Il Nazareno ridipinto da Hegel

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Sono 19 fogli color camoscio rilegati in un volume più ampio: le pagine di sinistra sono scritte integralmente, mentre quelle di destra lasciano un margine bianco per correzioni e aggiunte. Si presenta materialmente così l’autografo del Leben Jesu, la «Vita di Gesù», che Georg Wilhelm Friedrich Hegel non ancora venticinquenne compose tra il 9 maggio e il 24 luglio 1795 mentre era impegnato come istitutore (malpagato) nella casa del capitano Carl Friedrich von Steiger a Berna. In quell’orizzonte un po’ triste e incolore il celebre filosofo trovava uno spiraglio di luce nella biblioteca del villaggio di Tschugg, residenza estiva della famiglia von Steiger.
É da notare che due anni prima, nel 1793, Immanuel Kant aveva pubblicato La religione nei limiti della semplice ragione, che è stata definita una specie di «cristologia filosofica», convinto com’era il pensatore di Konigsberg che in Gesù di Nazaret si ritrovassero simultaneamente «la verità di Dio e la verità dell’uomo», iscritte nella purezza della ragione-rivelazione. Anche se Hegel non rimanda a quel testo, è indubbio però che nel gennaio del 1795, scrivendo all’altro grande filosofo, Fridrich Wilhelm Joseph Schelling, confessava di aver «ripreso lo studio della filosofia kantiana». Ma a stimolarlo intellettualmente era stato anche uno straordinario personaggio della mistica medievale, Meister Eckhart (1260 circa-1327), il cui pensiero tagliente s’era inoltrato spesso nei territori minati delle frontiere estreme della ricerca filosofico-teologica.
Era nato, così, in undici settimane quel manoscritto sulla «Vita di Gesù» che ora è conservato alla Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz di Berlino e che sopra abbiamo descritto e che verrà pubblicato solo nel 1906-1907, quasi a 80 anni dalla morte di Hegel, avvenuta nel 1831. La struttura dell’opera è curiosa: essa si basa su un collage di testi evangelici, ordinati secondo una progressione biografica che ha come punto di avvio il celebre prologo giovanneo e che approda significativamente non alla risurrezione bensì alla semplice inumazione del cadavere di Gesù. In alcuni casi, a prima vista, il filosofo di Stoccarda sembra parafrasare il testo evangelico, anche se i ritocchi che egli vi imprime sono tutti da vagliare e non sono mai casuali (si veda, ad esempio, la ripresa delle Beatitudini).
Altre volte, invece, la parafrasi si allarga in una vera e propria esegesi. Pensiamo, per esempio, al monito sul “peccato di desiderio” presente in Matteo 5, 27-28: «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio. Ma io vi dico: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore».
Commenta Hegel: «Io vi dico che non è offesa solo l’atto reale, ma la concupiscenza, la prova di un cuore già impuro. Qualunque sia l’inclinazione, quella più naturale, la più accattivante, resistetele con forza e perfino con violenza, prima di essere trascinati oltre la linea del diritto e aver così, a poco a poco, corrotto e sotterrato le vostre massime, anche se, nella soddisfazione del vostro desiderio, non avete violato la lettera della legge».
Ora, come indica Adriano Tassi, noto studioso di Hegel, nell’eccellente edizione italiana dell’operina del filosofo tedesco, «l’intento che pervade la Vita di Gesù è soprattutto quello di spezzare il legame tra la religione di Gesù e il culto, tra l’esercizio di una ragione legittimata e le condizioni legalistiche e autoritarie di tutte le forme del potere costituito. L’intero contesto dei testi evangelici è letto da Hegel in questa prospettiva, per lui la sola che renda il senso pieno della comunità degli uomini, sul fondamento logico offerto da Giovanni» (p. 33). É evidente quanto sia riduttiva la prospettiva entro cui si muove questa ricostruzione dell’esperienza e del messaggio di Gesù.
Quell’intreccio capitale tra immanenza e trascendenza, umanità e divinità, che costituisce l’Incarnazione cristiana è riletto secondo una modalità ben differente da quella teologica classica. Come ricorda Tassi, inquadrando la Vita nel contesto della ricerca giovanile hegeliana e citando il Testo 24 (Es sollte eine schwere Aufgabe) dei Fruhe Schriften «senza il divino della persona (di Gesù) avremmo soltanto l’uomo, mentre qui abbiamo un ideale sovrumano che non è estraneo all’anima umana, per quanto lontana essa possa pensare di esserlo». Concezione ribadita nello stesso Testo 24: «Il divino qualifica l’uomo virtuoso Gesù come ideale della virtù. Senza il divino della sua persona avremmo solo l’uomo; invece abbiamo un ideale che tuttavia non è estraneo all’anima umana».
Siamo, quindi, ben lontani dalla divinità così come è dichiarata dalla cristologia teologica. Per Hegel, invece, come osserva Tassi, «l’immanenza del logos è contemporaneamente una trascendenza dell’ordinario esistente, così come l’umanità di Gesù rappresenta la consacrazione della finitezza e insieme la sua negazione, l’inveramento nel finito come il richiamo all’infinito» (p. 34). Come si è detto per l’opera giovanile su Gesù di Albert Schweitzer, presentata su queste pagine (18-2-2001, p. 33), così anche per questo scritto cristologico giovanile di Hegel, non si può non riconoscere la forza di attrazione della figura di Cristo ma anche la pluralità delle interpretazioni settoriali e le loro precomprensioni codificatrici.

Il Nazareno ridipinto da Hegelultima modifica: 2011-03-24T12:23:00+01:00da meneziade
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