CARLO MARIA MARTINI. PREGHIERA CON L’EVANGELISTA LUCA. TERZA PARTE.

 

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RITMO della preghiera

La preghiera, come la vita, ha un suo ritmo, un ritmo che la sostiene, che permette di prolungarla senza fatica.

Oggi abbiamo esempi veramente straordinari di giovani, di ragazzi che pregano per ore; è un’esperienza che giudicavamo inaudita anni fa, ma oggi la vediamo: è una meraviglia che Dio opera.

Costoro hanno trovato il ritmo giusto. $è come uno che una volta trovato il buon ritmo del cammino può andare avanti per chilometri senza stancarsi. Così è importante anche un certo ritmo fisico, psichico, interiore nella preghiera. In che cosa consiste questo ritmo? Il ritmo fondamentale, quella musica che portiamo dentro di noi è il respiro. Questo è il ritmo fondamentale della vita, quello che ci dà i tempi del vivere.

 

Proprio per questo sia la tradizione monastica della Chiesa greca, sia, ancor di più, la tradizione orientale yoga e buddista, hanno dato un grandissimo valore alle tecniche del respiro; sono giunte persino ad indicare tanti modi per rendere questa tecnica cosciente, per assumerla e poterla controllare. Anche se tutto questo sembra molto complicato mi pare possa contenere qualcosa di positivo.

 

Sottolineerei questo: la “preghiera di Gesù” è la preghiera orientale più vicina alla tradizione cristiana, quindi più facile per noi da assimilare. Questa preghiera (cfr. “I racconti del pellegrino russo” e altri testi del genere) consiste in una invocazione ripetuta lentamente, a ritmo di respiro. $è un’invocazione pregnante, ricca di significato: “Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me”.

 

Secondo l’insegnamento della tradizione monastica orientale questa invocazione deve passare dalla testa al cuore, entrare nel ritmo del respiro, invadere e pervadere la persona. Certamente noi occidentali siamo spesso tentati di meccanicizzare queste esperienze, di prendere le cose in maniera troppo esteriore; potremmo cadere in esagerazioni o stranezze. Per questo è bene sottolineare che ciascuno deve adattare a sé questo tipo di preghiera.

 

Esiste comunque un respiro della preghiera, un ritmo che una volta acquistato ci accompagna e ci permette di perseverare in questo dialogo con Dio con gioia e anche con un gusto interiore, con una soddisfazione che ci riempie il cuore, che ci mette nella verità di noi stessi.

 

L’altra tecnica molto semplice è quella del Rosario. Il Rosario è la versione occidentale, un po più complicata, della preghiera ripetitiva di Gesù di tipo orientale.

 

Comincia da noi nel Medio Evo e poi si diffonde sempre più. Non è però una preghiera facile: io ricordo tanti rosari detti, da ragazzo, da adolescente, con un po di noia, di distrazioni che mi riempivano la testa, quasi fosse una preghiera che veniva imposta, ma non era spiegata e allora diventava difficile.

 

E’ una preghiera che mi pare richieda una certa calma, una certa distensione, l’acquisizione di ritmi che ci permettano di entrare in uno stato vero di preghiera e non soltanto in una recita verbale.

 

A chi trovasse difficile la preghiera del Rosario o ne avesse perso un po l’uso e avesse paura a riprenderla, vorrei indicare un mezzo che forse può apparire molto semplice, ma che può aiutare a ritrovare il senso di questa preghiera. Da questa preghiera del Rosario, soprattutto quando abbiamo poco tempo a disposizione, è possibile trarre quei vantaggi che offre la “preghiera di Gesù” di cui prima abbiamo parlato. Limitando la recita a pochissime parole, ripetute però lentamente e assorbite nell’interno del cuore, siamo condotti vicino a quella che gli orientali chiamano appunto “la preghiera di Gesù”.

 

Quando voglio brevemente introdurmi in questa atmosfera di preghiera scelgo molto semplicemente una invocazione del Rosario e la ripeto lentamente, un certo numero di volte (ad esempio nella prima decina recito le parole “Ave Maria prega per noi”) Queste semplici parole, dette molto lentamente, ripetute dieci volte, sono più brevi della recita completa, però possono penetrare in noi molto lentamente, e invogliarci gradualmente alla preghiera un po più lunga, un po più ampia. Sono numerosi i modi in cui possiamo introdurci nella preghiera prolungata; bisogna soprattutto badare non tanto alla quantità delle cose, quanto ad un vero ritmo, che allora davvero nutre il nostro spirito, ci entra dentro.

