L’IMITAZIONE DI CRISTO 3

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CRISTO NOSTRO MODELLO

I quattro “libretti” de “L’imitazione di Cristo” apparentemente sono assai diversi tra loro, ma il loro messaggio è identico. Ci presentano Gesù, Uomo-Dio, modello e guida della nostra vita spirituale; per mezzo di Lui, con Lui ed in Lui possiamo ritornare alla perfe­zione originale e raggiungere il Padre. Come trattato di ascetica e mistica, non è certo completo. Rispecchia l’ambiente monastico del tardo Medio Evo in Europa. Sostanzialmente possiamo dire che i primi due libri trattano della via purgativa; il terzo, della via illuminativa; il quarto, della via uniti­va, senza la pretesa di una divisione netta. Il fatto che il quarto libro tratti della SS.ma Eucaristia potrebbe far supporre che la data di compo­sizione sia da collocare in quel periodo di tempo, quan­do nella Chiesa si fece più viva l’attenzione verso que­sto mistero, cioè verso la metà del XIII secolo; infatti, l’istituzione della festa del Corpus Domini risale al 1264. La divisione delle tre vie trova un fondamento nelle parole stesse di Gesù, il quale ha detto: “Se qualcuno vuole venire dietro a Me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). “Rinnegare se stesso” può significare la via purgativa; “Prendere la propria croce”‘ la via illuminativa; “Seguire Cristo”, la via unitiva. Anche San Paolo, pur non proponendosi alcuna descrizione di stati o vie particolari, in varie occasioni parla di gradi di perfezione, come quando paragona la vita spirituale alle gare sportive nello stadio (cf 1 Cor 9,24-27); o afferma di seguire il Maestro e si sforza di raggiungerLo (cf Fil 3,13) e di essere imitatore di Cristo, invitando i suoi interlocutori ad imitarLo (cf 3,15.17; iCor 4,16). Nella vita spirituale dobbiamo tutti, sempre, consi­derarci principianti. Non dobbiamo mai attribuire a noi il merito del progresso fatto, ma alla grazia di Dio; anche perché nessuno è simile ad un altro. Come ognu­no possiede la sua fisionomia, il suo temperamento, il suo carattere, il suo timbro di voce, così nella vita spi­rituale ognuno ha un suo rapporto con Dio e si realiz­za a suo modo, secondo un’infinità di fattori che dipen­dono dalla natura, dalla famiglia, dall’educazione, dall’ambiente e dalla grazia di Dio. Come in una corsa a cronometro tutto dipende da quando il corridore è partito, così nella corsa spiritua­le tutto è legato a questi fattori che ne determinano il momento della partenza. Solo Dio conosce a che punto siamo, e nelle tre vie non c ‘è nulla di assoluto.

L’AUTORE DEL LIBRO

L’imitazione di Cristo è stata attribuita a vari auto­ri perché si sono trovati codici con la loro firma; in particolare a Tommaso da Kempis (1397-1471), agosti­niano tedesco; a Jean Le Charlier detto Gerson (1364-1429), filosofo e teologo francese, e a Giovanni Gersen (inizi X1110 sec.), abate del monastero di S. Stefano, a Vercelli; ma ogni attribuzione è tutt’altro che certa. La differenza di stile e di argomento suggerirebbe autori diversi. Noi siamo dell’opinione che si tratti di appunti di conferenze, che Maestri diversi hanno tenuto ai loro Novizi (aspiranti monaci prima della professione) in qualche monastero, raccolti poi in un unico volumetto. Questo avveniva prima dell’invenzione della stampa; e gli appunti trascritti e “personalizzati” con la loro firma da vari amanuensi, hanno dato origine a diverse attribuzioni perciò pensiamo che non si tratti di un unico autore. Chi è passato per un Noviziato sa che anche ai nostri giorni avviene qualcosa di simile.

