Vangelo di Gesù Cristo secondo MATTEO 2

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Capitolo primo

1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 2 Abramo generò Isacco, Isacco generò

Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 3 Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò

Esròm, Esròm generò Aram, 4 Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò

Salmòn, 5 Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 6 Iesse generò il

re Davide.

Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, 7 Salomone generò Roboamo, Roboamo

generò Abìa, Abìa generò Asàf, 8 Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9 Ozia

generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 10 Ezechia generò Manasse, Manasse generò

Amos, Amos generò Giosia, 11 Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in

Babilonia.

12 Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, 13 Zorobabèle

generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, 14 Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim,

Achim generò Eliùd, 15 Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16 Giacobbe

generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.

17 La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla

deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di

quattordici.

18 Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe,

prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo,

che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 20 Mentre però stava pensando a

queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide,

non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.

21 Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

22 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

23 Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio

che sarà chiamato Emmanuele,

che significa Dio con noi.

24 Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua

sposa, 25 la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù.

Questa genealogia si ispira al primo libro delle Cronache 1,34; 2,1-15; 3,1-18; e al libro di Rut 4,18-22.

Per l’ebreo la storia si esprime in termini di genesi, di generazione.

Nella Bibbia c’è una sola storia, quella di una promessa fatta da Dio ad Abramo, padre dei credenti (cf. Is

51,1-2), manifestatasi nel re Davide (cf. Is 9,6; 11,1-9) e adempiuta in Gesù (cfr Gal 3,28-29).

Il primo versetto di questo brano è il titolo della genealogia, ma può essere contemporaneamente il titolo di

tutto il vangelo. L’espressione “libro della genesi” richiama il titolo del primo libro della Bibbia e suggerisce

che il vangelo è il racconto della nuova creazione. L’evangelista Giovanni si pone sulla stessa linea

mettendo all’inizio del suo vangelo le parole “in principio”, riprese direttamente dal libro della Genesi 1,1.

Come figlio di Davide, Gesù porta a pieno compimento le promesse che Dio aveva fatto per mezzo dei

profeti (2Sam 7,1ss; Is 7,14ss). Come figlio di Abramo realizza perfettamente la promessa fatta al capostipite

del popolo di Dio: “In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra… Ti renderò molto, molto fecondo; ti

farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re” (Gen 17,6; cf. Gal 3,8-29).

La genealogia mette in evidenza la continuità tra la storia d’Israele e la missione di Gesù e ci prepara a

capire il vangelo, secondo il quale la Chiesa fondata da Gesù (Mt 16,18) è il vero Israele di Dio e l’erede di

tutte le sue promesse.

Al versetto 16 la struttura dell’albero genealogico bruscamente si spezza. Stando al susseguirsi delle

generazioni precedenti, avremmo dovuto leggere: Giacobbe generò Giuseppe e Giuseppe generò Gesù.

Leggiamo invece:” Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale fu generato (da Dio) Gesù

chiamato il Cristo”. Questo verbo in forma passiva “fu generato” (in greco eghennethe) esprime l’azione di

Dio, che verrà richiamata esplicitamente nel brano seguente:” Quel che è generato in lei viene dallo Spirito

santo” (Mt 1,20).

Nel versetto 17 Matteo attribuisce una grande importanza al numero 14. Questo numero è la somma di

valori numerici delle tre lettere dell’alfabeto ebraico che formano il nome di Davide (daleth, waw,daleth =

4+6+4). Questo versetto esprime una tesi teologica: sottolineando la cifra di Davide moltiplicata per tre (la

cifra tre è simbolica: esprime la realtà dell’uomo nella sua continuità, nel suo permanere nell’essere), Matteo

pone l’accento su Davide e sulla continuità della sua discendenza, argomento che svilupperà nel brano

seguente.

Nella genealogia di Gesù Cristo, Matteo ci ha dato una visione teologica del susseguirsi delle generazioni.

Ora prosegue questa sua concezione presentando il ruolo e la missione di Giuseppe dal punto di vista di

Dio. Giuseppe è un uomo giusto (v. 9). Il suo problema non è principalmente la situazione nuova che si è

creata con la sua promessa sposa Maria, ma il suo rapporto con questo bambino che sta per nascere e la

responsabilità che egli sente verso di lui. Giuseppe è detto giusto perché sintetizza nella sua persona

l’atteggiamento dei giusti dell’Antico Testamento e in particolare quello di Abramo (cf. Mt 1,20-21 con Gen

17,19).