 

Tante altre osservazioni si potrebbero fare sul ritmo della preghiera; in fondo è questo ritmo che comanda la struttura dei Salmi. I Salmi sono composti in parallelismo o antitetico (si afferma una realtà e poi si esprime l’aspetto opposto) o sintetico (si esprime una realtà e successivamente un altro aspetto della medesima realtà). Questo “va e vieni” risponde al ritmo del respiro, al ritmo dei cori che si alternano, al ritmo di chi chiama e di chi risponde.

 

L’entrare in questa realtà ci fa capire meglio tante cose che la Scrittura ci mette davanti e di cui, soltanto a poco a poco, impariamo a conoscere le reali profondità antropologiche, a scoprire l’autenticità dell’uomo che emerge dalle diverse forme di preghiera. Infine vorrei dire un’ultima parola per chiarire quanto ho esposto sopra. Potrebbe sembrare che la preghiera si impari con alcune tecniche, attraverso un lungo esercizio che porti l’uomo ad acquistare un certo possesso di sé, una certa padronanza, una certa calma, un certo respiro, una certa profondità. Questo è in fondo lo scopo delle tecniche yoga: il far sì che l’uomo padroneggi pienamente se stesso.

 

Se però ci lasciamo illudere in questo senso, allora davvero sbagliamo enormemente sullo scopo della preghiera cristiana. Lo scopo della preghiera cristiana non è che l’uomo si possieda, anche se il modo di pregare cristiano fa sì che l’individuo acquisti più autenticamente la coscienza di sé e diventi una persona più equilibrata, più ordinata, più riflessiva, più attenta, più lungimirante. Tutto questo è certamente un frutto dell’educazione alla preghiera, che porta ad una certa capacità di respiro, alla distanza delle cose, al giudizio non precipitato ma maturo. Però tutto questo non è lo scopo e se ne facessimo lo scopo avremmo deviato totalmente il senso dell’educazione alla preghiera.

 

Guercino.jpgQual è allora il culmine, il senso della preghiera cristiana? $è quello che Gesù ha indicato nel momento dell’agonia: “Padre, non la mia, ma la tua volontà” Oppure la preghiera di Gesù sulla Croce: “Padre, nelle tue mani affido la mia vita e il mio spirito” E questo è il culmine della preghiera.

 

Ogni educazione alla preghiera che non arrivi, che non tenda a questo culmine, che non conduca l’uomo a consegnarsi nelle mani di Dio con fiducia e amore, può ad un certo punto diventare illusione, fonte addirittura di deviazione religiosa. $è per questo che non basta dire ad una persona di pregare molto; una persona può pregare molto ma essere religiosamente deviante o addirittura distorta nella sua apprensione dei valori. Anche la preghiera, come tutte le realtà umane, è esposta a deviazioni e distorsioni. Non c’è realtà umana che l’uomo non sappia guastare, che noi non sappiamo guastare con il nostro egoismo; anche la preghiera incontra queste ambiguità.

 

Dobbiamo allora tenere presente che il punto di arrivo della preghiera cristiana è che ciascuno di noi, come Gesù nell’orto del Getsemani, possa consegnare a Dio la sua vita e dire: “Ecco la mia vita è nelle tue mani”

 

Allora la preghiera ha raggiunto veramente l’autorivelazione di ciò che l’uomo è: un essere venuto da Dio e destinato a ritrovare se stesso nel lanciarsi, nel buttarsi attraverso il dono della fede, nelle mani di suo Padre.

 

Davvero la preghiera diventa espressione della fede perfetta, cioè della consegna totale della mia vita. Abramo è esempio di preghiera perfetta proprio quando parte ascoltando la voce di Dio; anche se non sappiamo quale preghiera abbia fatto in quel momento, costatiamo che si è consegnato alla voce di Dio e ha seguito coraggiosamente la sua chiamata.

 

Questo rimane il culmine della preghiera cristiana ed è per questo che nella Lettera Pastorale ho tanto insistito sul rapporto tra preghiera e Eucarestia. $è nella Eucarestia che Cristo consegna se stesso al Padre per noi, e che noi siamo chiamati a lasciarci attrarre da questo vortice di dedizione per entrare nel dono stesso di Cristo.

