una tenderiziosa rimanipolazione del Mat­teo canonico. Il Vangelo degli Egiziani era usato dagli eretici Encratiti, Valen­tiniani, Naasseni e Sabelliani. Fu composto in Egitto, verso la metà del secolo II; dai pochissimi frammenti superstiti si rileva che l’istituzione del matrimonio vi era condannata, conforme ai principii degli Encratiti. Il Vangelo di Pietro, già noto agli antichi e del quale nel 1887 fu ritrovato un esteso tratto relativo alla morte e resurrezione di Gesù, sembra che fosse composto in Siria verso l’anno 130 o poco dopo. L’autore si serve sostanzialmente dei vangeli canonici, né appare con sicurezza che mirasse a propugnare idee eretiche; tuttavia cade in er­rori storici grossolani (ad es. fa condannare e condurre al patibolo Gesù da Erode) e aggiunge vari particolari chiaramente fantastici.

§ 97. Assai importante ed uscito da ambiente ortodosso è il Pro­tovangelo di Giacomo, che risale a circa la metà del secolo II. Si diffonde molto sui fatti di Maria e dell’infanzia di Gesù nel ciclo liturgico della Chiesa sono tuttora rispecchiati taluni fatti da esso narrati, quale la presentazione di Maria al Tempio, di cui i vangeli canonici non fanno parola. La trama fondamentale della narrazio­ne è quella dei vangeli canonici, ma arricchita specialmente da gran quantità di prodigi, sempre inutili, spesso anche indecorosi; ad esempio, si finge che la perpetua verginità di Maria, che l’orto­dosso autore vuol mettere in sommo rilievo, sia sottoposta ad una prova tanto decisiva quanto sconveniente (cap. 20). Questo apo­crifo fu molto diffuso nella Chiesa antica, e in tempi più recenti ricevette varie rimanipolazioni, quali lo pseudo Vangelo di Matteo, del secolo VI, e il Libro della natività di Maria, del secolo IX. Di un Vangelo di Tommaso parlano antichi scrittori, segnalandolo come opera di eretici gnostici, composto verso la metà del secolo II. Ma le due recensioni che sono pervenute a noi di questo scritto – una più ampia, l’altra meno – non mostrano alcuna idea gnostica, e contengono solo numerosi miracoli, quasi tutti puerili, attribuiti appunto alla puerizia di Gesù dall’età di cinque anni in su. Più recenti, ma non più autorevoli, sono altri apocrifi non sempre bene noti che basterà nominare: il Vangelo di Filippo, del seco­lo III; il Vangelo di Bartolomeo, del secolo IV; gli Atti di Pilato, in parte anteriori al secolo IV, che si presentano come un resoconto del processo e della resurrezione di Gesù; le Lettere tra Abgar re di Edessa e Gesu’ (in Eusebio, Hist. eccì., I, 13), e la Dottrina di Addai, d’origine siriaca, del secolo IV; altre narrazioni scendono dal secolo V in giù. Numerosi scritti apocrifi, sotto la denominazione di Atti, Lettere, Apocalissi, oppure di Costituzioni, Canoni, Dida­scalie, si riportano direttamente ai vari Apostoli più che a Gesù stesso; ma di lui parla molto la cosiddetta Lettera degli Apostoli, che contiene dialoghi di Gesù con i discepoli e che, scritta in greco nel secolo II, è giunta a noi in una recensione copta ed una etio­pica (quest’ultima è incorporata nell’apocrifo Testamento di nostro Signore Gesu’ Cristo). Escludendo già anticamente dal canone delle Scritture sacre questa congerie di scritti apocrifi e pseudo-apocrifi, la Chiesa ha fatto un’opera eccellente anche dal semplice punto di vista della scienza storica; in essi infatti, anche quando non si riscontrano concetti aper­tamente ereticali o tendenziosi, si ritrovano quelli che già S. Giro­lamo chiamava i sogni degli apocrifi.