La giustizia di Giuseppe non è quella “secondo la legge” che autorizza a ripudiare la propria moglie, ma

quella “secondo la fede” che chiede a Giuseppe di accettare in Maria l’opera di Dio e del suo Spirito e gli

impedisce di attribuirsi i meriti dell’azione di Dio.

Di sua iniziativa Giuseppe non ritiene di poter prendere con sé una persona che Dio si è riservata. Egli si

ritira di fronte a Dio, senza contendere, e rinuncia a diventare lo sposo di Maria e il padre del bambino che

sta per nascere; per questo decide di rinviare segretamente Maria alla sua famiglia.

Giuseppe è giusto di una giustizia che scopriremo nel seguito del vangelo, quella che si esprime nell’amore

dato senza discriminazioni a chi lo merita e a chi non lo merita (Mt 5,44-48) ed è riassunto nella “regola

d’oro”: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12). L’uomo giusto è

misericordioso come Dio è misericordioso.

La crisi di Giuseppe ha lo stesso significato dell’obiezione di Maria in Luca 1,29. Maria era turbata perché

non sapeva che cosa significasse il saluto dell’angelo. Giuseppe è incerto perché non sa spiegarsi ciò che è

avvenuto in Maria. Maria può chiedere la spiegazione all’angelo, ma Giuseppe non sa a chi rivolgersi; per

questo decide di mettersi in disparte aspettando che qualcuno venga a liberarlo dalle sue perplessità.

Matteo mette in rilievo l’identità messianica di Gesù affermando la sua discendenza da Davide, al quale Dio

aveva promesso un discendente che avrebbe regnato in eterno sulla casa di Giacobbe (cf. Lc 1,33; 2Sam

7,16). Quindi, secondo la genealogia, Gesù è il discendente di Davide non in virtù di Maria, ma di Giuseppe

(v. 16). E’ per questo che Matteo presenta Giuseppe come destinatario dell’annuncio con il quale gli viene

dato l’ordine di prendere Maria con sé e di dare il nome a Gesù. Giuseppe, riconoscendo legalmente Gesù

come figlio, lo rende a tutti gli effetti discendente di Davide. Gesù verrà così riconosciuto come figlio di

Davide (Mt 1,1; 9,27; 20,30-31; 21,9; 22,42).

Il nome di Gesù significa “Dio salva”. La promessa di salvezza contenuta nel nome di Gesù viene presentata

in termini spirituali come salvezza dai peccati (v. 21). Anche per Luca la salvezza portata da Gesù consiste

nella remissione dei peccati (Lc 1,17). In queste parole c’è il netto rifiuto di un messianismo terreno: Gesù

non è venuto a conquistare il regno d’Israele o a liberare la sua nazione dalla dominazione straniera.

La singolarità dell’apparizione dell’angelo consiste nel fatto che essa avviene in sogno. Matteo forse

presenta Giuseppe secondo il modello del patriarca Giuseppe, viceré d’Egitto (Gen 37,5ss). La cosa

importante è che l’apparizione dell’angelo chiarisce con sicurezza che la direttiva viene da Dio.

Nel versetto 22 troviamo la prima citazione dell’Antico Testamento. Questa è preceduta dalla formula

introduttiva: “Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del

profeta”. Con questa espressione Matteo vuol darci l’idea del compimento delle intenzioni di Dio contenute

nella Scrittura. E’ importante notare che attraverso il profeta ha parlato Dio.

Con la citazione di Isaia 7,14 Matteo presenta la generazione di Gesù come un parto verginale.

Gesù quale Emmanuele, Dio con noi, costituisce un motivo centrale del vangelo di Matteo. Questa citazione

di Isaia forma un’inclusione con l’ultima frase del vangelo: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del

mondo” (Mt 28,20).

Giuseppe, uomo giusto, si desta dal sonno e agisce. L’esecuzione descrive la sua obbedienza. Pur

prendendo con sé Maria, egli non la conosce. Il conoscere indica già in Gen 4,1 il rapporto sessuale.