 

Ogni nostra preghiera diventa allora preparazione, attualizzazione, vissuto, della Eucarestia. La preghiera autentica è quella che dispone ciascuno di noi al servizio degli altri. Consegnare a Dio la nostra vita non significa consegnarla “astrattamente” nelle sue mani, quasi per estraniarci dal mondo. Significa invece consegnarla a lui perché ci metta in stato di servizio verso i  fratelli. $è questo il punto di arrivo della preghiera cristiana: educazione al servizio, educazione all’essere disponibili totalmente, educazione a buttarsi nel servizio incondizionato dei fratelli.

 

Incondizionato perché l’incondizionato di Dio, l’Assoluto, colui che è senza condizioni e che ci chiama al dono senza condizioni, ci si è rivelato e ha trasformato la nostra vita. Qui si fonda non solo il rapporto tra preghiera e Eucarestia, ma anche quello tra preghiera e vita.

 

La pietra di paragone della autenticità della preghiera è non il ripiegamento su di sé o il gusto intimistico che ci spinge a trovare delle soddisfazioni personali, ma la franca e chiara messa a disposizione della nostra vita per tutti coloro che hanno bisogno di noi, per chi soffre, per i più poveri, per i più bisognosi. $è una appropriazione di noi stessi per il servizio degli altri.

 

$è questa la preghiera che vogliamo fare e che chiedo, anche per aiuto vostro, di poter fare io stesso: di mettermi cioè sempre più e davvero in stato di servizio.

Lc 1,#39-56 In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Allora Maria disse: {j{l”L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

 

D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

 

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.

 

Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi.

 

Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre” Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua. L’episodio della Visitazione, seguito dal canto del Magnificat, è il primo brano di Luca su cui ci fermiamo per capire come pregava Maria. Vorrei poterci riflettere con lo stesso animo con cui questo episodio è stato espresso da un poeta contemporaneo: “Con quale voce cantavi Maria! Gli antichi salmi parevan brillare di luce nuova e fondere i colli e tutti i poveri ti odono ancora”. E vorrei pregare: “Signore, che attraverso il dono del tuo Spirito, hai ispirato a Maria questa preghiera di lode e ringraziamento, concedi a noi, e a tutti i poveri del mondo che ancora ascoltano questa preghiera e la risentono in sé, di poterla risentire con quell’affetto, con quella pienezza di lode e di gioia con cui, per prima, la cantò la tua Madre”.

 

Annunci di vita Cerchiamo, prima di tutto, di capire il senso dell’episodio in cui è inserita la preghiera del Magnificat. $è un episodio da intercalare tra due annunci e due racconti di nascita: l’annuncio a Zaccaria e l’annuncio a Maria che occupano gran parte del 1° cap. di Luca; il racconto della nascita di Giovanni e quello della nascita di Gesù che occupano l’ultima parte del 1o capitolo e il 2o capitolo.

 

Tra questi due annunci e due racconti sta, come intermezzo, la narrazione della Visitazione e il canto del Magnificat, che ci fa entrare nel mistero della psicologia umana di Maria; ci vuol fare capire cosa è avvenuto in lei, cosa si è mosso dentro di lei, dopo il grande avvenimento che l’ha improvvisamente coinvolta, senza suo previo presentimento, nel piano di Dio.

 

Gioia e imbarazzo Come Maria ha vissuto questa vicenda, che cosa è accaduto? Dopo l’annuncio dell’Angelo, Maria è una persona alla quale è stato consegnato un grande segreto che cambia la sua vita, che la coinvolge profondamente, che la porterà a vivere un’esperienza del tutto diversa da quella da lei immaginata. Porta nel cuore questo segreto e non può spiegarlo a nessuno.

 

$è certamente un segreto di gioia che la potrebbe riempire di letizia, tuttavia è anche imbarazzante e doloroso.

 

images.jpgIl Vangelo di Matteo ci fa capire il peso di questo annuncio: come spiegare a Giuseppe, al suo sposo, ciò che è avvenuto, come renderlo credibile, come far capire il mistero di Dio che si è manifestato in lei.

 

Maria si trova nella situazione di chi, avendo qualcosa di grande dentro di sé, che le dà gioia e insieme peso, vorrebbe comunicarlo, vorrebbe farsi capire e non sa a chi e come. In questa solitudine, pensosa e dolorosa, percorre la strada verso la Giudea per andare ad aiutare Elisabetta.