P Luigi Crotti, comboniano

 

LIBRO 1°

ESORTAZIONI UTILI PER LA VITA DELLO SPIRITO

Introduzione Chi, per un’intima chiamata alla perfezione, o per riparare a una vita dissoluta, o nella speranza di trovare la pace, bus­sava alla porta di un monastero, veniva affidato a un Maestro che gli proponeva i primi insegnamenti della vita spirituale, prima che il discepolo facesse la sua “professio­ne” e diventasse membro della comunità. Si trattava e si tratta tuttora del cosiddetto “noviziato”, che normalmente dura da dodici a ventiquattro mesi. L’ideale che gli veniva proposto fin dall ‘inizio era Cristo stesso, Luce del mondo, il quale ha detto di Sé nel Vangelo:

“Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre” (Gv 8,12).

Spesso l’uomo vive di vanità, apparenze, illusioni, che sfo­ciano inesorabilmente nell’assurdo, nel buio più completo, nella delusione, nella disperazione. Per scoprire la verità, lo scopo vero della propria esistenza, é necessario un capovolgimento completo delle proprie vedute, convinzioni e abitu­dini. Ma questo è difficile, perché l’uomo ha la tendenza a dissiparsi, a vivere fuori di sé: è come alla finestra di se stesso. Finestre sono i suoi cinque sensi che captano sempre nuove sensazioni, e quanto viene captato viene elaborato dalla fantasia. Se questo avveniva nel passato, quando L’imitazione di Cristo veniva composta, avviene assai più ora, che queste vanità, apparenze e illusioni sono aumentate in modo spro­positato, specialmente con i moderni mezzi di comunicazio­ne sociale. L’uomo vive sempre più fuori di sé e trascura l’Ospite che porta dentro: Gesù Cristo. Abbiamo detto che il Cristianesimo è una Vita; è proprio questa sua presenza in noi la nostra vera Vita. Se si vuole che questa presenza cresca e si realizzi, è necessario chiu­dere le finestre dei sensi, spegnere la fantasia e intrattener­si con Lui. Ecco allora che nel primo libro de L’imitazione di Cristo Egli ci viene proposto come nostra Luce, e alla sua luce dob­biamo rivedere tutte le altre realtà: la vanità di tutto ciò che non è eterno. Nel silenzio, nella rifiessione, nella meditazione, dobbiamo scoprire come tutto è vanità. Dobbiamo imparare a control­lare le nostre passioni, estirpare i vizi, imparare l’umiltà e l’obbedienza, vincere le tentazioni, evitare i giudizi sugli altri. Verso la metà del primo libro inizia una parte più positiva: agire sempre per amore, sopportare i difetti altrui imitare gli esempi di chi ci ha preceduti nella vita religiosa, soprattutto i Padri del deserto. Per attuare questo cammino di perfezione è necessario l’a­more al silenzio e alla solitudine, vivere nel santo timor di Dio, che non significa paura, ma consapevolezza del suo amore per noi e preoccupazione di corrispondere fedelmen­te al suo disegno. È necessario essere consapevoli della nostra debolezza, miseria e povertà spirituale; della precarietà della nostra esistenza, della morte, del Purgatorio, dell’Inferno e, se non corrisponderemo alle grazie che Dio ci elargisce, delle pene a cui andremo incontro. Questo è il contenuto del primo libro.

Capitolo primo

L’IMITAZIONE DI CRISTO E IL DISPREZZO DI TUTTE LE VANITÀ DEL MONDO.

