CARLO MARIA MARTINI. PREGHIERA CON L’EVANGELISTA LUCA. QUARTA PARTE.

 

Luca.jpgLc 10,#1-24 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: “La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l’operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi. Io vi dico che in quel giorno Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città.

Guai a te, Corazin, guai a te, Betsaida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi.

E tu, Cafarnao, sarai innalzata fino al cielo? fino agli inferi sarai precipitata! Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato”.

I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: “Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome. Egli disse: “Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli”.

In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio, lo voglia rivelare”.

E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che udite, ma non l’udirono”.

“In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo” (Lc 10,#21) Dicendo “in quello stesso istante” l’evangelista collega l’esultanza di Gesù con il contesto immediato del brano, diversamente da Matteo che riporta le stesse parole al di fuori di un contesto preciso (Mt 11,#25)

Luca inizia il capitolo con un’azione missionaria, subito dopo racconta un gesto di carità (la parabola del samaritano), e termina con la preghiera contemplativa (Marta e Maria) Al centro di questi elementi: missione, carità e prossimo, preghiera contemplativa di Maria, Luca mette in risalto la preghiera di Gesù.

Esultanza e gioia Questa preghiera, dice il testo, è una esultanza: Gesù esultò. L’espressione l’abbiamo già trovata in altre preghiere sulle quali abbiamo meditato: nel Magnificat, Maria dice: “il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore” (Lc 1,#47),  riprendendo il cantico di Anna: “il mio cuore esulta nel Signore” (1 Sam 2,#1).

La stessa parola ricorre in un altro cantico della liturgia assai noto, un inno di ringraziamento della città graziata e liberata: “l’anima mia esulta nel mio Dio” (Is 61) Ci sono persone e situazioni che già prima di Gesù esprimono ciò che sentono come esultanza: il cantico di Anna, il cantico di ringraziamento di Gerusalemme, il cantico di Maria.

L’esultanza sottolinea lo stato d’animo di colui che di fronte a un avvenimento improvviso, gioioso, inatteso, si sente tratto fuori di sé e avverte nel suo intimo un profondo senso di gioia. $è una commozione interiore per qualcosa di inaspettato e di bello che ci viene dall’esterno e ci sorprende: una persona lontana che non si aspetta e che improvvisamente ritorna, provoca l’esultanza e la gioia di rivederla. Attendiamo una cattiva notizia, siamo pieni di pessimismo e ci viene detto che tutto è andato bene: si prova un momento di esultanza.

Cerchiamo di capire la differenza tra l’esultanza di Maria, di Anna, di Gerusalemme e l’esultanza di Gesù.

Maria “esulta perché Dio ha guardato l’umiltà della sua serva”: si tratta di qualche cosa che la tocca direttamente cambiando la sua vita.

Anna esulta perché la sterile ha partorito: anche per lei la vita è stata mutata inaspettatamente e gioiosamente.

La città di Gerusalemme esulta perché “Dio mi ha rivestito delle vesti di salvezza”: la sua situazione è cambiata. Chi prega ed esulta così, ha sperimentato la potenza di Dio nella sua povertà, ha sentito il passaggio da una situazione di abbattimento, di pessimismo e di vicolo cieco ad una situazione di apertura, di cuore libero e di orizzonte luminoso.

Gioia creativa Il brano evangelico riporta una parola che non appare nei testi paralleli citati: “Gesù esultò nello Spirito Santo” Con questa aggiunta l’evangelista fa innanzitutto una sottolineatura trinitaria che ci permette di contemplare l’insieme della potenza di Dio rivelata per la salvezza dell’uomo. C’è il Padre, Signore del cielo e della terra, il Figlio a cui ogni cosa è data e lo Spirito nel quale Gesù esulta.