§ 98. Una classe particolare, che può richiedere un giudizio parti­colare, è costituita da quei brevissimi scritti che sopra chiamammo Agrafa o Logia. Per amor d’esattezza bisogna distinguere. Stando al significato delle rispettive parole gli Agra fa, cioè i “non scritti”, sono quei brevi detti o aforismi attribuiti a Gesù che si ritrovano trasmessi fuori della sacra Scrittura (Grak’), o, secondo un’altra norma, fuori dei soli quattro vangeli canonici. I Logia, cioè i “det­ti”, sono egualmente brevi sentenze attribuite a Gesù e tutte appartenenti alla classe degli Agrafa; ma oggi questo termine è con­venzionalmente riservato a designare quelle sentenze che si vengono man mano scoprendo, da un quarantennio in qua, nei frammenti di antichi papiri ricuperati nell’inesauribile Egitto. Gli Agrafa in­vece si ritrovano in altri documenti antichi, anche fuori della let­teratura apocrifa, come in opere di taluni Padri e in qualche sin­golare codice del Nuovo Testamento. Poiché S. Paolo stesso cita come parole di Gesù la sentenza ignota ai vangeli: E’ cosa piu beata dare che ricevere (Atti, 20, 35), non è astrattamente impossibile che altre di siffatte brevi sentenze si siano conservate a lungo oralmente nella Chiesa antica, per poi esser fissate in iscritto lungo i primi secoli del cristianesimo. Ve­nendo poi al caso pratico, si riscontrano in realtà citazioni di questo genere in antichi Padri, lontani tra loro per tempo e per luogo. Cosi troviamo che, nel secolo I, Clemente romano attribuisce a Gesù il detto: “…. Come farete, cosi sarà fatto a voi; come darete, cosi sarà dato a voi; come giudicherete, cosi sarete giudicati; come sarete benigni, cosi si sarà benigni con voi” (I Corinti, 13); nel se­colo II, il palestinese Giustino martire gli attribuisce la sentenza: In quali (opere) io vi sorprenderò, in quelle vi giudicherò (Dialog. cum Tryph., 47); nel secolo III, l’alessandrino Origene gli assegna l’aforisma: Chi è vicino a me, e’ vicino al fuoco; chi e’ lungi da me, e’ lungi dal regno (in Jer., xx, 3), aforisma che nel secolo suc­cessivo si ritrova in Didimo il cieco, egualmente alessandrino ; e ancora nel secolo IV il siro Afraate, il “Sa­piente Persiano”, presenta come detta da Gesù la seguente ammo­nizione: Non dubitate, si che affondiate dentro il mondo, a somiglianza di Simone che dubitando cominciò ad affondare dentro il mare (Demonstr., I, 17). E le citazioni, che talvolta contengono an­che piccole particolarità della biografia di Gesù, potrebbero esten­dersi ad altre epoche e regioni. Che pensare di questi Agrafa di antichi scrittori cristiani? § 99. Un giudizio generale non si potrebbe dare, ed è necessario riportarsi a singoli casi. Molto spesso si tratta certamente di cita­zioni di vangeli canonici fatte, non con quell’aderenza letterale che oggi sarebbe di rigore, bensì in maniera larga e oratoria, si da mi­rare al concetto sostanziale più che alla parola materiale. Altre volte sembra che la citazione, specialmente se contiene una parti­colarità biografica, sia tolta da qualche scritto privato di edifica­zione, o anche da qualche apocrifo perduto. In altri casi potrà dipendere da una tradizione soltanto orale, senza però che oggi si possa decidere se quella tradizione risalisse veramente alle origini oppure fosse una pia elaborazione cristiana. In conclusione, pur rimanendo la possibilità astratta che taluni Agrafa siano autorevoli, la rispettiva dimostrazione è assai difficile a raggiungersi. Questa generica diffidenza è giustificata anche di fronte a taluni brevi tratti particolari, contenuti solo in qualche codice del Nuovo Testamento ma ignoti a tutti gli altri antichi documenti. Ad esem­pio, il codice D detto di Beza, del secolo VI, al passo di Luca, 6, 4, soggiunge questo tratto: In questo stesso giorno, avendo (Gesù) visto un tale che lavorava di sabbato, gli disse: Uomo, se tu sai ciò che lai, sei beato; se poi non lo sai, sei maledetto e trasgressore della Legge. Tanto caratteristica è l’idea qui espressa, quanto è singo­lare il tratto che l’esprime, ignoto a tutti gli altri codici. Un’altra celebre aggiunta, caratteristica e del tutto solitaria, è quella con­tenuta nel manoscritto W (Freer) e messa appresso a Marco, 16, 14. Anche per questi tratti speciali di solitari codici, in forza delle stesse ragioni accennate sopra, sarà ben arduo dimostrare che l’autenti­cità astrattamente possibile debba considerarsi nei singoli