L’imposizione del nome di Gesù ad opera di Giuseppe assicura di fronte alla legge la discendenza davidica

del figlio di Maria.

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Capitolo secondo

1 Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a

Gerusalemme e domandavano: 2 «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e

siamo venuti per adorarlo». 3 All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4

Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il

Messia. 5 Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6 E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo

che pascerà il mio popolo, Israele.

7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la

stella 8 e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando

l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

9 Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva,

finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, essi provarono una

grandissima gioia. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono.

Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti poi in sogno di non tornare

da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

La domanda dei magi: “Dov’è colui che è nato, il re dei giudei?” (v. 2) costituisce, forse, il tema principale del

brano. Ciò che più meraviglia è il fatto che essa viene formulata da persone estranee al popolo d’Israele,

ancora lontane dalla salvezza, ma che presto prenderanno il posto del popolo eletto.

I magi erano gli appartenenti alla casta sacerdotale della Persia. Più tardi, con questo nome furono designati

i teologi, i filosofi e gli scienziati orientali. Essi con il loro viaggio a Betlemme anticipano e preannunciano la

venuta dei popoli pagani al Vangelo.

Il valore cristologico di questo brano (Cristo, salvezza dei popoli) è il significato centrale che va

salvaguardato sempre. Le altre spiegazioni moraleggianti o allegoriche, in particolare a proposito dei doni e

del loro significato, valgono quello che valgono.

Sono i pagani che, per primi, si muovono per la nascita del “re dei giudei” e vanno a cercarlo. Essi giungono

naturalmente a Gerusalemme (cf. Is 60, 3-6). Lì i magi incontrano e interrogano gli ebrei e la loro storia

sacra. Questi attestano con sicurezza che le Scritture annunciano il Messia, ma non sono in grado di

riconoscerlo nel Bambino di Betlemme.

I giudei sono capaci di scrutare le Scritture e di scoprire il luogo della nascita del Messia predetto dal profeta,

ma non fanno un passo per trovarlo, per mettersi almeno al seguito degli adoratori stranieri. Il loro raduno

nella reggia di Erode sembra piuttosto un consiglio di guerra che una serena ricerca della volontà di Dio. La

capitale messianica, la piccola Betlemme, minima tra le città di Giuda, fa ombra alla grande Gerusalemme:

questa si lancerà con tutte le sue forze contro di lei, ma inutilmente: il Messia sfuggirà ai suoi attacchi.

Il comportamento di Erode, dei sacerdoti, degli scribi e del popolo contro Gesù è lo stesso che le autorità e il

popolo di Gerusalemme assumeranno contro il Cristo durante gli anni della sua vita pubblica e nei giorni

della sua passione, morte e risurrezione. E lo stesso atteggiamento assumeranno contro i predicatori del

vangelo e i continuatori della sua opera.

Un doppio movimento antitetico percorre questo racconto: quello del rifiuto degli ebrei e quello

dell’accoglienza dei pagani. Ritroveremo questa contrapposizione lungo tutto il vangelo.

La salvezza dei pagani è una verità presente nell’Antico Testamento e nella tradizione giudaica (cf. Gen

12,3; Is 2,2-5; Sal 47). Se a Israele è dato di scoprire Dio attraverso la loro storia, i pagani devono venire a

lui attraverso gli splendori della creazione (cf. Dt 4,15-20): gli astri narrano la gloria dell’unico Dio (cf. Sal

19,2-7) e rivelano la potenza del loro creatore (cf. Sap 13,1-9).

Pare che qui Matteo si riferisca al racconto di Nm 22-24 e ne faccia un commento alla maniera dei targumim

palestinesi, che sono traduzioni spiegate dell’Antico Testamento. Sia nel Libro dei Numeri che in questo

brano di Matteo, dei magi pagani incontrano un re straniero: Balac che vuole maledire il popolo di Dio (cf.