 

Capita, tante volte, anche a noi di avere qualcosa dentro e non riuscire a trovare nessuno con cui comunicare davvero; non abbiamo fiducia che qualcuno possa capire e ascoltare ciò che di gioioso o di doloroso abbiamo dentro.

 

L’amicizia di Elisabetta Maria si avvia verso la montagna di Giuda e, entrando nella casa di Zaccaria, saluta Elisabetta. “Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”.{p39 Improvvisamente, senza bisogno di parole, Maria si sente capita, sente che il suo segreto è stato colto da chi poteva intuirlo nello Spirito Santo, sente che ciò che è avvenuto in lei, il mistero di Dio, è ormai inteso da altri, ed è inteso con amore, con benevolenza, con fiducia. Si sente accolta e capita fino in fondo e può dare sfogo a tutta la pienezza dei sentimenti che fino a quell’istante erano rimasti come compressi. Ora che un’altra persona ha potuto intuire il suo segreto, Maria si sente liberata interiormente e può esclamare a gran voce ciò che ha dentro; può esprimersi, attraverso un’amicizia discreta e attenta, attraverso un cuore capace di comprenderla. Ed ecco erompere, tutto d’un pezzo, il suo canto che proclama ciò che aveva meditato per lungo tempo, durante il viaggio.

 

Quanto è importante il valore di un’amicizia che ci capisca e che ci aiuti a sbloccarci e che ci permetta di mettere fuori ciò che abbiamo dentro, di bello o forse di brutto, purché sia espresso, purché sia detto! Maria si esprime cantando ed esultando perché il suo animo è pieno di gioia.

 

Un canto di gioia Leggendo attentamente il suo canto, vediamo che incomincia con il soggetto “io”: l’anima mia, il mio spirito. All’inizio è lei stessa al centro: la sua esperienza, la sua gioia, il suo scoppio emotivo, ma, subito dopo, il soggetto cambia: “il mio spirito esulta in Dio, perché lui – e da qui in avanti è sempre Dio – ha guardato l’umiltà… grandi cose ha fatto… la sua misericordia si estende… ha spiegato la potenza… ha disperso i superbi… ha rovesciato i potenti, ha innalzato gli umili… ha ricolmato di beni… ha rimandato i ricchi… ha soccorso Israele.

 

La struttura del canto parte dall’esperienza personale. Maria grida ciò che le sta dentro, – io glorifico  Dio, io esulto – per portarsi immediatamente a descrivere ciò che Dio fa. C’è una perfetta fusione tra l’aspetto soggettivo, personale, l’esperienza immediata della persona che prega, e la sua trasposizione nella contemplazione dell’opera di Dio, nella quale la persona si sente inserita. $è chiaro che anche dopo, Maria parla di sé: grandi cose ha fatto… ha spiegato la potenza… ha rovesciato i potenti…, però tutto è contemplazione di se stessa nel piano di Dio, nel grande Mistero in cui ormai è entrata.

 

Contemplare Dio nel mondo Proviamo a chiederci se saremmo capaci di fare le affermazioni di Maria. Oppure se non saremmo tentati, guardandoci intorno, di fare affermazioni contrarie, scettiche e disperate sulla situazione. Di dire, cioè, che i superbi trionfano, i potenti spadroneggiano dai loro troni, gli umili sono calpestati, gli affamati si moltiplicano con la loro fame, i ricchi arricchiscono sempre di più. Quella che noi chiamiamo visuale realistica delle cose, viene qui rovesciata, nella contemplazione che Maria fa dell’opera di Dio.

 

$è Maria che traccia un quadro ideale, o siamo noi, che non riusciamo a cogliere esattamente le dimensioni della realtà? In qualche modo, l’una e l’altra cosa sono vere. Infatti, alcuni Salmi, al contrario del Magnificat, dicono che non c’è più verità tra i figli dell’uomo, che ciascuno è menzognero e sfrutta il suo prossimo. Esprimono, cioè, delle conclusioni realistiche sulle miserie e sulle sofferenze del mondo che sono l’opposto della descrizione di Maria.

 

Il fatto è che Maria parla guardando la storia dalla parte della speranza, si mette dalla parte del Regno, e, in una umanità piena di mali, di sofferenze e di ingiustizie, contempla la venuta di Dio che sta trasformando la povera esistenza umana.{p41 Chiediamoci, allora, perché Maria può compiere questo gesto profetico, questa contemplazione coraggiosa della storia, nella quale fa emergere i segni del Regno e i segni della speranza, per illuminare, a partire da essi, anche tutte le sofferenze dell’umanità destinate ad essere trasformate e capovolte dall’avanzare del Regno.

