cosa insegna la storia? (1)

 

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Chi era Gesù Cristo? Cosa ci rivela la storia?

Quanto c’è di vero nelle narrazioni che tutti conosciamo e cosa invece è stato travisato? Da cosa nacque l’esigenza di dire menzogne?

Perché furono adottate solo alcune fonti ed altre invece sfacciatamente disconosciute? Perché già nella Chiesa primitiva si ritenne necessario distruggere tanti utili documenti, eliminando per sempre alcune importantissime testimonianze?

Perché lo gnosticismo, seppur predicato da Gesù, fu rifiutato così decisamente e ritenuto “eresia”?

Cosa spinse la Chiesa alla Santa Inquisizione e alle Crociate?
Perché gli eretici furono perseguitati così ferocemente?
E perché la Chiesa da sempre si rifiuta di discutere molti dei principi da essa stessa stabiliti, rifugiandosi negli incontrastabili dogmi, proposti come incontestabili oggetti di fede?

(Lo stesso Alan Watts, da sempre ironico studioso della storia, non si stancò mai di ricordarci che gli astronomi del Vaticano si rifiutarono sempre di guardare attraverso i telescopi di Galileo)
Come si giunse a promulgare l’infallibilità pontificia?

E in ultimo la domanda delle domande: Cristo avrebbe condiviso ed accettato questo operato?

Ma… cosa ci dice la ricerca storico-critica, qual è dunque la nuda Verità?

Iniziamo col ricordare che alcuni storici giunsero a mettere in dubbio persino l’esistenza stessa di Gesù.

In effetti siamo costretti ad ammettere che la storia non offre testimonianze inoppugnabili utilizzabili per provare tale assunto.
Il Nuovo Testamento non è storicamente affidabile, ma costituisce attualmente l’unica fonte di notizie che l’uomo possiede intorno a Gesù.
Gli storici ci informano che la storiografia contemporanea a Gesù lo ignorò quasi completamente.

Tutta la letteratura non cristiana del I secolo non prese nemmeno in considerazione questo meraviglioso ma controverso personaggio e proprio alla luce di questa singolare osservazione alcuni sono arrivati a scrivere: “i paralitici camminavano, i ciechi vedevano e i morti resuscitavano, ma gli storici di Palestina, Grecia e Roma non ne ebbero notizia“.
Questa affermazione potrà apparire senza dubbio irritante, e potrebbe anche ferire gli affetti che ognuno di noi nutre per Gesù, ma rappresenta nel contempo uno spunto che deve quantomeno esortarci a riflettere sulla gran quantità di incertezze che orbitano intorno alla mitica narrazione che tutti più o meno conosciamo.

Credo che proprio l’imponenza di queste astrattezze dovrebbe spingere ognuno di noi a ben ponderare sull’opportunità di proseguire il proprio traballante cammino spirituale e ad operare una scelta.
O credere ciecamente ed affidare la propria spiritualità a uomini che hanno la pretesa di ergersi a delegati del Cristo stesso e calcare con loro le secolari e suggestive impronte fideistiche, figlie di un probabile subconscio condizionamento culturale; oppure aprirsi ad una verità più umana e verosimile, maggiormente comprensibile e vicina alle percezioni della propria coscienza e inoltre quasi sempre avallata da indicazioni storiche a tutt’oggi incontrovertibili.

Per quanto mi riguarda non ho alcun dubbio, credo fermamente che Gesù sia realmente esistito e che sia stato il più grande ed illuminato fra gli uomini che la storia ci ha permesso di conoscere,

Al contrario invece, nutro consistenti dubbi sulla veracità delle informazioni e sulla autenticità del messaggio giunto sino ai nostri giorni, nonché sull’interpretazione delle scritture che gli organismi chiamati a questo delicatissimo compito hanno fornito durante i secoli alla maggioranza degli ignari credenti.

Il Cristo ci ha fatto dono di un meraviglioso messaggio e di un equilibratissimo insegnamento che però, a mio avviso, è stato troppo spesso falsificato nei suoi contenuti più profondi.
Purtroppo un amaro destino volle far nascere quel magistero in un contesto culturale ostile ed instabile che non ne permise la corretta trasmissione.
Ritengo doveroso peraltro ricordare che il messaggio cristiano fu tramandato sostanzialmente tramite discordanti tradizioni orali le quali produssero le molteplici ed inevitabili scuciture da sempre oggetto di studio di tutti gli esperti del settore.