Si può dire qualcosa di più per capire cosa vuol dire che Gesù esultò nello Spirito Santo: cioè che Gesù esulta a partire dall’intimo, in ciò che vi è di più profondo nel suo legame unico di amore col Padre. La gioia per la quale esulta è gioia che sorge dal di dentro, dalla pienezza di Spirito Santo che gli è propria; non è legata ad un avvenimento, ad un fatto, ad una realtà.

luca_evangelista4.jpgL’esultanza nello Spirito Santo è una esperienza di gioia che Gesù fa, e che noi stessi possiamo fare. Nasce dall’interno, è costituita dalla presenza dello Spirito in noi: una gioia sorgiva che non attinge la sua motivazione da un fatto contingente, anche se poi può rivolgersi a molti di questi fatti leggendoli nella luce di Dio.

$è innanzitutto la gioia di essere ciò che siamo perché lo Spirito in noi ci manifesta l’amore del Padre, perché la carità di Dio è diffusa nei nostri cuori.

La gioia nello Spirito Santo non è soggetta ad inquinamento, non ha suoni falsi, non è reattiva. $è creativa: nasce da ciò che sono per dono di Dio. $è comunicativa: nascendo dall’interno la posso comunicare ad altri in maniera originale e diventare fonte di esultanza per altri. $è capace di porre nella mia vita e nella vita di coloro che mi circondano questa qualità nuova non indotta dalle circostanze, non turbata dalle variazioni di umore, non soggetta ai deperimenti della fatica o della noia perché è una sorgente che lo Spirito ha messo dentro. Lo Spirito Santo che è in noi è l’origine di quella gioia di cui Gesù parla e che nessuno ci può togliere, di quella pace che il mondo non può dare. $è la spiegazione di quella misteriosa parola di Gesù: “è più bello dare che ricevere” (At 20,#35, discorso di Paolo a Mileto): è più bello dare gioia che ricevere gioia perché in quel momento viviamo la creatività profonda che viene dal dono dello Spirito in noi.

L’esultanza di Gesù “Ti rendo lode Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli” L’occasione di questa gioia – che nasce dall’intima partecipazione che Gesù ha con la vita del Padre nello Spirito e che si esprime su eventi contingenti nei quali è messa in luce l’opera di Dio – è il successo della missione dei settantadue discepoli.

I discepoli, partiti pieni di paura e di pessimismo – un po come gli Ebrei prima di entrare nella terra promessa – si accorgono che le cose sono andate bene: sono quindi pieni di gioia reattiva, indotta, dipendente da circostanze particolari, in questo caso, il successo. “Tornarono pieni di gioia dicendo: Signore anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”, cioè, niente ci resiste, abbiamo visto che con la potenza della tua Parola i mali dell’uomo vengono sconfitti, siamo molto contenti perché le realtà sperimentate ci hanno portato al successo.

Di fronte a questa notizia Gesù reagisce con una preghiera di lode e di ringraziamento del tutto inaspettata: “Ti ringrazio Padre perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli” Gesù non qualifica ciò che è avvenuto descrivendolo nel suo effetto positivo generale: lo presenta attraverso una opposizione polemica, tra i sapienti e i piccoli, tra il nascondere la rivelazione e l’aprire la rivelazione.

Il dono del Regno Riflettiamo bene su queste poche parole perché sono un compendio del Vangelo e del mistero del Dio del Vangelo che in Gesù si manifesta. Troviamo due opposizioni: nascondere-rivelare, sapienti e piccoli. Nascondere ai dotti, rivelare ai piccoli.

Gesù già prima aveva detto: “A voi è dato conoscere il mistero – o meglio – i misteri del Regno di Dio” (Lc 8,#10) L’espressione generica: “queste cose”, va intesa allora come “i misteri del Regno di Dio” Non soltanto il Regno, ma i suoi misteri; non soltanto il Regno come manifestazione dell’amore di Dio, ma il Regno come manifestazione che avviene in maniera umanamente paradossale e misteriosa.