Nm 22,11; 23,7), Erode che vuol far morire il re dei giudei (Mt 2,8). I magi però, nei due casi, assumono un

atteggiamento contrario alla volontà dei due re, benedicendo e adorando colui che dovevano condannare

(cf. Nm 22,18; 23,8-9; Mt 2,11); inoltre annunciano una stella luminosa (cf. Nm 24,17; Mt 2,2) e se ne

tornano ai loro paesi tranquilli e contenti (cf. Nm 24,25; Mt 2,12).

Matteo vuole associare i pagani, fin dall’inizio della vita di Gesù, all’instaurazione del regno universale di Dio.

Gesù è la luce che illumina i popoli (cf. Is 9,1-5; 60,1-6); è la sapienza che sorpassa quella di Salomone e

attira a sé tutti i re e i sapienti della terra (cf. 1Re 10,1-13; 4,14).

La venuta dei pagani comporta il riconoscimento del dominio universale del Cristo. Ma, come si è già detto,

per Matteo è importante il contrasto che la venuta dei magi crea con il rifiuto degli ebrei: la salvezza

accettata da chi viene da lontano, è trascurata dai vicini (cf. Mt 8,11-12; 22,1-14).

I magi ricevono in sogno l’avvertimento di non tornare più da Erode. Essi sono esperti anche

nell’interpretazione dei sogni. Questi uomini di Dio, ubbidienti, “per un’altra strada fecero ritorno al loro

paese” (v. 12).

13 Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati,

prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta

cercando il bambino per ucciderlo».

14 Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, 15 dove rimase fino

alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio.

16 Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s’infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di

Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi.

17 Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

18 Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande;

Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.

L’Egitto ha sempre rappresentato nella storia d’Israele il luogo di rifugio per coloro che erano minacciati in

patria (cf. Dt 23,8; 1Re 11,40). Le relazioni politiche tra i due paesi lo consentivano.

L’iniziativa di Erode di eliminare il bambino, anticipa l’iniziativa dei farisei (Mt 12,14), dei grandi sacerdoti e

degli anziani (Mt 27,20), che alla fine si compirà con l’aiuto della folla.

Il profeta Osea esalta l’amore di Dio per il suo popolo con l’immagine del padre e del figlio, scorgendo nella

liberazione dalla schiavitù dell’Egitto l’inizio degli speciali rapporti tra Dio e Israele. Per l’evangelista Matteo il

profeta ha parlato di Gesù. Il testo profetico gli ha dato la possibilità di far valere quello che per lui è

l’essenziale attributo di “figlio”, attribuendolo a Gesù.

L’uccisione di tutti i bambini a Betlemme e dintorni fino a due anni di età vuole illustrare il furore di un potere

terreno offeso più che il numero dei bambini uccisi. Il carattere di Erode, nella descrizione di un simile fatto di

sangue, è colto con precisione.

La funesta strage dei bambini non è, al pari della fine del traditore Giuda in Mt 27,9, lo scopo diretto del

piano divino.

Secondo Geremia (31,15ss), Rachele, moglie prediletta di Giacobbe, si lamenta per i figli deportati in esilio.

Nella sua qualità di progenitrice essa portava già in grembo questi figli di una lontana generazione, quelli

appunto sterminati da Erode. Rama, nelle cui vicinanze Rachele fu sepolta, si trova sulla strada per Efrata, a

nord di Gerusalemme. Prima ancora della nascita di Cristo la tradizione della tomba di Rachele si è spostata

nella regione a nord di Betlemme, come presuppone il testo di Matteo. Secondo l’evangelista, Rachele eleva

anticipatamente un lamento sul suo popolo d’Israele non credente. La strage dei bambini di Betlemme

diventa la prefigurazione del futuro giudizio su Gerusalemme.

Sul massacro di Betlemme riferisce anche Macrobio, scrittore romano vissuto verso il 400 d.C. (Sat.2, 4,11):

“Quando Augusto ebbe la notizia che coi bambini inferiori ai due anni, che il re dei giudei Erode aveva fatto

uccidere in Siria, sarebbe stato soppresso lo stesso figlio del re, disse: ‘E’ meglio essere un maiale (in greco

ús) di Erode che suo figlio (in greco uíòs).

Il gioco delle parole ús e uíòs presuppone la polemica antigiudaica e il divieto giudaico di mangiare carne di

maiale. Nel regno di Erode è più al sicuro il maiale che lo stesso figlio del re.