Le diversità presenti in queste diverse tradizioni orali sfociarono ineluttabilmente nel mare di contraddizioni (mai prosciugato) in cui a tutt’oggi naviga ogni tipo di ricerca.

Una cosa però si rivela senz’altro certa: la rivelazione del Cristo è stata oggetto, nel corso dei secoli, di numerose manipolazioni spesso gravissime.

È stato del resto dimostrato più volte che già l’esegesi ecclesiastica del III e IV secolo occultò e stravolse citazioni bibliche evidentissime.
Anche il giovane Goethe non era evidentemente molto convinto se scriveva: “…non fu Gesù il fondatore della nostra religione, la quale fu invece costruita in suo nome da alcuni uomini d’ingegno, e la religione cristiana non è altro che una ragionevole istituzione politica” definendo dapprima una simulazione l’intera dottrina di Cristo e aggiungendo in una lettera del 1789: “…la favoletta sul Cristo è causa del fatto che il mondo potrà ancora esistere per 10.000 anni e nessuno ne verrà a capo, poiché è necessaria egual forza di conoscenza, di intelligenza, di finezza intellettuale tanto per difenderla che per confutarla“.

Personalmente sin dall’adolescenza, dai tempi cioè in cui frequentavo oratori e gruppi scout, sentii crescere fortemente nel mio cuore il desiderio di trascendere gli oscuri ed enigmatici insegnamenti che venivano offerti dalla vicina parrocchia, nacque così in me quel qualcosa che poi divenne uno degli scopi principali della mia vita: riscoprire il senso della nostra esistenza ed il reale messaggio del Cristo enucleandone l’autentica essenza.

Una delle cose che non mi sono mai sentito di condividere delle varie Chiese sparse nel mondo è stata la loro pretesa di assolutezza:
Isaia (44, 6) ammonisce Israele: “Non c’è altro Dio all’infuori di Me“, nel Nuovo Testamento ci sentiamo imporre (Phil. 2, 11): “Ogni lingua affermi apertamente che Gesù Cristo è il Signore” ed il Corano arriva addirittura a minacciarci: “Se qualcuno cerca una religione diversa dall’Islam… nell’aldilà sarà dei dannati” e così via.

Come muoversi allora, e come nutrire saggiamente la propria spiritualità, nel mare di affermazioni antitetiche che ci vengono somministrate da queste assolutistiche religioni?

Negli ultimi anni, ho dedicato moltissimo del mio tempo libero allo studio dei documenti relativi al buddhismo e al cristianesimo, siano essi riconosciuti dalla Chiesa cattolica o considerati apocrifi.

Cos’è emerso?

Cercherò di compiere un’ardua impresa: realizzare un “condensato ridotto di una sintesi abbreviata del riassunto” di ciò che altrimenti non mi sarebbe proprio possibile esporre. In questo modo rimango in sintonia con quanto riportato nel Vangelo attribuito a Giovanni quando dice: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Giov. 21, 25).

Ma veniamo a noi. Per quanto riguarda i Vangeli osserviamo che non è possibile determinare con precisione le date della loro nascita, ho comunque notato che gli storici più qualificati collocano la prima stesura del Vangelo gnostico di Tommaso Apostolo (che la Chiesa cattolica si ostina a non riconoscere, ma che probabilmente è l’unico esempio di scritto riconducibile realmente ad un Apostolo di Gesù) e gli scritti di Paolo intorno all’anno 50, ‘Marco‘ nel 70, ‘Matteo’ e ‘Luca’ alla fine degli anni 90 e ‘Giovanni’ invece non prima dell’anno 100.

Ora, se è vero che Gesù morì intorno all’anno 30 (e sappiamo che non vi è nessuna prova certa che dimostri questo, né tantomeno la Sua crocifissione), sorge spontaneo domandarsi: Perché si aspettò tutto quel tempo prima di trascrivere le parole annunciate dal Cristo? ed anche: Perché Cristo stesso o i suoi apostoli non scrissero nulla se era loro intenzione tramandare ai posteri la Parola di Verità?