 

Esperienza personale Maria può farlo perché ha esperimentato la salvezza. Ha esperimentato Jahvè come salvatore della sua vita e in un attimo, vorticosamente, l’ha trasformata facendola esistere in un nuovo modo di essere, di amare, di sperare, di rapportarsi a Dio e agli altri.

 

“Dio mio salvatore” Da questo luogo, dall’esperienza di pienezza di salvezza, Maria può guardarsi intorno, può guardare la storia. Maria vede tutta la storia di Israele, le grandi meraviglie compiute da Dio per la salvezza del suo popolo e può cogliere quelli che il Concilio Vaticano Il ha chiamato “i segni dei tempi”. A partire dalla propria vita, scorge i segni della speranza, i segni del Vangelo, le anticipazioni del Regno di Dio.

 

Non si può conoscere il Dio del Vangelo se non si fa esperienza della salvezza. La Vergine l’ha fatta: ha conosciuto il Dio del Vangelo; può proclamare Dio e guardare la storia del mondo, mettendosi dalla parte del mondo.

 

Il nostro magnificat Ecco allora la preghiera che la pagina di Vangelo ci suggerisce: “Come Tu, o Dio, sei il Dio della mia salvezza, come posso io cantare il mio magnificat? A partire da quale esperienza di salvezza ti riveli a me come il Dio grande, il Dio del Vangelo? Il Dio che cambia la  mia vita, dandole una carica di speranza capace di farmi guardare la mia vita e la vita intorno a me con occhi diversi, mettendomi dalla parte del Regno, dalla parte della giustizia, dalla parte degli umili, dalla parte dei poveri? Cantando il cantico di Maria e mettendomi nella situazione di coloro che ancora lo ascoltano? “Gli antichi salmi parevano brillare di luce nuova e fondere i colli e tutti i poveri ti odono ancora” Mettiamoci di fronte alla preghiera di Maria e chiediamoci quale può essere il nostro Magnificat; con quali parole e in riferimento a quali fatti possiamo esprimerlo; quali sono le grandi opere di Dio nella nostra vita che ci fanno lodare il Signore.

 

Ciascuno di noi si faccia coraggio e apra il cuore per ricercare i grandi momenti di Dio nella sua vita personale. Pensiamo a ciò che abbiamo ricevuto di bene e di amore dagli altri, agli incontri che ci hanno riempito di gioia e di fede, a partire dal Battesimo fino all’esperienza di questa sera, al nostro incontro comune col Dio della salvezza, col Dio che ci salva, col Dio che rimanderà i ricchi a mani vuote, e riempirà di beni gli affamati: per primi noi, affamati e poveri, poi tanti altri che lo attendono.

 

Chiediamoci da quali pene o gioie segrete ci libera l’incontro con Dio e l’incontro con l’altro; quali realtà grandiose emergono per ciascuno di noi, se ci mettiamo dalla parte della speranza e dalla parte del Regno. Che cosa Dio ci chiede se noi ci mettiamo dalla parte dei poveri.

 

La preghiera di Simeone

 

Lc 2,#25-35 Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: {j{l”Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.{l{j Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima”.{p45 “Ora lascia che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola. Poiché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli; luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.

 

Questa preghiera comincia con la parola con cui noi abbiamo cominciato la riflessione: “ora, adesso, in questo momento”

 

Ciò che ora viviamo è il punto di partenza di ogni nostra preghiera. La breve parola con cui inizia l’inno di Simeone esprime nella Bibbia il momento che si vive come momento nel quale Dio si manifesta. Ora, adesso, Dio si vuole manifestare nella nostra vita, malgrado tutto, proprio attraverso le oscurità che solcano la nostra esperienza.

 

Simeone parte da un’esperienza del presente, da ciò che vive.

 

Un vecchio e un bimbo Cerchiamo, prima di tutto, di capire l’umanità di questo incontro.

 

$è la scena di un vecchio che abbraccia un bambino, di due generazioni che – in qualche maniera – si passano la fiaccola. Il vecchio abbraccia il bambino, e abbracciando il bambino sa di abbracciare il proprio futuro. $è contento di questa visuale che tra le sue braccia gli rappresenta la continuità della sua vita. Lui ha sperato, ha creduto: ora la sua speranza è qui, piccola come un bambino, ma piena di vitalità e di avvenire.