1Chi segue me – dice il Signore – non cammina nelle tenebre” (Gv 8,12). 2Queste sono parole di Cristo, con le quali siamo esortati ad imitare, fin dov’è possibile, la sua vita e le sue virtù, se vogliamo essere illuminati secondo verità e liberati da ogni accecamento del cuore. 3Perciò, il nostro più alto impegno sia meditare la vita di Gesù Cristo. 4La dottrina di Cristo trascende tutti gl’insegnamenti dei Santi; e chi avesse lo spirito suo vi troverebbe una manna celeste nascosta. 5Ma succede che molti, pur udendo spesso il Vangelo, ne sentono poco desiderio, perché non hanno lo spirito di Cristo. 6Chi, invece, vuole intendere appieno e con gusto spiri­tuale la parola di Cristo, deve cercare di modellare tutta quanta la sua vita su di Lui. 7Che ti può giovare il discutere profondamente del mistero della Trinità, se manchi d’umiltà, per cui dispiaci alla Trinità? 81n realtà, non sono i discorsi profondi che formano il santo e il giusto; ma è la vita virtuosa che rende l’uomo caro a Dio. 91o preferisco sentire la compunzione, che conoscerne la definizione. 10Se tu conoscessi a memoria l’intera Bibbia e le massi­me di tutti i filosofi, a che ti gioverebbe tutto questo senza la carità e la grazia di Dio? 11“O vanità delle vanità! Tutto è vanità!” (Qo 1,2), fuorché amare Dio e servire Lui solo! 12Questa è la più sublime sapienza: tendere al Regno del Cielo, con il disprezzo del mondo. 13Quindi, è vanità ricercare le ricchezze destinate ad andare perdute, e porre in esse le proprie speranze. 14Vanità è anche ambire ad onori e voler salire a posi­zioni di prestigio. 15È vanità assecondare gli appetiti della carne e deside­rare ciò per cui dovremo, poi, essere puniti duramente. 16Vanità è desiderare una vita lunga e curarsi poco d’una vita buona. 17Vanità è preoccuparsi solo della vita presente e non gnardare fin d’ora alle realtà future. 18Vanità è amare ciò che passa rapidissimamente e non affrettarsi là, dove ci attende il gaudio eterno. 19Ricordati spesso di quel proverbio: “L’occhio non si sazia di vedere nè l’orecchio si riempe di ciò che ascol­ta!”(Qo 1,8). 20Cerca, dunque, di distogliere il tuo cuore dall’amore delle cose visibili e di sollevarti a quelle invisibili. 21Infatti, quelli che seguono l’attrattiva dei sensi mac­chiano la propria coscienza e perdono la grazia di Dio.

Note al capitolo 1° 1“Chi segue me non cammina nelle tenebre” (Gv 8,12). Tutta la Bibbia parla di “luce” e di “tenebre”. Il primo atto del Creatore fu la creazione della luce (cf. Gn 1,3); la nuova creazione, alla fine del mondo, avrà Dio stesso per luce (cf Ap 21,22). Gesù, Parola del Dio vivente che si è fatta “Uomo”, ha detto: “Io sono la luce del mondo”; e, per chi sa aprire gli occhi alla fede, tutta la sua vita, le sue parole, il suo agire, i suoi insegnamenti sono “luce” per l’uomo, creato da Lui e per Lui, a sua immagine e somiglianza (cf Gn 1,26). 7“Che ti può giovare discutere profondamente del mistero della SS. ma Trinità, se manchi di umiltà per cui dispiaci alla Trinità? “.Quando veni­va scritta L’imitazione di Cristo, molte scuole di teologia si perdevano in lunghe discussioni accademiche, cioè inconcludenti, su problemi teologi­ci. L’autore ci ammonisce che non è con il ragionamento umano che pos­siamo penetrare il mistero di Dio, ma con la grazia di Dio stesso, che si ottiene con l’umile esercizio delle viriù cristiane. 12 “Questa è la più sublime sapienza: tendere al Regno del Cielo, con il disprezzo del mondo”. Questa espressione, che è traduzione letterale dal Latino, può essere interpretata male. Infatti, il mondo in sé è buono; è stato creato da Dio come culla per l’uomo. Ma il peccato lo ha reso come una trappola e come tale va usato con cautela.

