L’IMITAZIONE DI CRISTO 4

nativita-mantegna1.jpgCapitolo settimo

SPERANZE FALLACI. DOVERE DI FUGGIRE LA PRESUNZIONE

1Stolto è chi ripone la sua speranza negli uomini o nelle creature. 2Non vergognarti di servire gli altri per amore di Gesù Cristo e d’apparire pove­ro in questo mondo. 3Non appoggiarti su te stesso, ma poni la tua speranza in Dio. 4Fa’ quello che puoi da parte tua e Dio verrà in aiuto alla tua buona volontà. 5Non confidare nel tuo sapere o nella destrezza di qual­siasi uomo, ma nella grazia di Dio, che soccorre gli umili ed umilia i presuntuosi. 6Non gloriarti delle ricchezze, se ne possiedi, né degli amici perché sono potenti; ma gloriati in Dio, che tutto ci dona e, sopra tutte le cose, desidera di donarci Se stesso. 7Non insuperbirti per la gagliardia o per la bellezza del corpo, che, per una leggera infermità, si guasta e si deforma. 8Non compiacerti con te stesso della tua abilità od intel­ligenza, per non dispiacere a Dio, al quale appartiene tutto ciò che hai avuto di buono dalla natura. 9Non crederti migliore degli altri, perché non ti accada d’essere giudicato peggiore davanti a Dio, che conosce l’intimo dell’uomo. 10Non montare in superbia per le tue buone opere, perché i giudizi di Dio sono diversi da quelli degli uomini: a Lui spesso dispiace quel che piace agli uomini. 11Se hai ricevuto in dono qualche buona qualità, pensa che gli altri ne hanno di migliori, perché tu possa con­servare l’umiltà. 12Non ti nuoce, se ti posponi a tutti; ti nuoce invece mol­tissimo, se ti anteponi anche ad uno solo. 13Con l’umile sta sempre insieme la pace; nel cuore del superbo, invece, ci sono spesso invidia e rancore.

Note al capitolo 7° 9“Non crederti migliore degli altri…”. Credersi migliore degli altri è presunzione. La presunzione è il desiderio e la speranza disordinata di essere superiori e di fare cose superiori alle proprie capacità. È un difetto che nasce dall’orgoglio: un’opinione troppo buona di sé, delle proprie facoltà naturali, della propria scienza, delle proprie forze e delle proprie virtù. Uno si crede più intelligente di quel che è. Dà sentenze senza esse­re competente. Ha poco gusto delle virtà nascoste e sogna grandi cose senza averne la capacità. La presunzione genera ambizione: desiderio di onori, dignità, autorità sugli altri, vanità e amore disordinato alla stima degli altri.

Capitolo ottavo

EVITARE LA TROPPA CONFIDENZA

1“Non aprire il tuo cuore ad ogni uomo” (Sir 8,22), ma tratta ciò che ti riguarda con chi è saggio e timorato di Dio. 2Frequenta poco i giovani e gli scono­sciuti. 3Non adulare i ricchi e non comparire volentieri alla presenza dei potenti. 4Accompàgnati, invece, con gli umili, con i semplici, con i devoti e con le persone di retti costumi; e parla con loro di argomenti edificanti. 5Non permetterti confidenza con nessuna donna, ma raccomanda indistintamente a Dio tutte le pie donne. 6Desidera avere familiarità solo con Dio e con i suoi Angeli, e schiva la notorietà della gente. 7Bisogna avere con tutti carità, ma la dimestichezza non è conveniente. 8Non di rado capita che una persona sconosciuta diven­ti nota per la buona fama; ma quando, poi, la si vede da vicino, desta impressione sfavorevole. 9Talvolta noi pensiamo di piacere agli altri per la nostra socievolezza, ed invece cominciamo ad essere loro anti­patici per la deplorevole condotta che si scopre in noi.

Note al capitolo 8° 7“Bisogna avere con tutti carità, ma la dimestichezza non e’ convenien­te”. Questo consiglio riguarda la virtù della prudenza cristiana, che ci fa agire sempre, in ogni circostanza, avendo di mira il fine ultimo, Dio. Non dobbiamo confonderla con la prudenza della carne, che ci rende ingegnosi nel raggiungere un fine cattivo; né con la prudenza puramente umana, che ci fa agire per un fine puramente terreno. La prudenza cristiana non perde mai di vista il fine ultimo. Dio.

Capitolo nono

UBBIDIENZA E SOTTOMISSIONE

1È una cosa molto importante stare sotto la virtù dell’ubbidienza, vivere sotto un Superiore e non essere indipendenti. 2È molto più sicuro essere sottomessi che trovarsi ai posti di comando. 3Molti vivono nell’ubbidienza più per necessità che per amore; sono insofferenti e facilmente mormorano. Essi, però, non guadagneranno la libertà dello spirito, se non si sottometteranno con tutto il cuore per amore di Dio. 4Corri pure qua e là; ma non troverai pace se non nel­l’umile sottomissione alla guida del Superiore. 5Il fantasticare su altri luoghi dove stare meglio, ha ingannato molti. 6É vero che ciascuno nelle sue azioni segue volentieri il proprio parere e si sente inclinato maggiormente verso coloro che la pensano come lui. 7Ma se Dio è con noi, è necessario che qualche volta abbandoniamo anche le nostre vedute, per il bene della pace. 8Del resto, chi è tanto sapiente da conoscere perfetta­mente ogui cosa? 9Dunque, non ti fidare troppo della tua opinione, ma sii disposto ad ascoltare volentieri anche quella degli altri. 10Se le tue vedute sono buone e, tuttavia, vi rinunzi e ne segui altre per amore di Dio, ne ricaverai maggiore frutto spirituale. 11Ho spesso sentito dire che è cosa più sicura ascoltare e accettare un consiglio, che darlo. 12Può anche darsi il caso che l’opinione d’uno sia buona come quella d’un altro; ma non voler arrendersi agli altri, quando lo esige la ragione o la convenienza, è segno di superbia e caparbietà.