Lo storico Flavio Giuseppe (Ant. 17,121) descrive Erode come un uomo “il quale infieriva con tutti senza

differenza con la stessa crudeltà, non conosceva misura nell’ira e si riteneva al di sopra del diritto e della

giustizia”.

19Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: “Alzati, prendi con

te il bambino e sua madre e va’ nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del

bambino”. 21Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d’Israele. 22Avendo però

saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in

sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea 23e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret,

perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazoreo”.

L’occasione per il ritorno in patria è data dalla morte di Erode. L’ordine impartito dal Signore per mezzo

dell’angelo sottolinea la guida di Dio. Il passaggio al plurale “sono morti” (v. 20) costituisce un’evidente

imitazione della storia di Mosè (Es 4,19). La famiglia di Gesù non va più a Betlemme, in Giudea, ma a

Nazaret, in Galilea. Il motivo è costituito dal nuovo assetto politico avvenuto dopo la morte di Erode. Il regno

di Erode fu diviso tra tre dei suoi figli. Archelao ottenne la Giudea, la Samaria e l’Idumea; Erode Antipa la

Galilea e la Perea; e Filippo i territori ad oriente e a settentrione del lago di Genesaret. Di tale cambiamento

Giuseppe viene a conoscenza al suo arrivo in Israele. L’ordine che riceve in sogno gli comanda di recarsi in

Galilea. L’ingresso di Gesù in terra d’Israele è travagliato. Fin d’ora si incomincia ad avvertire il rifiuto da

parte della sua gente.

Nazaret diventa la patria di Gesù. Di questa località non abbiamo nessuna notizia né nell’Antico Testamento

né nel giudaismo contemporaneo, e questo è un indizio della sua irrilevanza (Gv 1,46). Evidentemente

Nazaret, quale patria di Gesù, costituiva un elemento del conflitto che opponeva il cristianesimo al

giudaismo. L’obiezione giudaica era questa: il Messia non poteva provenire da questo paesino (Gv 7,40-43).

Infatti, come si poteva dimostrare che questa provenienza era conforme alla Scrittura, se Nazaret non ricorre

affatto nell’Antico Testamento? La risposta sta nel v. 23.

Il nome Nazoreo ricorre 13 volte nel Nuovo Testamento. Da questo si può dedurre che nel cristianesimo

primitivo era stato una designazione frequente di Gesù. In un solo passo del Nuovo Testamento i discepoli di

Gesù sono chiamati Nazorei (At 24,5). Luca usa indistintamente i termini Nazoreo e Nazareno (4,34; 24,19).

Matteo, invece, evita sempre il termine Nazareno: per lui Nazoreo significa uomo di Nazaret. Il primo capitolo

si era concluso con l’imposizione di un nome, Gesù, il secondo si conclude con l’imposizione di un altro

nome, Nazoreo.

Ci sono e vengono discusse altre due possibilità. Gesù sarebbe presentato da Matteo come nazir, nazireo,

consacrato a Dio, santo di Dio (Nm 6,3ss). Ma l’immagine del nazireo si adattava meglio a Giovanni Battista

che a Gesù, al quale si rimproverava di essere un mangione e un beone Mt 11,19). Più persuasiva è

l’interpretazione messianica del nome Nazoreo. Essa si fonda sull’affinità fonetica di questo nome con nezer,

il virgulto messianico atteso dal profeta: “Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse e un ‘virgulto’ darà frutto

dalle sue radici” (Is 11,1).

L’evangelista che ha incentrato l’annunzio della nascita sull’oracolo dell’Emmanuele attinto da Is 7,14, forse

vi ritorna con questa citazione finale. “Sarà chiamato Nazoreo” (nezer: Is 11,1) potrebbe essere una

citazione parallela a: “Sarà chiamato Emmanuele” (Is 7,14). L’appellativo “nazoreo” che, al momento in cui

Matteo scriveva il suo vangelo, serviva a deridere il Messia e i suoi discepoli (cf. Gv1,46) e che apparirà sulla

croce come motivo di condanna del Cristo (Gv 19,19) trova qui la sua piena giustificazione biblico-profetica.