 

L’episodio ha in sé qualcosa di profondamente umano: l’uomo che gioisce che altri continuino la propria opera; l’uomo che gioisce del fatto che, pure nella propria decadenza, vi sia un risveglio, un rinnovo, qualcosa che vada avanti.{p46 Se il brano ci insegnasse anche soltanto questo, sarebbe già molto valido per la vita. Non è facile infatti che il vecchio che è in noi accolga il bambino, il nuovo. C’è piuttosto il timore che il bambino non potrà continuare, che non vorrà seguire lo stesso ideale, che tradirà e, addirittura, che prenderà il posto mettendo da parte il vecchio.

 

Il vecchio Simeone che abbraccia un bambino è una cosa grande, è una cosa importante perché rappresenta ciascuno di noi di fronte alla novità di Dio.

 

La novità di Dio si presenta come un bambino e noi, con tutte le nostre abitudini, paure, timori, invidie, preoccupazioni, siamo di fronte a questo bambino, alla novità di Dio. Lo abbracceremo, lo accoglieremo, gli faremo spazio? Questa novità entrerà davvero nella nostra vita o cercheremo di mettere insieme vecchio e nuovo cercando di lasciarci disturbare il meno possibile dalla presenza della novità di Dio? $è un primo momento di preghiera: “Signore, fa che ti accolga come il nuovo nella mia vita, che non abbia paura di te, che non ti misuri con i miei schemi, che non ti voglia incasellare nelle mie abitudini mentali; che mi lasci trasformare dalla novità della tua presenza. Fa o Signore che, come Simeone, io ti accolga nella tua novità, in ogni cosa che, intorno a me, è vera, nuova e buona. Che io ti accolga in tutti i bambini di questo mondo, in ogni vita, in ogni fermento di novità che tu metti intorno a noi, nella nostra società, nel mio cuore”.

 

Un messaggio_di salvezza personale Se ripetiamo e lasciamo risuonare dentro di noi le parole di Simeone ci accorgiamo che sono le parole chiave dell’esperienza di salvezza: la pace, la Parola di Dio, la salvezza, la luce, la gloria, Israele e le genti.

 

Luca evangelista3.jpgAbbiamo qui, in tre righe, un compendio della teologia biblica. Sono tanti i brani della Scrittura in cui si ritrova questa ricchezza di parole chiave. Per esempio, al capitolo decimo degli Atti degli Apostoli, quando Pietro nella casa di Cornelio prende la parola e dice: “In verità, sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli di Israele dando la buona novella della pace per mezzo di Gesù Cristo, Signore di tutti” (At 19,#34-36).

 

La Parola di Dio, la pace, la buona notizia della salvezza, l’universalità dei popoli e, nello sfondo, Israele.

 

Possiamo riflettere, in preghiera, su ciascuno di questi elementi.

 

Io mi fermo sull’ultimo: l’opposizione che è complementarietà, tra il popolo d’Israele e tutte le genti.

 

La salvezza di Dio che viene dalla sua parola e che porta la pace, passa attraverso il popolo, di cui è gloria, e diventa luce di tutte le nazioni. Secondo il misterioso disegno di Dio, la sua parola che porta pace e salvezza, passa attraverso alcuni per arrivare a tanti. Passa attraverso il mistero della elezione o della scelta, per cui alcuni vengono chiamati “per altri”, alcuni vengono consacrati perché siano luce “per altri”.

 

$è il mistero che noi viviamo insieme questa sera. Siamo chiamati qui ad approfondire un’esperienza di preghiera non per noi stessi, ma come popolo per tutte le genti. L’esperienza di Dio che ci viene data è un’esperienza che deve illuminare tutti. Partendo da ciò che ora viviamo e dal superamento delle difficoltà che la parola di Dio ci permette, noi siamo a servizio di tanti, di tutti quelli che incontreremo domani e nei giorni che verranno.

 

“Gloria del tuo popolo Israele, luce per illuminare le genti” E questo deriva dalla parola di Dio e dalla salvezza che è in Gesù e che ci viene comunicata perché sia patrimonio di tutti.

 

Gli occhi che sanno leggere La struttura della preghiera di Simeone è molto semplice. C’è un imperativo: “lascia che il tuo servo vada in pace”; e poi una serie di ragioni: “perché i miei occhi han visto la salvezza, preparata davanti a tutti i popoli, e per le genti, e gloria di Israele”.

