21° tappa: MEDITARE SU QUANTO DETTO E CONVALIDARE IL CAMMINO.

250px-Codex_Manesse_Schulmeister_von_Esslingen.jpgS’impone un riassunto del cammino svolto finora!

Hai cominciato questo percorso ammettendo, al di là delle apparenze, di esser preda d’un diffuso mal di vivere, anche se non evidente.

Poi ci siamo scagliati contro un atteggiamento, comune a tutti, di finzione e occlusione, scaturito da una forte paura della solitudine, volto a farsi accettare dagli altri con un sistema relazionale intricato e faticoso che cerca di accontentare l’altro, di non deludere la gente, di rispondere alle altrui aspettative ai danni della propria identità, reclusa in un enorme muro psicologico da te stesso costruito. Abbiamo denominato tale muro passamontagna, poiché, in realtà, esso ti procura proprio la solitudine che temi, proprio l’alienazione da cui vuoi fuggire. Questo carattere che ti sei costruito sulla menzogna ti sta rovinando, sta rendendo la tua vita uno sforzo, una lunga apnea alla mercè di un problema: gli altri.

Questa erronea forma di difesa neanche sta in piedi, poiché è una mentalità che delude anche te, quando gli altri non sanno sforzarsi per te, quando non sanno accontentarti, non sanno fingere per dar da mangiare alle tue illusioni di un collega, un amico o un familiare migliore.

La paura della solitudine, insomma, ha formato in te la mentalità della menzogna, che ha ucciso la tua vera persona, sepolta da chissà quanto tempo in una tomba bella e decorata.

Ciò non solo è dolore atroce, ma rischia di mentirti anche davanti a questo discorso, illudendoti che tu ne saresti esente.

Ciò, inoltre, ti pone nella mentalità del baratto, del mercato: mi sforzo per te, ti sforzi per me, sprecando in un vano compromesso un comune istinto alla bellezza delle relazioni sociali. Con questa mentalità, spesso, speri perfino di accontentare Dio, credendo che Lui si beva le tue frottole, che Lui ti venda gioia in cambio dei tuoi sforzi, ma non è così.

Immediatamente ci siamo proiettati nel primo comandamento: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti ha liberato dalla schiavitù d’Egitto”.

Tale Parola, in realtà, chiama Egitto PROPRIO la schiavitù dello sforzo, dell’oppressione della tua persona, invitandoti a fidarti di Uno, il Solo, che ti accetta come sei, con tutte le tue paranoie, i tuoi difettacci, le tue monotonie e anche le tue incoerenze, poiché ti ama. Tale amore è alla radice della tua liberazione! Perciò è necessario, con Lui, porti autenticamente, abbandonando la tua mentalità da baratto! Con Lui non devi fingere, ostentare, accontentare, con Lui devi solo lasciarti amare.

Dopodichè, la Sua Parola di Sapienza prosegue con “Non ti farai alcun idolo né immagine”. Sta, chiaramente, facendoti notare che la direzione che hai preso, nel tuo tentativo di ricerca di felicità, è strampalata: non serve, non ti sfama, non ti darà che poche soddisfazioni, non certo alla portata della fame della tua persona. Stai, insomma, seguendo “idolatrie”, stai venerando l’immagine che ti sei creato del traguardo a cui porterebbe la tua adorata, affannosa scelta, convinto che quel traguardo guarirebbe la tua sensazione di irrealizzato, di incompleto. Questa sensazione te l’ha certamente innescata il sistema altamente competitivo d’un mondo che t’ha offeso e accusato di non valere così come sei; questo messaggio storto e bugiardo ti spinge verso questa bugia. “Io Sono” ti dice: “Solo Io so ciò per cui tu sei fatto, solo Io che ti ho fatto conosco la direzione che ti riempirà di pienezza. La direzione che scegli tu chiede troppo affanno e, ammesso che tu riesca a compierla, darà poco. La mia direzione chiede poco e da tanto”. Per cui in questa sede ti si chiede di abbandonare le aspettative nelle tue quattro cose affannose e angoscianti e di metterti alla ricerca della Sua direzione, fiducioso che Lui ti riserva un traguardo di gioia vera, alta, grossa.

Il percorso è continuato con: “Non nominerai il mio nome invano”. A questo punto emerge, in tutto il suo dramma, il tuo stile mediocre di porti in relazione con gli altri: parole non mantenute, impegni tralasciati, disponibilità a intermittenza, nascondimenti, poca fiducia e, soprattutto, amicizia a convenienza. Questo fare misero non va bene con un Dio che ti chiede un rapporto vero, stretto e alto con Lui, destinato a rivoluzionare la tua visione della vita sociale e intima, così proiettata verso cose grandi, verso le vere ambizioni cui il tuo essere neanche sa di tendere. Cercare Dio solo quando ti serve, tenere un rapporto discontinuo e formale con Lui è, logicamente, all’origine delle tue delusioni di fede, propenso come sei, oramai, a non contare più su di Lui. Dio non è come tanti vendifumo che rattoppano la tua vita mediocre con le quattro cosette che vuoi, quelle che credi ti basterebbero; con Lui o si fa sul serio o no. Questa la mentalità di Chi è morto per te.