Tentiamo un’analisi.

I maggiori esperti del settore sono concordi nell’affermare che nessuno osò scrivere nulla poiché nel messaggio del Cristo era chiara la profezia dell’imminente Fine dei Tempi.

Difatti gli Apostoli e la comunità cristiana primitiva si attendevano (probabilmente anche a causa della prima di una lunga serie di errate interpretazioni del messaggio di Gesù) la fine dei giorni da un momento all’altro, e forse proprio per questo motivo non sentirono il bisogno di trascrivere le Parole pronunciate da Gesù per le generazioni a venire.
D’altro canto chi è realmente convinto dell’imminente “Fine del Mondo” non si prodiga certo nell’arte di scrivere testi.

Riporto come avallo alle suddette considerazioni alcune autorevoli affermazioni di studiosi e teologi del settore.

Il teologo Bultmann sostiene: “Non è necessario spendere molte parole per affermare che Gesù s’ingannò sulla prossima fine del mondo“, tale affermazione appare secondo me logica e comprensibile, soprattutto se analizziamo, ad esempio, i passi di Marco (Mc. 9,1; 1,15; 13,30), Matteo (Mt. 4,7; 10,7; 10,23; 16,28) e Luca (Lc. 11,51), senza la necessaria nonché doverosa decodificazione gnostica dell’insegnamento di Cristo.
Anche il teologo Heiler dichiara: “Oggi nessuno studioso serio e intellettualmente onesto può porre in discussione la chiara convinzione dei suoi seguaci intorno all’imminente venuta del Giudizio e della Fine dei Tempi” che concorda con quanto asserito dall’Arcivescovo Conrad Gröber: “…l’intera cristianità primitiva rimase delusa perché considerava imminente il ritorno del Signore, come attestano non solo singoli passi delle Epistole di S. Paolo, dei Santi Pietro e Giacomo e dell’Apocalisse, ma anche la produzione letteraria dei Padri apostolici e la vita della primitiva collettività cristiana” e con quanto ammesso dal teologo Harnack: “…la loro aspettativa è stata delusa: bisogna ammetterlo senza remore” ed infine con l’asserzione di H. J. Schoeps: “I discepoli di Gesù si attendevano certamente che con la sua morte avrebbe coinciso la concreta fine dei tempi. Il fatto che ciò non si sia verificato reca in sé la radicale delusione del movimento messianico che si richiamava a Gesù, ma certo non la fine della disperazione, della rassegnazione o del ridicolo“.

Questo deve essere stato dunque il motivo per cui, con tutta probabilità, non fu scritta nemmeno una riga finché Gesù abitò il corpo fisico e per le due intere generazioni successive.

Ma allora chi ha scritto i Vangeli che conosciamo?

Ormai è diventata consuetudine citare i nomi di Marco, Matteo, Luca e Giovanni come autori dei Vangeli canonici senza fermarsi più di tanto a pensare che, fatta eccezione per le Epistole paoline autentiche, non si hanno certezze sull’autore di nessuno degli scritti neotestamentari. Ritengo la rinomanza di Wikenhauser sufficiente per avvalorare questo assunto, egli dice: “La Chiesa ha fatto passare questi libri come opera dei primi Apostoli e dei loro discepoli, gettando così le fondamenta della loro autorità. In realtà essi non derivano dall’attività di nessun apostolo. Neppure il pubblicano Matteo può essere l’autore del cosiddetto “Vangelo di Matteo”, in quanto l’opera non venne composta in ebraico, secondo la tesi della più antica tradizione ecclesiastica (vescovo Papias), bensì in greco; e inoltre non può risalire a nessun testimone oculare. Questa è la posizione di quasi tutta l’esegesi biblica “non-cattolica”, mentre la Chiesa cattolica attribuisce questo Vangelo all’apostolo Matteo; ma anche i suoi esegeti sono costretti ad ammettere che non si conosce nessuno che abbia mai visto il presunto originale in aramaico, tradotto poi in greco, e che non esistono tracce di alcun genere del testo aramaico né di sue citazioni“.

 

cosa insegna la storia? (1)ultima modifica: 2010-12-06T18:10:00+01:00da meneziade
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