Capitolo secondo

UMILE CONSIDERAZIONE DI SE’

1Ogni uomo desidera, per sua natura, di sapere; ma che cosa importa la scienza senza il timore di Dio? 2Il pover’uomo di campagna che serve Dio è, senza dubbio, migliore del super­bo sapiente, che scruta il moto degli astri trascurando la sua anima. 3Chi impara a conoscere bene se stesso, fa poco conto di sé e non si compiace delle lodi degli uomini. 4Anche se io possedessi tutta la sapienza del mondo, ma non avessi la carità (la grazia di Dio), quale profitto ne avrei davanti a Dio, che mi giudicherà secondo le opere? 5Calma l’eccessivo desiderio di sapere, perché in esso si trovano grandi distrazioni ed illusioni. 6Quelli che sanno molto, volentieri si compiacciono di mettersi in mostra e di essere chiamati sapienti. 7Ma ci sono molte cose, la cui conoscenza poco o nulla giova all’anima. 8Ed è molto insensato chi volge le sue attenzioni unica­mente a cose diverse da quelle che gli servono per la salvezza eterna. 9Le molte parole non appagano l’anima; dà, invece, serenità allo spirito la bontà della vita; e la purezza della coscienza procura una grande confidenza in Dio. 10Quanto più vasto e quanto più profondo è il tuo sape­re, tanto più rigorosamente sarai giudicato, se non sarai vissuto più santamente. 11Dunque, non insuperbirti di alcun’arte o scienza; ma abbi timore, piuttosto, a motivo di ciò che ti fu dato di sapere. 12Se ti sembra di sapere molto e di essere dotato di una buona intelligenza, sappi anche che sono molto più numerose le cose che ignori. 13Non montare in superbia (Rm 11,20), ma riconosci piuttosto la tua ignoranza. 14Perché ti vuoi anteporre a qualcuno, mentre ci sono molti più dotti di te, che meglio praticano la legge di Dio? 15Se vuoi sapere ed imparare utilmente qualche cosa, ama d’essere sconosciuto e d’essere tenuto in conto di nulla. 16Questa è la più alta e più utile scienza: realmente conoscere e disprezzare se stesso. 17Non avere alcuna stima di se stesso, ma piuttosto avere sempre buona ed alta stima degli altri: questa è grande sapienza e perfezione. 18Se anche tu vedessi un altro peccare apertamente o commettere alcune colpe gravi, non dovresti per ciò ritenerti migliore di lui, poiché non sai fino a quando tu sia capace di perseverare nel bene. 19Tutti siamo fragili, ma tu non devi ritenere alcuno più fragile di te stesso.

Note al capitolo 2° 1Il “timore di Dio” non si deve confondere con la “paura”; è l’umile riconoscimento che Dio è il nostro Creatore e che noi, come creature, dipendiamo completamente da Lui. Per questo Egli “trascende” le sue creature, perciò è il “Trascendente”, cioè il “di là” di questo mondo visi­bile. Il “timore di Dio”, dunque, è un umile riconoscimento di questa realtà; è preoccupazione di corrispondere al suo disegno di amore; è sot­tomissione alla sua volontà; è tenero amore filiale. 2Il “pover ‘uomo di campagna” è il “servo della gleba”. Secondo il diritto feudale, egli era “proprieta” del suo padrone, legato di padre in figlio alla terra che coltivava e che non poteva abbandonare. Era privo di tatti i diritti, politici e civili, eccetto che del diritto alla vita. 4“Anche se io possedessi tutta la sapienza del mondo…”: è indiretta cita­zione del celebre passo della prima lettera ai Corinzi sulla Carità (cf I Cor 13,1-13).