La manifestazione paradossale e misteriosa è indicata dalle opposizioni: rivelato-nascosto, sapienti-piccoli. Il Regno è rivelato, è dono e non frutto di ricerca. Il Regno può anche supporre una ricerca, può suscitare un’analisi, ma non è mai frutto di una ricerca o premio di una analisi. $è dono che Dio manifesta e che dobbiamo chiedere umilmente: “Signore dà a me questo dono”, “Signore manifesta il tuo Regno, si manifesti la tua misericordia su di me, su di noi”. Proprio perché il Regno è rivelato, può essere nascosto per coloro che vivono con gli occhi chiusi e col cuore chiuso. Se non lo si riceve come dono o se lo si rifiuta, rimane nascosto e tutto il significato salvifico dell’esistenza, il perché della vita diventa oscuro e la stessa vita piena di amarezza. Per questo la domanda che troviamo nei Vangeli, quella del cieco prima dell’ingresso a Gerusalemme esprime l’invocazione: “Signore che io veda, Signore che io sia illuminato, che non sia nascosto da me il tuo mistero”.

L’opposizione Regno rivelato-nascosto sottolinea la modalità gratuita di dono con cui si manifesta a noi. C’è qualcosa di più: l’opposizione tra sapienti e piccoli, ci dice che il mistero del Regno si svela a chi sente di avere bisogno di altri e non a chi crede nella propria autosufficienza. Chi sente di aver bisogno di altri è pronto ad accogliere il dono; chi crede alla autosufficienza si nasconde dietro a ciò che crede di sapere e non riceve il mistero. Ritornano qui le opposizioni della preghiera di Maria: “hai mandato i ricchi a mani vuote, hai disperso i superbi, hai riempito di beni gli affamati”.

L’esultanza di Gesù non è data dal successo immediato della missione dei settantadue discepoli: nasce dal contemplare del successo il modo meraviglioso di manifestarsi dell’opera di Dio.

Accogliere il dono Possiamo ancora domandarci perché insiste nell’esprimere in modo polemico la manifestazione di Dio che nasconde ai sapienti e rivela ai piccoli. Credo che troveremo la risposta nella preghiera. Il Signore ci farà comprendere che in quelle parole ci viene detto qualcosa di ciò che è il Dio del Vangelo. Facciamo sempre fatica a capire il Dio del Vangelo perché ci portiamo dentro il concetto di Dio dei filosofi o della ragione. Dobbiamo invece lasciare lo spazio al Dio di Gesù Cristo che si rivela nella storia e che si manifesta nella nostra vita.

Il mistero del Dio di Gesù Cristo è un mistero di comunicazione, è un mistero di partecipazione di sé all’uomo, è un mistero di amore che suppone la capacità di saper ricevere. Il Figlio di Dio è colui che per primo sa ricevere: “ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio”. Gesù stesso ha ricevuto ogni cosa dal Padre: e il mistero dell’uomo consiste nell’essere disponibile, piccolo e cosciente del suo bisogno così da saper ricevere il dono di Dio. L’esultanza di Gesù nello Spirito Santo parte da una gioia che è dentro, che diventa creativa e che giustifica le parole di Gesù: “è più bello dare che ricevere”. Nel mistero cristiano tutto comincia dal saper ricevere: i due aspetti si uniscono nell’esperienza di fede. $è bello dare perché per primi abbiamo ricevuto da Dio, con abbondanza, il dono del suo Figlio e dello Spirito; è bello perdonare perché per primi siamo stati perdonati dal Padre nella morte e nella resurrezione di Gesù; è bello aprirsi agli altri perché per primo Dio si è aperto, si è comunicato a noi in Cristo.

L’evento di salvezza è il principio di ogni atteggiamento morale, umano, comunicativo, amichevole. Tutto questo Gesù lo esprime sinteticamente nella semplicissima preghiera: “Ti rendo lode Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”.

Preghiera di lode Gesù prega esultando e lodando, lasciando che la gioia sorgiva, creativa che è in lui si manifesti. Anche noi siamo invitati a fare spazio alla gioia creativa e sorgiva che è dentro di noi, perché emerga attraverso i blocchi del cattivo umore o della fatica o della noia o dell’insofferenza e perché la verità di noi stessi, che è lode ed esultanza, zampilli a vantaggio di altri.

 

S.LUCA EVANG..jpgGesù prega esultando e lodando e poi, guardandosi intorno, esulta e loda per gli altri. Questa è una novità rispetto alla preghiera di Maria o di Anna che lodano per se stesse.

