La preghiera – S. AGOSTINO

 

La preghiera

 Patristica(Santo Agostinho).jpgTardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai anelante verso di te; gustai, e ebbi fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.

(S.Agostino, Le Confessioni, 10, 27)

 

Lo Spirito Santo geme in noi, perché fa gemere noi (cfr. Rom. 8, 3). Non è cosa da poco che lo Spirito ci insegna a gemere: ci fa capire così che siamo pellegrini, ci insegna a sospirare verso la patria, e per questo desiderio ci fa gemere. Chi invece si trova bene in questo mondo, o meglio crede di starvi bene, chi esulta nelle cose della carne e nell’abbondanza dei beni terreni, e della felicità menzognera, costui ha la voce di un corvo; e il corvo gracchia, non geme. Ma colui che cono­sce il peso opprimente della natura mortale e sa di peregri­nare lontano dal Signore e di non possedere ancora quella beatitudine eterna che ci è stata promessa (la possiede con la speranza, ma l’avrà realmente quando il Signore, dopo la sua venuta nel nascondimento dell’ umiltà, verrà nella luce della sua gloria), colui che sa tutto questo, geme. E finché geme per questo, santamente geme: è lo Spirito che gli inse­gna a gemere, dalla colomba ha imparato a gemere. Perché molti, infatti, gemono a causa dell’infelicità terrena, perché squassati dalla sfortuna, o gravati oltre ogni modo dalle ma­lattie, benché chiusi in carcere, o avvinti in catene, o sbattuti dai flutti del mare; circondati dalle invidie dei loro nemici, gemono. Ma non gemono, costoro, con il gemito della colom­ba, non gemono per amore di Dio, non gemono nello Spi­rito. Perciò, appena liberati da tutte queste tribolazioni, niente sarà più rumoroso della loro gioia, lasciando vedere che sono corvi, non colombe.

(S.     Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 6, 2)

Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te. Tu sollevi chi riempi; io ora, non essendo pieno di te, sono un peso per te; le mie gioie, di cui dovrei piangere, contrastano le afflizioni, di cui dovrei gioire, e non so da quale parte stia la vittoria; le mie afflizioni maligne con­trastano le mie gioie oneste, e non so da quale parte stia la vittoria. Ahimé Signore, abbi pietà di me! Ahimé! Vedi che non nascondo le mie piaghe. Tu sei medico, io sono malato; tu sei misericordioso, io sono misero. Non è forse la vita umana sulla terra una prova (Giob. 7, 1)? Chi vorrebbe fastidi e difficoltà? Il tuo comando è di sopportarne il peso, non di amarli. Nessuno ama ciò che sopporta, anche se ama di sop­portare; può godere di sopportare, tuttavia preferisce non aver nulla da sopportare.

 Nelle avversità desidero il benessere; neI benessere temo le avversità. Esiste uno stato intermedio tra questi due, ove la vita umana non sia una prova? Esecrabili le prosperità del mondo, una e due volte esecrabili per il timore dell’avversità e la contaminazione della gioia. Esecrabili le avversità del mondo, una e due e tre volte esecrabili per il desiderio della prosperità e l’asprezza dell’avversità medesima e il pericolo che spezzi la nostra sopportazione. La vita umana sulla terra non è dunque una prova ininterrotta?

(S.   Agostino, Le Confessioni, 10, 28)

La preghiera – S. AGOSTINOultima modifica: 2013-02-27T13:00:00+01:00da meneziade
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