Capitolo terzo

ALLA SCUOLA DELLA VERITÀ

1Beato colui che è istruito direttamente dalla Verità così com’è in se stessa, e non per mezzo di immagini incerte e di parole fuggevoli. 2Le nostre opinioni e le nostre impres­sioni spesso ci ingannano e afferrano ben poco della realtà. 3A che giovano le sottili disquisizioni su cose difficili ed oscure, per le quali al Giudizio di Dio non ci verrà fatta colpa d’averle ignorate? 4È grande stoltezza la nostra se, trascurando ciò che è utile e necessario, ci diamo con passione a curiosità dannose. 5Abbiamo occhi e non vediamo!” (Ger 5,21). 6E che importa a noi dei “generi” e delle “specie” dei filosofi? 7Colui al quale parla il Verbo eterno, si rende libero dalla molteplicità delle opinioni umane. 8Dall’unico Verbo procedono tutte le cose, e tutte le cose esprimono quest’Uno; e questo è il Principio che parla anche a noi (Gv 8,25). 9Senza di Lui, nessuno può intendere o giudicare rettamente. 10L’uomo, per il quale tutte le cose sono una cosa sola, e che tutte le vede nell’unico Dio, può godere di fer­mezza di cuore e riposa nella pace di Dio. 11Verità, che sei Dio, fammi una cosa sola con Te, in un Amore senza fine. 12Spesso, il molto che leggo e che ascolto m’annoia: in Te c’è tutto quello che voglio e che desidero. 13Davanti a Te, tacciano tutti i sapienti; alla tua presen­za facciano silenzio tutte quante le creature. Tu solo parlami! 14Quanto più uno si raccoglierà in se stesso e si farà interiormente semplice, tanto più elevate e sublimi cose intende senza fatica, perché riceve dal Cielo la luce del­l’intelligenza. 15Un’anima monda, semplice e costante non si dissipa in numerose occupazioni, perché tutto opera ad onore di Dio e, fuori d’ogni propria utilità, si sforza d’aste­nersi da ogni ricerca di sé. 16Che cosa ti è di impaccio e molestia, più che i tuoi desideri non mortificati? 17L’uomo buono e pio dispone prima interiormente le opere che deve compiere all’esterno. 18Né esse lo trascinano secondo i desideri della viziosa inclinazione; ma è lui stesso che li piega secondo il det­tame della retta ragione. 19Chi sostiene più aspra lotta di colui che si sforza di vincere se stesso? 20E questo dovrebbe essere il nostro impegno: vincere noi stessi, divenire ogni giorno superiori a noi stessi e progredire un poco nel perfezionamento del bene. 21Ogni perfezione, in questa vita, porta congiunta con sé qualche imperfezione, ed ogni nostra ricerca non manca di qualche punto oscuro. 22L’umile conoscenza del tuo essere è via più sicura a Dio che non la profonda indagine scientifica. 23Non si deve biasimare la scienza o qualunque sempli­ce cognizione delle cose, la quale, in sé considerata, è buona ed ordinata da Dio; ma sono sempre da preferir­si la retta coscienza e la vita virtuosa. 24Poiché, però, molti sono più bramosi di sapere che di vivere bene, per questo spesso sbagliano e dal loro sapere traggono frutto quasi nullo o scarso. 25Oh! se gli uomini, per estirpare i vizi e per coltivare le virtù, ponessero tanta diligenza quanta ne pongono per sollevare discussioni, non avverrebbero tanti mali e scandali nel popolo né tanta rilassatezza nei monasteri. 26Certamente, nel giorno del Giudizio non ci sarà domandato che cosa abbiamo letto, ma che cosa abbia­mo fatto; né con quanta eleganza abbiamo parlato, ma quanto piamente siamo vissuti. 27Dimmi: dove sono ora quei grand’uomini e quei mae­stri, che tu hai ben conosciuto quand’erano in vita e brillavano nel successo dei loro studi? 28Altri già godono le loro prebende, e non so se ad essi rivolgano nemmeno il pensiero. 291n vita sembrava che avessero grande importanza, ed ora che sono morti, non se ne parla più. 30Oh, quanto in fretta passa la gloria di questo mondo! 31Magari la loro vita fosse stata conforme al loro sape­re! Allora si che avrebbero studiato ed insegnato con profitto! 32Quanti nel mondo si perdono a causa della loro vana scienza terrena, mentre poco si curano di servire Dio! 33E poiché preferiscono essere più grandi che umili, per questo vaneggiano nei loro ragionamenti. 34Veramente grande è colui che possiede un grande amore di Dio. 35Veramente grande è colui che è piccolo dentro di sé e tiene in conto di nulla gli onori più alti. 36Veramente saggio è colui che, per guadagnarsi Cristo, considera come spazzatura tutte le cose della terra (Fil 3,8). 37E, in verità, è perfettamente dotto chi fa la volontà di Dio e rinuncia alla propria.