Domandiamoci se sappiamo lodare per altri, se sappiamo esultare per altri, se preghiamo contemplando l’opera di Dio che si compie in altri. Ci sono persone per le quali ci è facile lodare perché rappresentano momenti grandiosi dell’opera di Dio. Ci è facile lodare contemplando e pensando ai Santi del passato oppure {p60 a Madre Teresa di Calcutta e alla sua azione, o a qualche missionario di cui abbiamo ricevuto la testimonianza.

Siamo però invitati ad estendere inventivamente la lode: esultare in Dio per i preti, per le religiose che ci hanno dato esempio di fede, di carità, di servizio. Lodare Dio per i genitori, per chi ci è maestro nella vita, per le amicizie di gruppo che ci sono concesse, per tutti quei poveri e quei semplici che più di noi conoscono e amano il Signore. Lodare Dio per le persone che lo servono con umiltà in silenzio, per quelli che lo servono in maniera pubblica solenne; lodare per il Papa e per tutto ciò che il Signore compie per lui, per l’opera apostolica che egli diffonde nel mondo.

Imparare a lodare il Signore per tanti di cui forse non abbiamo mai considerato attentamente i lati buoni e li abbiamo solo criticati. Apriamo il nostro cuore alla lode per essi e soprattutto per coloro che lavorano nella Chiesa come noi, meglio di noi anche se in maniera diversa dalla nostra, anche se talora ci siamo con loro scontrati sui mezzi e sui modi per servire la Chiesa.

Per imparare a pregare così, con le labbra e col cuore, bisogna che Dio ci liberi da ogni amarezza, delusione, risentimento, da ogni volontà di giudicare gli altri e ci apra gli occhi per vedere in mezzo a noi l’opera di salvezza.

Preghiera e perdono Un’ultima riflessione può aiutarci a prolungare nel silenzio la meditazione su un altro passo della pagina di Luca. Sono menzionate le città di Sodoma, Tiro, Sidone, Corazin, Betsaida, Cafarnao e ogni città è l’emblema di una civiltà, di un modo di vivere, di una mentalità. $è strano che le città più stigmatizzate da Gesù sono le piccole cittadine di Corazin, Betsaida, Cafarnao e non le più grandi e le più famose. Gesù usa {p61 un metro fondamentale di giudizio: il grado di autosufficienza e di chiusura alla verità. Tiro e Sidone erano certamente illustri, piene di problemi e anche di disonestà, ma di fronte alle città più piccole avevano coscienza della loro povertà e si sentivano bisognose di aiuto. La misura che Gesù propone non è un giudizio rigorosamente morale; è un giudizio evangelico valido per le civiltà, per le culture, per le persone, per i gruppi e per i singoli. Non ci è domandato il numero dei peccati commessi. Ci è chiesto innanzitutto se abbiamo bisogno di qualcuno, se siamo aperti al dono di Dio, se siamo pronti ad aprire il cuore alla parola di amore e di perdono che il Regno ci propone.

Preghiamo insieme perché ciascuno di noi abbia questa apertura mentale e la porti intorno a sé per farla diventare mentalità, costume di vita, capacità di aprire cuore e orecchie al messaggio, alla Parola di Gesù. Allora saremo capaci di esultare perché la parola evangelica è stata accolta da tanti.

La preghiera di Gesù_nel Getsemani

Lc 22,#39-46 Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: “Pregate, per non entrare in tentazione”. Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e inginocchiatosi, pregava: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione”.

 

San-Luca4.jpgIn questa pagina del Vangelo di Luca ricorre molte volte il verbo “pregare”: “pregate per non entrare in tentazione”, “Gesù inginocchiatosi pregava”, “in preda all’angoscia pregava più intensamente”, “si rialza dalla preghiera” Poi Gesù conclude ripetendo ai discepoli: “Alzatevi e pregate per non entrare in tentazione”

Il brano è inquadrato tra due esortazioni di Gesù quasi identiche e al centro c’è la sua preghiera personale. Questa preghiera è presentata nel suo inizio: “Gesù inginocchiatosi pregava”; nel momento culminante: “in preda all’angoscia pregava più intensamente”; nel suo termine: “rialzatosi dalla preghiera”.