Gesù Nazoreo è il vero re dei giudei annunciato dalle Scritture e che i fatti della sua infanzia dimostrano

come tale. Con quest’ultimo accenno l’autore finisce di tratteggiare la figura e di rievocare la missione di

Gesù. In lui si riassume quanto di positivo si trova nella precedente storia biblica. Scrive E. Galbiati: “Mosè e

l’Esodo, il periodo dei giudici e dei carismatici; gli splendori del regno e la sapienza di Salomone; l’esilio e la

speranza della restaurazione: tutta questa storia è in funzione di Gesù. Appunto per questo Matteo ha voluto

presentare l’infanzia di Gesù in funzione di questa idea”.

Attraverso i testi dell’Antico Testamento citati, evocati o semplicemente presentati in

filigrana, in questo brano Gesù appare come il “nuovo Giacobbe/Israele” e il “nuovo

Mosè”. Tutto si svolge in un lungo esodo: da Betlemme a Nazaret, via Egitto.

Il re Erode che ordina il massacro degli innocenti per ragioni di stato (v. 16), ricorda il

faraone, re d’Egitto, che ordina la soppressione di tutti i bambini ebrei (Es 1,15-22).

Come Mosè era riuscito a sfuggire misteriosamente alla morte (Es 2,1-10) e si era

rifugiato all’estero per sfuggire al faraone (Es 2,11-15), prima di affrontarlo

apertamente, per ordine di Dio, dopo aver ricevuto l’investitura profetica (Es 3,1-12),

così Gesù scampa al massacro, fugge da Erode andando all’estero in Egitto (vv. 13-

15) e si ritira quindi a Nazaret (v. 23), per ricomparire a predicare pubblicamente,

dopo l’investitura messianica in occasione del battesimo (cap. 3 e 4).

Matteo stesso ci dà la chiave di questo parallelo, riportando al v. 20 una frase di Es

4,19: “perché sono morti coloro che cercavano di farti morire”. I termini con cui Gesù

e Mosè sono richiamati dall’esilio per liberare il popolo di Dio sono identici.

Gesù viene anche paragonato a Giacobbe/Israele (cf. Gen 46,2-5). Come Giacobbe,

dopo la discesa in Egitto, ritornò cresciuto nelle dimensioni di un popolo, così Gesù

scompare in questa terra di schiavitù che è il mondo, per ricevere la chiamata di Dio

attraverso le acque e il deserto (cfr. cap.4). Questa interpretazione è confermata dalla

citazione di Osea 11,1: “Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio”.

Gesù viene identificato con tutto il popolo di Israele. La fuga di Cristo, nuovo

Giacobbe, in Egitto e il suo ritorno nella terra di Israele alla testa delle folle che lo

seguono (cf. 4,25) prefigurano già ciò che il mistero pasquale realizzerà per tutta

l’umanità.

E infine la citazione dei “profeti” (v. 23), che non troviamo in nessuna parte della

Scrittura, invita a pensare che ci scontriamo qui con un fatto inaspettato: la presenza

di Gesù a Nazaret. Questo piccolo villaggio della Galilea non ha riscontro nell’Antico

Testamento. È là, tuttavia, che Gesù, al ritorno dall’esilio, fa terminare il suo esodo.

La Galilea è importante per Matteo; essa è chiamata “Galilea delle genti” (Is 8,23—

9,1; Mt 4,15-16); per questo rappresenta la primizia del ritorno di tutti i popoli a Dio.

L’infanzia di Gesù è la prima tappa del vangelo e lo contiene tutto intero. Questi due

capitoli sono come una rilettura di tutto l’Antico Testamento attraverso la storia del

bambino Gesù. Egli viene ad adempiere le promesse fatte ad Israele. Attraverso le

cinque citazioni della Scrittura qui riportate, la Parola di Dio ci insegna che Gesù, già

chiamato “mio figlio” (2,15) è realmente fin dall’origine il Cristo di Dio, come lo

mostrerà la narrazione dei capitoli 3 e 4, centrata sulla venuta dello Spirito, e la voce

che risuona dal cielo al battesimo di Gesù.

Vangelo di Gesù Cristo secondo MATTEO 2ultima modifica: 2011-02-17T16:48:00+01:00da meneziade
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