Note al capitolo 3° 2Nel linguaggio comune, “verità “è conformità alla realtà. Nella Bibbia e nel contesto di questo libro significa soprattutto fedeltà all’Alleanza, con la differenza che nell’Antica Alleanza Dio promette il Messia, e il pio Israelita osserva la Legge; nella Nuova, Dio realizza la sua promessa in Gesù, e il Cristiano, attraverso il Battesimo, lo accetta nella sua vita. Verità, dunque, è diventato Gesù stesso, realizzazione della promessa di Dio. Venire istruiti dalla Verità significa venire ammaestrati e guidati da Cristo stesso. 6“Che cosa importa a noi dei ‘generi’ e delle ‘specie ‘…?”: riferimento alla filosofia di Aristotele (384-322 a.C.) adottata dalla filosofia scolasti­ca. “Genere” era l’idea generale, che poi comprendeva le varie “specie”. Il “Verbo Eterno” è il Creatore di tutto; chi possiede Lui, possiede tutto! 11“O Verità che sei Dio, fammi una cosa sola con Te in un Amore senza fine!”. Gesù stesso ha pregato perchè tutti i credenti in Lui siano con Lui una cosa sola e, come Lui, una cosa sola col Padre, nell’unità dello Spirito Santo (cf. Gv 17,11.21 s). Con queste espressioni il libro tocca già uno dei punti più alti della mistica cristiana, che saranno sviluppati in seguito. 13“Davanti a Te tacciano i sapienti…”. Quando veniva scritta L’imitazione di Cristo, molti erano affascinati dall’antica civiltà greco-romana. Siamo agli inizi dell’Umanesimo: l’uomo, mettendo da parte il concetto della trascendenza di Dio, poneva, secondo le concezioni della filosofia pagana e soprattutto dello stoicismo, se stesso al centro di tutto. 28‘Altri già godono le loro prebende…”. Le “prebende” erano le rendite stabili di beni ecclesiastici, spesso motivo di abusi nella Chiesa e causa di scandalo.

Capitolo quarto

PRUDENZA NELL’AGIRE

1Non bisogna credere ad ogni parola che si sente dire e nemmeno ad ogni nostro giudizio istintivo, ma le cose devono essere ponderate con cautela e longani­mità secondo Dio. 2Ahimè! Spesso, degli altri si crede e si dice più facil­mente il male che il bene: tanto siamo deboli! 3Ma gli uomini perfetti non prestano facilmente fede ad ognuno che riporta dei fatti, perché sanno che l’umana debolezza è incline alla malignità e piuttosto facile a cadere in eccessi di parole. 4È grande saggezza non essere precipitoso nell’operare e non persistere con ostinazione nel proprio parere. 5Grande saggezza è anche non prestare fede a qualsiasi discorso della gente e non propalare subito alle orec­chie degli altri ciò che si è sentito o che ci è stato con­fidato. 6Prendi consiglio da un uomo di senno e di coscienza e cerca d’essere ammaestrato da chi è migliore di te, piuttosto che seguire le tue fantasie. 7La bontà della vita rende l’uomo sapiente secondo Dio, ed anche avveduto in molte circostanze. 8Quanto più uno sarà intimamente umile e sottomesso a Dio, tanto più sarà giudizioso ed equilibrato in ogni cosa.

Note al capitolo 4° 1”Non credere ad ogni parola…”. Chi tende alla perfezione non deve agire secondo la prudenza umana, per fini umani che allontanano da Dio; in ogni caso, questi prescindono dal fine ultimo: Dio. La prudenza cri­stiana è umile, caritatevole, compassionevole, disinteressata e cerca solo la gloria di Dio.