§ 100. Una messe abbondante è fornita anche dai Logia, che si stanno ricuperando da un quarantennio e talvolta raggiungono una notevole ampiezza. Se ne ritrovarono già a Banhesa, l’antica Ossirinco (pubblicati da Grenfeli e Hunt nella collezione Oxyrhynchus Papyri, dal 1897 in poi); in seguito l’Egitto ha largheggiato, oltreché con antichissimi papiri (Chester Beatty) strettamente neotestamentari, an­che con altri che contengono sia brevi sentenze staccate, sia passi più ampi e ben connessi. Quest’ultimo è il caso del papiro (Egerton) pubblicato come ”frammenti di un Vangelo sconosciuto” da Idris Belì e Skeat nel 1935, e che risale ad un’antichità eccezio­nale, essendo certamente non posteriore e forse anteriore alla metà del secolo II. Gli altri Logia si distribuiscono in genere fra i seco­li Il e III, ma sono costituiti da sentenze staccate e brevi che di solito cominciano con le parole: “Dice Gesu’…” E’ stato supposto che il papiro (Egerton) del “Vangelo sconosciuto” contenga una parte dell’apocrifo Vangelo degli Egiziani (§ 96); l’o­pinione è discutibile, mentre è certo che il suo contenuto dipende più o meno direttamente dai quattro vangeli canonici, e special­mente da Giovanni. I restanti comuni Logia, invece, sono avanzi del naufragio che ha sommerso antiche raccolte di detti di Gesù: i cristiani dei primi secoli componevano quelle raccolte a proprio uso privato, estraendone il materiale da varie parti, anche dai vangeli apocrifi, non senza adattarlo e modificarlo secondo le attitudini e gli scopi personali. Quando i primi di tali Logia cominciarono a tornare alla luce, pa­recchi studiosi li giudicarono reliquie di antichi repertori anteriori ai vangeli canonici, e da cui questi dipenderebbero: credettero quin­di d’entrare in possesso parziale o dei Logia di Matteo, di cui parlerebbe Papia (§ 114 segg.), o degli scritti di quei molti che secondo Luca (1, 1-4) avevano narrato prima di lui i fatti di Gesù. Ma, purtroppo, quella rosea ipotesi e l’entusiasmo che l’accompagnava non erano giustificati. Oggi, che il materiale è notevolmente cre­sciuto e si può giudicare con migliore cognizione di causa, l’opi­nione quasi unanime è che la relazione fra i due gruppi di scritti sia l’inversa a quella allora supposta, ritenendosi cioè che questi Logia siano posteriori e dipendano dai vangeli canonici, oltreché da altre fonti.