 

Essa suppone una grande tensione interiore, una sofferenza vissuta per tutta una vita. Suppone che quest’uomo di fede abbia portato avanti la sua esistenza camminando da giusto e timorato di Dio, secondo la Legge, ma senza mai vedere l’oggetto della sua speranza.

 

Ora può pregare così perché per molti anni ha desiderato la gloria del suo popolo. L’ha visto umiliato, afflitto, oppresso ed ha sperato. Ha atteso di vedere la luce che illumina tutte le nazioni promessa da Isaia mentre le nazioni calpestavano Israele. Ha visto la crudeltà, l’orrore delle nazioni e si è macerato nel dolore e nel desiderio.

 

Ora, però, vede! Ecco la grande esperienza da cui nasce il suo cantico.

 

Ora vede un bambino e parla di salvezza. Fa un’esperienza che agli occhi di altri non significa nulla, ma che in lui, illuminato dalla fede e dallo Spirito Santo significa “vedere la salvezza”.

 

Simeone ha avuto quella grazia che nella Scrittura si chiama “l’apertura degli occhi” o “l’apertura del cuore” Ha saputo cogliere, negli eventi semplici del Bambino Gesù portato da Maria e da Giuseppe al tempio, la presenza della salvezza di Dio che si stava manifestando. E le sue attese si sono sciolte nella pace. La gloria di Israele non è presente in quel momento, la luce delle genti non è ancora manifestata alle nazioni, ma in quel segno misterioso Simeone vede la salvezza.{p49 Così erompe la sua preghiera di lode e di ringraziamento: “Signore, basta! $è tutto ciò che ho desiderato, il mio cuore è pieno; tutti i miei desideri sono saziati!”. L’attesa si scioglie nella contemplazione della salvezza.

 

Novità di vita Dopo aver visto come ha pregato Simeone e perché dal suo cuore è nata quella preghiera, chiediamoci come si modella la nostra preghiera sull’esempio della sua. Domandiamoci se dentro di noi c’è l’attesa della salvezza, il desiderio di vedere la gloria del suo popolo e la luce delle genti. “Signore, il mio desiderio di te, della tua gloria, della luce delle genti, della giustizia, della verità e della pace è davvero così grande da tormentarmi come tormentò Simeone?”.

 

Se lasciamo spazio al silenzio, credo che certamente questo grido del cuore pieno di desiderio eromperà da noi: “Signore, vieni! Signore, illumina! Signore, sii gloria del tuo popolo! Signore, fa che vediamo il tuo Volto; fa che contempliamo in mezzo a noi la tua giustizia e la tua verità”

 

E dal desiderio scaturisce la grazia dell’apertura degli occhi.

 

“Apri i miei occhi, o Signore, perché io sappia vedere i segni della tua salvezza in mezzo a noi, perché nella mia vita, nella mia esperienza di Chiesa, nella preghiera, nel Sacramento, nell’esperienza dei fratelli, nell’esperienza dello Spirito Santo che ci riempie il cuore, nella forza della parola viva che ci viene trasmessa, io sappia vedere, o Signore il segno della tua salvezza: questo Bambino da abbracciare con tutto il cuore, questa novità della mia vita”

 

“Signore, fa che io non chiuda gli occhi dicendo: Questo Bambino non c’è, questa salvezza non c’è, questa novità non esiste. Aprimi gli occhi perché io possa vedere e comprendere come la tua salvezza è in mezzo a noi e basta aprire le braccia per poterla stringere al nostro cuore”.

 

Domandiamoci ancora, cosa significa per noi aprire gli occhi. Cosa significa per me superare le abitudini, i giudizi diffidenti e banali sulle cose, sulle situazioni, sulle persone e scoprire invece la novità di Dio. Scoprire la sua verità, la sua gioia, la potenza dell’amore di Dio, scoprirlo al di là delle apparenze e delle sofferenze, al di là di tutto ciò che ci può annebbiare gli occhi e la vista.

 

Così nascerà anche in noi la preghiera della contemplazione e della gratitudine e la nostra vita sarà salvezza e luce per tanti che l’attendono.

 

 

CARLO MARIA MARTINI. PREGHIERA CON L’EVANGELISTA LUCA. TERZA PARTE.ultima modifica: 2013-06-08T22:10:00+02:00da meneziade
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