Capitolo quinto

LA LETTURA DEI LIBRI SACRI

1Nei libri sacri si deve cercare la verità, non l’eloquenza. 2Ogni libro sacro dev’essere letto con lo spirito con il quale fu scritto. 31n essi dobbiamo cercare più il nostro vantaggio morale che la finezza dell’espressione stili­stica. 4Dobbiamo leggere volentieri i libri devoti e scritti con semplicità, come quelli profondi e sublimi. 5 Non t’importi l’autorevolezza dello scrittore, se, cioè, fu uomo di molta o poca cultura, ma ti trascini a legge­re solo l’amore della pura verità. 6Non chiedere chi ha detto questo, ma rivolgi la tua attenzione a ciò che viene detto. 7Gli uomini passano, ma “la Verità del Signore resta in eterno” (Sal 116,2). 8Dio ci parla in modi diversi, senza tenere conto delle persone. 9La nostra curiosità ci è spesso d’ostacolo nella lettura delle Sacre Scritture, quando vogliamo capire a fondo e discutere dove bisognerebbe passar oltre con sempli­cità. 10Se tu vuoi trarne profitto, leggi con umiltà, con sem­plicità e con fede, e non aspirare ad avere nome d’uo­mo di cultura. 11Interroga volentieri ed ascolta in silenzio le parole dei Santi, né ti dispiacciano gli ammaestramenti dei vec­chi; infatti, non vengono riportati senza un utile scopo.

Note al capitolo 5° 1Nei libri sacri si deve cercare la veritài, non l’eloquenza“. Purtroppo, finché non saremo abbastanza radicati nella vita interiore e innamorati della “Verità”, che è Dio stesso, saremo sempre tentati di cercare la novità, ciò che diletta la nostra curiosità, i nostri sentimenti, anche nelle nostre letture spirituali. L’imitazione di Cristo ci insegna a leggere e a cercare con animo umile e semplice.

Capitolo sesto

GLI AFFETTI DISORDINATI

1”Quando l’uomo appetisce disordinatamente qualche cosa, diventa inquieto dentro di sé. 2Il superbo e l’avaro non hanno mai pace; il povero e l’umile di spirito, inve­ce, vivono in grande pace. 3L’uomo che non è ancora completamente morto a se stesso, non tarda ad essere tentato ed è vinto pur nelle cose piccole e spregevoli. 4Chi è debole nello spirito e, in certo modo, tuttora car­nale ed incline alle cose sensibili, difficilmente riesce a svincolarsi del tutto dai desideri terreni. 5E, perciò, spesso sente tristezza, quando riesce a disto­gliersene; e facilmente si sdegna, se qualcuno gli si oppone. 6Se, poi, riesce ad ottenere ciò che bramava, è imme­diatamente oppresso dal rimorso della coscienza: il motivo è che ha assecondato la sua passione, la quale non giova affatto alla pace di cui è andato in cerca.  7Perciò, la vera pace del cuore si trova resistendo alle passioni, non già nel farsi schiavo d’esse. 8Non c’è, dunque, pace nel cuore dell’uomo carnale; non c’è nell’uomo dedito alle esteriorità, ma solo in quello fervente e spirituale.

Note al capitolo 6° 1“Quando l’uomo appetisce disordinatamente qualche cosa, diventa inquieto dentro di sé”. Il peccato ha causato un dissidio tra carne e spiri­to dentro di noi: lo spirito tende in alto, a Dio, e la carne al piacere imme­diato. Già l’apostolo S. Paolo, che sentiva più che mai questa lotta, escla­mava: Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (Rm 7,24). Ma come, quando ci facciamo male nel fisico, sentiamo dolore, così, quando commettiamo il peccato, la coscienza ci avverte e lo spirito geme: è come un campanello d’allarme. Chi è deciso a tendere in alto, deve diventare sempre più sensibile a questo campanello e correre subito a fare una buona Confessione.

L’IMITAZIONE DI CRISTO 3ultima modifica: 2010-08-06T13:42:00+02:00da meneziade
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