§ 101. Diamo come saggio il primo frammento di papiro pubb!i­cato nel 1897 (in Oxyrhynchus Papyri, I, n. 1), ricordando a fianco ai singoli detti i luoghi dei vangeli canonici da cui dipendono: (Dice Gesu’:) … e allora tu vedrai bene d’estrarre la pagliuzza che e’ nell’occhio del tuo fratello (cfr. Matteo, 7, 5; Luca, 6, 42). Dice Gesu’: Se non digiunate dal mondo, non troverete il regno di Dio; e se non sabbatizzerete il sabbato (cioè, se non santificherete tutta la settimana) non vedrete il Padre. (Il concetto di digiunare dal mondo ritorna in Clemente Alessandrino, Stromata, in, 15, 99; al concetto del sabbato spirituale allude Giustino, Dialog. cum Tryph., 12). Dice Gesu’: Stetti in mezzo al mondo e apparvi ad essi nella carne; e li trovai tutti ubriachi, e nessun assetato trovai fra loro; e l’ani­ma mia e’ afflitta a causa dei figli degli uomini, perché sono ciechi nel loro cuore e non vedono… (?) e la povertà. Dice Gesu’: Ove siano (due, essi non) sono senza Dio, e ove sia uno soltanto, dico che io sono con lui. Solleva la pietra, e là mi troverai; spacca il legno, e io sono colà (cfr. Matteo, 18, 20). Dice Gesu’: Non c’é profeta accetto nella patria sua, nè un medico opera guarigioni fra quei che lo conoscono (cfr. Matteo, 13, 57; Marco, 6, 4; Luca, 4, 23-24; Giovanni, 4, 44). Dice Gesu’: Una città costruita su cima d’alto monte e raffarzata, non può crollare né restare occulta (cfr. Matteo, 5, 14). Dice Gesu’: Tu ascolti con uno dei tuoi (orecchi), ma (l’altro tieni serrato?). In ultima conclusione, le fonti cristiane estranee al Nuovo Testa­mento siano esse scritti apocrifi, o Agrafa, o Logia – sono prive nella loro enorme maggioranza di autorità storica riguardo alla biografia di Gesù. In qualche caso può rimanere una certa pos­sibilità in loro favore: ma tali casi sono cosi rari, e la dimostra­zione della loro autorità effettiva è cosi difficile, che praticamen­te non se ne può trarre alcun vantaggio apprezzabile. Questo van­taggio, nella migliore delle ipotesi, equivarrebbe ad una coppa d’ac­qua aggiunta in un lago: cioè, quand’anche i pochissimi passi me­glio accreditati si potessero accettare come sicuramente autentici, ac­quisteremmo qualche decina di righe da aggiungere come appendice ai vangeli canonici, senza per altra che tal minuscola appendice modificasse il contenuto di quelli o ne accrescesse notevolmente il patrimonio biografico o concettuale.

Il Nuovo Testamento fuor dei Vangeli.

§ 102. Passando agli scritti del Nuovo Testamento che non siano i vangeli, l’orizzonte si allarga: ma anche qui non troviamo modo di accrescere le nostre notizie, salvo che con taluni solitari precetti dottrinali conservatici in casi rarissimi. In realtà, notizie stretta­mente biografiche su Gesù non mancano, ma esse confermano solo alcuni pochi, sebbene importanti, dati offerti dai vangeli, senza ag­giungerne di nuovi. Ad ogni modo questa conferma è preziosissi­ma, specialmente se provenga da fonte che sia cronologicamente anteriore ai nostri vangeli canonici e indipendente da questi. Tale è il caso di S. Paolo. Poco più d’un ventennio dopo la morte di Gesù cominciano le Let­tere di S. Paolo, e si susseguono per un quindicennio, occupando il periodo approssimativo dall’anno 51 al 66, che è il periodo o di pubblicazione o di preparazione dei nostri vangeli sinottici. Abbia­mo perciò, in queste Lettere, documenti che sono senza dubbio let­terariamente indipendenti dai vangeli sinottici e in massima parte anteriori ad essi. Ora, queste Lettere sono scritti del tutto occasio­nali: con esse S. Paolo si rivolge ai vari destinatari mirando a scopi contingenti al suo ministero apostolico, ma non si propone mai in nessun modo di narrare una biografia di Gesù, né compiuta né parziale, perché parla a cristiani ch’egli conosce già edotti circa la vita di Gesù. Solo incidentalmente egli ricorda fatti e parole di Gesù, se questo ricordo serve all’argomento di cui sta trattando, come quando narra l’istituzione dell’Eucaristia (I Corinti, 11), per­ché colà egli mira a stabilire il buon ordine nelle adunanze reli­giose. Eppure, spigolando queste sparse notizie occasionali, si ottie­ne un manipolo non scarso: il Renan stesso riconosceva che si po­trebbe ottenere una piccola « Vita di Gesù » ricavandone i dati dalle sole lettere ai Romani, Corinti, Galati ed Ebrei. Qualche altra spiga si può raccogliere dagli altri scritti del Nuovo Testamento, specialmente dagli Atti degli Apostoli, i quali però hanno per autore un evangelista sinottico, cioè Luca.