L’altro tema dominante è il tema della tentazione ripetuto due volte: “pregate per non entrare in tentazione” Domandiamoci in che cosa consiste questa tentazione e quale rapporto c’è tra la tentazione e la preghiera.

Tentazione e preghiera Per tentazione non si intende, almeno immediatamente, la spinta a fare il male. $è qualcosa di molto più sottile ed è più drammatica e pericolosa: è la tentazione di fuggire dalle proprie responsabilità, la paura di decidersi, la paura di guardare in faccia una realtà che esige una decisione personale; è la paura ad affrontare i problemi della vita, della comunità, della nostra società.

$è la tentazione della fuga dal reale, di chiudere gli occhi, di nascondersi, di far finta di non vedere e non sentire per non essere coinvolti: è la tentazione della pigrizia, della paura di buttarsi, la tentazione che vuole impedirci di rispondere a ciò a cui Dio, la chiesa, il mondo ci chiama a compiere.

E allora l’esortazione a pregare per non entrare in tentazione significa: pregate per non entrare in quell’atmosfera di compromesso e di comodità, di viltà, di fuga e di disinteresse nel quale si matura la scelta di non scegliere, la decisione di non decidere, la fuga dalle responsabilità.

Questa situazione è esempificata nel brano evangelico da ciò che fanno gli apostoli: dormono per la tristezza, dormono per non vedere.

Ci sono altri episodi biblici che sottolineano la fuga dalla realtà. Il sacerdote e il levita che passando presso l’uomo ferito sulla strada da Gerusalemme a Gerico, chiudono gli occhi e vanno oltre, sfuggono alla domanda di responsabilità.

Il grande profeta Elia, coraggioso, temerario e impavido, è stato travolto anche lui da questa tentazione del disimpegno. Nel primo libro dei Re infatti, si racconta {p66 che “impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi” (19,#3 ss.). Eppure Elia aveva saputo affrontare da solo, sulla montagna del Carmelo, i 450 profeti di Baal: sembrava che non avesse paura di nessuno, ma ad un tratto è afferrato da questa tentazione e fugge dalla realtà.

$è la tentazione del profeta Giona che fugge perché non vuole affrontare il suo compito di profeta. $è la tentazione che prende ciascuno di noi quando chiudiamo occhi e orecchie per non vedere e non sentire i bisogni di chi ci sta intorno. Disimpegnarci, defilarci lontano da ciò che invece ci chiamerebbe a buttarci con coraggio.

L’esortazione di Gesù a pregare per non entrare in tentazione ci fa allora capire che la preghiera non è fuga, non è declinare le responsabilità, non è rifugiarsi nel privato: la preghiera è guardare in faccia la tentazione, la paura, la responsabilità. La preghiera è fare come il samaritano che di fronte all’uomo ferito si ferma e si piega su di lui. La preghiera è audacia che affronta la decisione importante.

Questo è il rapporto che il testo ci presenta tra preghiera e tentazione.

Corpo e preghiera “Gesù, inginocchiatosi, pregava” L’inginocchiarsi di Gesù non è usuale: nel tempio ordinariamente si pregava in piedi. Pregare in ginocchio significa un momento particolare di intensità e ritorna qualche altra volta nella Bibbia. Raccontando la morte di Stefano, l’Autore degli Atti degli Apostoli dice: “piegò le ginocchia e gridò forte: Signore non imputar loro questo peccato” (At 7,#60). Nell’istante drammatico e decisivo della sua morte, Stefano si inginocchia per pregare.

La descrizione di Gesù inginocchiato ci dice però un’altra cosa importante: che c’è una relazione tra il corpo e la preghiera, tra il gesto e la preghiera che va vissuta e ritrovata. Alcune forme sobrie del rapporto tra corpo e preghiera sono quelle che esprimiamo nella liturgia alzandoci in piedi, inginocchiandoci, sedendoci e alzando le braccia per la preghiera del Padre Nostro.