Il percorso è proseguito con “Ricordati del giorno del riposo per santificarlo”. Dio adesso lavora col tuo sistema di vita sballato, incline all’ottica dello sforzo, al non entrare bene nel tuo lavoro, nelle situazioni complicate delle tue responsabilità, vivendole come un dovere da concludere quanto prima. Chiaramente questa mentalità ti porta a racimolare i tuoi pochi momenti liberi per correre a fare ciò che in settimana non hai potuto. Avido di scaricare stress, di staccare la spina, guai a chi ti toccherà quel gruzzolo di tempo libero in cui vuoi fare questo, quello e quell’altro! Non farai un bel niente, il tempo volerà, tornerai subito alle tue pesantezze; tutto ciò per una vita intera. La soluzione che ti propone “Io Sono” è un’altra: Dio creò il creato in sei giorni simbolici, dopodichè, vedendo che era “cosa buona”, riposò il settimo giorno. Riposo, insomma, non è né poltrire nel tempo libero per recuperare forze irrecuperabili, né sballarsi per dimenticare i tuoi fardelli settimanali, bensì vivere le tue pesanti responsabilità come un’occasione per creare “cosa buona”, contemplandone, nei tuoi attimi di riposo, la bellezza. E, bada bene, cosa buona non è “cosa grandiosa”, né “cosa conveniente”, ma cosa bella per il contesto cui è destinato il tuo operato, per quanto ostile.

Questo comandamento non esclude i disoccupati, i quali, atterriti da un nulla fare che opprime l’istinto umano del costruire, neppure riposano affatto. Anzi!!!

“Onora il padre e la madre”. Ecco che qui si scava nei propri traumi, nei conti in sospeso con la propria famiglia. Spesso sono disastri grossi quelli che i tuoi t’hanno procurato col loro fare storto, anche se in apparenza non t’hanno fatto chissà che! Eppure ti porti appresso un irrisolto rancore verso di loro che gestisce i tuoi atti, i casini e le vendette che premediti contro qualcuno. Questo amaro cordone ombelicale non va tenuto stretto attraverso i tuoi riscatti rivendicativi, eventuali liti e discussioni che protrai con loro: va tagliato! Il modo migliore per guarire dai tuoi traumi è TAGLIARLI, dopo averli senz’altro scoperti, studiati e capiti! Taglio netto! Le cose morte e sterili non vanno neppure seppellite, per dirla alla Gesù, ma lasciate là, troncate, abbandonate. Quando emerge un rancore per una vecchia offesa, è saggio dire:“Ma che cavolo me ne frega!”.

Coloro che hanno avuto e hanno genitori perfetti non sono certo esenti da tale discorso, poiché spesso la troppa bellezza d’un rapporto confonde il suo ruolo di “tappa”: i genitori sono una tappa, la prima, con tutte le sue piccole o grosse imperfezioni. Questa tappa va superata con la seconda: Dio, il tuo nuovo Padre, la seconda tappa PERFETTA della tua vita.

Onorare il padre e la madre, insomma, è TAGLIARE COL TUO PASSATO, immergerti nella tua nuova missione, quella in cui Dio ti darà pienezza! Se hai una certa età e ancora vivi con i tuoi, VA’ VIA QUANTO PRIMA, non stagnarti nel tuo apparente benessere da poltrona, poiché questo grave ripiego impedisce alla tua persona di compiersi. Certo, se loro sono bisognosi accudiscili, ma TIENITI FUORI DAI LORO PROBLEMI PERSONALI: sei il figlio e, per quanto tu sia maturo e responsabile, spetta non a te condividere le loro cose!

Anche se ti sei creato un futuro e hai cambiato casa, eppure le loro problematiche private ti tengono legato ad essi… TAGLIA!

Questo messaggio vale anche per chi è orfano o adottato.

Col successivo “Non uccidere” abbiamo spostato il baricentro da te stesso a qualcun altro e si è sottolineato decisivamente quanto uccidere sia, oltre la privazione fisica della vita di un altro, la privazione della sua persona. Lo si fa in mille modi! L’hanno fatto con noi e perciò lo facciamo noi a chi ci cade nelle fauci, giustificati da un “Che vuoi che sia” o da “Il mondo è fetente, la gente fa schifo”.

Uccidi scaricando la rabbia istigata da una mortificazione, vecchia o recente, su qualcun altro; uccidi trattando a convenienza qualcuno, sbrigandolo in fretta, scartandolo dalla tua realtà, deridendolo.