§ 103. Riassumendo schematicamente il tutto, otteniamo questa pic­cola “Vita di Gesù” extra-evangelica. Gesù fu, non già un eone celestiale, bensì “un uomo” (Romani, 5, 15) “fatto da donna” (Galati, 4, 4), discendente da Abramo (Gal, 3, 16) per la tribù di Giuda (Ebrei, 7, 14) e per il casato di David (Rom., 1, 3). Sua madre aveva nome Maria (Atti, 1, 14); egli era chiamato Nazareno (Atti, 2, 22) “quello da Nazareth” (Atti, 10, 38) (§ 259, nota seconda), e aveva dei “fratelli” (I Corinzi, 9, 5; Atti, 1, 14) di cui uno chiamato Giacomo (Gai., 1, 19) (§ 264). Fu povero (I Cor., 8, 9,) mansueto e dimesso (II Cor., 10, 1). Ricevette il battesimo da Giovanni Battista (Atti, 1, 22). Rac­colse discepoli con cui visse in relazione assidua (Atti, 1, 21-22); dodici di essi furono chiamati “apostoli”, ed a questo gruppo ap­partennero fra altri Cefa, ossia Pietro, e Giovanni (I Cor., 9, 5; 15, 5-7; Atti, 1, 13. 26). In vita sua operò molti miracoli (Atti, 2, 22) e passò beneficando (Atti, 10, 38). Una volta apparve ai suoi di­scepoli gloriosamente trasfigurato (II Pietro, 1, 16-18). Fu tradito da Giuda (Atti, 1, 16~19). Nella notte del tradimento istitui l’Eucaristia (I Cor., 11, 23-25), agonizzò pregando (Ebrei, 5, 7), fu oltraggiato (Rom., 15, 3) e posposto ad un assassino (Atti, 3, 14); pati sotto Erode e Ponzio Pilato (I Timoteo, 6, 13; Atti, 3, 13; 4, 27; 13, 28). Fu crocifisso (Gai., 3, 1; I Cor., 1, 13. 23; 2, 2; Atti, 2, 36; 4,10) fuori della porta della città (Ebrei, 13, 12); fu sepolto (I Cor., 15, 4; Atti, 2, 29; 13, 29). Risorse dai morti il terzo giorno (i Cor., 15, 4; Atti, 10, 40); quindi apparve a molti (I Cor., 15, 5-8; Atti, 1, 3; 10, 41; 13, 31) ed ascese al cielo (Rom., 8, 34; Atti, 1, 2. 9-l0; 2, 33-34).

§ 104. Se confrontiamo questa ristretta biografia di Gesù extra­evangelica con quella ampia offerta dai vangeli, troviamo bensì una differenza quantitativa ma non una divergenza qualitativa. Nella biografia ristretta c’è già l’impalcatura di quella ampia: impalca­tura tenue e lineare nel primo caso, variamente arricchita e colorita nel secondo, ma in entrambi i casi costruita secondo un solo di­segno e ripartita in piani architettonici eguali. In altre parole il cristianesimo delle prime generazioni non ha avuto tipi differenti di biografie di Gesù, ma un solo tipo; e ciò è tanto più importante, in quanto i documenti di quelle generazioni, con­fluiti nel Nuovo Testamento, provengono da persone che furono distanti fra loro per tempo e per luogo, e che rispetto alle infor­mazioni in questione furono in massima parte indipendenti fra loro.

Vita di Gesù 4ultima modifica: 2010-08-25T16:14:00+02:00da meneziade
Reposta per primo quest’articolo