Ma è importante che ciascuno di noi, nella propria preghiera privata, ritrovi ed esprima in maniera più personale il rapporto tra preghiera e gesto, preghiera e corpo.

Gesù vive questo rapporto: “inginocchiatosi pregava” e dice: “Padre se vuoi allontana da me questo calice, tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”

Padre, se vuoi…

La sua preghiera contempla due cose fondamentali: l’esclamazione: “Padre”, che è l’atteggiamento di totale fiducia in colui che lo ama come Figlio e l’espressione di desideri profondi e violenti: “allontana da me questo calice se vuoi”, “non la mia ma la tua volontà” Gesù lascia emergere in sé due desideri oggettivamente contrastanti, due realtà conflittuali di cui non ha paura perché nella sua preghiera si unificano nella domanda: “si compia la tua volontà”

Pregare nel momento della prova vuol dire lasciar emergere l’angoscia, la paura, il timore di ciò che ci sta di fronte e che è opposto al desiderio che abbiamo di essere disponibili, di deciderci, di affrontare la realtà. Nella preghiera, questa divisione, che è in noi, si unifica e ci dispone alla lotta e alla decisione coraggiosa. Ciò che è in noi tumultuosamente conflittuale e perciò ci impedisce di agire, di muoverci, ci paralizza nella paura, ci porta a dilazionare nel tempo le decisioni, ad accampare scuse senza limiti, tutto questo conflitto interiore, se messo a fuoco nella preghiera, ci unifica e ci permette di riprendere in mano la nostra capacità di deciderci e di dire: “sia fatta la tua volontà”, “si compia in me ciò a cui sono chiamato”. Il testo ci dice inoltre che la preghiera di abbandono e di unificazione di Gesù è espressa in uno stato di angoscia e di agonia. Viene alla mente la parola di Pascal: “Gesù è in agonia fino alla fine del mondo, nella sua chiesa, negli uomini”. Possiamo quindi unirci all’agonia, all’angoscia e allo sconforto di tutti gli uomini che nel mondo, vicino o lontano da noi, soffrono e sono sottoposti alla prova. Gesù nella sua prova vince la prova per noi fino alla fine del mondo; nella sua angoscia è vinta la nostra. La paura di deciderci, di buttarci, di perdere la vita per i fratelli è vinta dalla sua preghiera nell’agonia.

Gesù ha voluto manifestare la sua angoscia per esserci vicino fino in fondo. Non ha temuto che apparisse la sua debolezza e fragilità per insegnarci a non avere paura della nostra; a non avere paura neanche che essa si manifesti e sia conosciuta, perché in questa nostra fragilità opera la potenza di Dio.

Preghiera e vita Pensando a Gesù che prega in ginocchio, pieno di abbandono al Padre, che lascia emergere i desideri più profondi, che entra nell’angoscia e la vince, chiediamoci come noi preghiamo di fronte alle scelte decisive della vita. Sono tre le domande che possiamo farci rileggendo il testo: la mia preghiera è fuga o è contemplare coraggiosamente ciò che Dio mi chiede? Quando prego unifico i miei desideri e i conflitti interiori nella domanda della volontà di Dio che mi rende forte di fronte alla prova? Sento la forza di Cristo che prega in me, la sua vittoria sull’angoscia e la paura, sento che è la mia forza e la mia vittoria? Per rispondere alle domande chiediamo al Signore di insegnarci a pregare così: “Fà che nella nostra preghiera {p69 vinciamo ogni paura che ci impedisce di deciderci per te, per i fratelli, per ciò che ci costa, per ciò che ci spaventa; fà che la nostra preghiera sia una vittoria della nostra fede: in essa trionfi la tua potenza che ha vinto la paura della morte”.

CARLO MARIA MARTINI. PREGHIERA CON L’EVANGELISTA LUCA. QUARTA PARTE.ultima modifica: 2013-06-11T22:23:00+02:00da meneziade
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