Uccidi qualcuno anche vendicando un torto che egli ti ha fatto, poiché la tua lezione non lo sveglierà, ma lo fomenterà! Tutt’al più costui perderà la guerra, ma il massimo che ne trarrai sarà tregua e la tregua non sfama il tuo bisogno di piena giustizia, né fa cessare il tuo bisogno di sfogo! Vendetta, inoltre, è dimostrazione massima di non credere alla giustizia che rivendichi, poiché fai proprio ciò che proclami di detestare!

Uccidere, infine, è non amare: stare in un posto, trovarsi nell’occasione adatta per intervenire, con massima cura e passione, per aiutare veramente qualcuno che neppure te lo ha chiesto… e non farlo, ahimè, è uccidere! Uccidere non solo lui, ma te stesso, nella misura in cui ti priverai di una grande occasione di dar compimento alla tua vera grandezza, alla tua “missione”. Andrai via da quella situazione con un cuore desolato, un cervello inconsciamente inappagato, poiché la tua vera propensione – gran verità quella che stiamo per annunciarti – sono gli altri, non tu! Non sei nato per soddisfare te stesso; la prova è che quando lo fai sei sempre un infelice, vittima d’una fame incessante. Sei nato per amare qualcuno; la prova è che quando lo fai bene torni a casa pieno, felice, sazio! Questa l’indole che neppure sai d’avere, confuso da un grande equivoco: l’ ego!

Non annuire leggendo queste righe: non si nasce amanti, si impara ad amare! Questo il contenuto che tratteremo nei prossimi post.

Tu non sai ancora amare. Sappiamo che vorresti farlo, che ci provi, ma la minima difficoltà, la minima opposizione di qualcuno o qualcosa ti innervosisce e ti fa passare la voglia, ritornando, come sempre, nei tuoi casini inceppati e tristi: “Ma chi me lo fa fare!”… chi te lo fa fare? CHI TE LO FA FARE? TE LO FA FARE IL FATTO CHE PUOI ESSERE UN GENIO, MA SE NON SAI AMARE NON SEI NESSUNO, FUORCHE’ QUEL FALLITO DI SEMPRE CHE SI PERDE IN QUESTA E IN QUELLA COSA E TORNA AL PUNTO DI PARTENZA, DOPO DECENNI!

VUOI CAPIRE CHE DEVI SMETTERLA CON TE STESSO? DEVI TRONCARE CON TE STESSO, DIMENTICARTI, PERDERTI! DEVI TROVARE LA VITA IN QUALCUN ALTRO! LI’, SOLO LI’ C’E’ VITA, NON IN TE!

“E’ difficile”? Forse finora l’hai fatto nel modo sbagliato, forse finora non l’hai saputo fare; che male c’è ad ammetterlo? Vuoi toglierti quel passamontagna fetente con cui continui a difendere le tue ostentazioni?

LA VERITA’ E’ CHE FINORA HAI VISSUTO COME UN POZZO SENZA FONDO E NON E’ QUESTO IL TUO DESTINO!

Anziché un goloso pozzo senza fondo, tu sei fatto per essere una SORGENTE di cose da dare. Basta nutrirti di cose che non saziano!

Sai quand’è che un uomo si sente fallito? Non quando non può più avere, nè quando gli arriva un licenziamento o uno sfratto. Ciò non vuol dire che non si soffra, né che questo dolore non sia grave; ma la vera sensazione di fallito sopraggiunge quando NON SERVI PIU’!

Sapere di essere inutile agli altri, questo è fallimento da suicidio!

Un uomo, una donna, un vecchio, sono persi quando sentono di non aver più nulla da dare! Allora s’inventano qualche intrattenimento per sviare il problema:”Vado al corso di salsa!”.

Chi vive per avere sta male! Chi vive per sè soffre e non sa perché!

Vorrai continuare così? O vorrai fare un piccolo sforzo di riconoscerti un incapace, ponendoti nelle mani di Chi t’ha creato per insegnarti ad amare?

Certo! Ora, probabilmente, stai pensando:”Ma io amo, però la mia vita non va e la gente che mi circonda non capisce!”.

Bene! Hai diritto a porti questa domanda: sarà il nostro filo conduttore.

Per ora limitati ad abbracciare una sola certezza: finchè vivrai per te stesso sarai un fallito, con tutto il tuo impero così ambito da tutti! Vivere per qualcun altro, lì è l’inizio della tua vita piena e felice, lì è la verità, non nelle tue illusioni!

E se amare ti sta facendo soffrire, fratello, non stai amando bene.

Impareremo insieme a breve!

21° tappa: MEDITARE SU QUANTO DETTO E CONVALIDARE IL CAMMINO.ultima modifica: 2012-05-10T22:39:19+02:00da meneziade
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