Note al capitolo 9° 10Se le tue vedute sono buone e, tuttavia, vi rinunzi e ne segui altre per amore di Dio, ne ricaverai maggiore frutto spirituale“. Dio ha creato l’uo­mo per l’unità. Il peccato originale, peccato di disubbidienza e di ribel­lione, ha disgregato questa unità. La virtù dell’obbedienza ristabilisce l’e­quilibrio. Fondamento della virtù dell’obbedienza è il supremo dominio di Dio sulle sue creature. l’obbedienza è necessaria nelle famiglie, nelle società, nelle nazioni, ma soprattutto nella Chiesa e nelle Comunità eccle­siali e religiose. Maestro della disobbedienza è Satana, che ha insegnato ad Adamo ed Eva a disobbedire. Ora tutti sentiamo in fondo al cuore l’eco delle sue parole: “Sarete come Dio. conoscendo il bene e il male” (Gn 3,5). La consegnenza è che ognuno diventa legge a se stesso e l’umanità è disgregata. Per ritornare all’unità è necessaria l’obbedienza.

Capitolo decimo

EVITARE I DISCORSI SUPERFLUI

1Evita, per quanto puoi, i chiassosi ritro­vi della gente: i discorsi di cose profane sono, infatti, di grave danno, anche se si fanno con retta intenzione. 2Si fa presto ad essere contaminati dalla vanità e a diventarne schiavi. 31o vorrei aver taciuto molte più volte e non essermi tro­vato in mezzo agli uomini. 4Ma per quale motivo parliamo tanto volentieri e con­fabuliamo tra noi, mentre raramente possiamo ritornare al nostro ritiro senza danno della nostra coscienza? 5Per questo chiacchieriamo con tanto piacere e conver­siamo insieme, perché cerchiamo, nello scambio di parole, di consolarci gli uni gli altri, e desideriamo così di sollevare lo spirito affaticato da svariati pensieri. 6E ci diletta molto discorrere e fantasticare su quelle cose che amiamo e desideriamo intensamente oppure su quelle che sono contrarie ai nostri desideri. 7Ma spesso, ahimè!, con esito vano e senza frutto. 8lnfatti, questa consolazione esteriore, che andiamo cercando, arreca non poco danno alla consolazione interiore e divina. 9Perciò, bisogna vigilare e pregare, perché il tempo non ci trascorra oziosamente. 10Se è lecito e conveniente parlare, parla di cose edifi­canti. 11La cattiva abitudine e la poca cura del nostro progres­so spirituale contribuiscono molto alle intemperanze della nostra lingua. 12lnvece, giova non poco al profitto dell’anima la devo­ta conversazione su argomenti spirituali, specialmente là, dove si trovano riunite in Dio persone che hanno consonanza di sentimento e di devozione.

Note al capitolo 10° 1Evita, per quanto puoi, i chiassosi ritrovi della gente“. Per discorsi inutili non dobbiamo intendere discorsi ricreativi che possono mettere allegria e buon umore, ma soltanto quei discorsi che ci possono allonta­nare da Dio. Molti Santi erano pieni di allegria e buon umore, perchè ani­mati da vero spirito di carità. 5“…cerchiamo, nello scambio di parole, di consolarci gli uni gli altri…”. Il Religioso e il cristiano impegnato non dovrebbero mai dimen­ticare il loro fine ultimo: Dio. Spesso, però, lo dimenticano e mettono le cose o gli avvenimenti o le notizie del mondo al primo posto.

Capitolo undicesimo

ACQUISTO DELLA PACE INTERIORE ED INTERESSE PER IL PROFITTO SPIRITUALE

1Noi potremmo avere molta pace, se non volessimo occuparci delle parole e dei fatti degli altri, che non riguardano i nostri doveri. 2Come può godere una gran pace colui che s’immischia nelle faccende degli altri, che cerca divagazioni esterne, che poco o di rado si raccoglie interiormente? 3Beati i semplici, poiché avranno molta pace. 4Per quale ragione alcuni Santi furono così perfetti e così assorti nella contemplazione? 5Perché si sforzarono di mortificarsi, tenendosi lontani da tutti i desideri terreni; perciò, poterono unirsi a Dio con tutte le fibre del cuore ed essere liberi d’occuparsi di sé. 6Noi, invece, siamo troppo presi dalle nostre passioni e ci affanniamo troppo per le cose che passano. 7Raramente riusciamo a vincerci del tutto anche in un solo difetto e non arde in noi il desiderio d’un miglio­ramento quotidiano; perciò, continuiamo a rimanere freddi e tiepidi. 8Ma se fossimo interamente morti a noi stessi e per nulla impastoiati interiormente, allora potremmo gustare anche le cose di Dio e fare un po’ d’esperienza delle contemplazioni celesti. 9Questo è il più grande e totale ostacolo: non essere liberi dalle passioni e dalle concupiscenze e non sfor­zarci d’entrare nella via perfetta dei Santi. 10Quando ci sorprende anche una piccola contrarietà, ci abbattiamo troppo presto e ci volgiamo alle consola­zioni del mondo. 11Se, come forti soldati, ci sforzassimo di rimanere saldi nel combattimento, vedremmo, certo, scendere su di noi dal Cielo l’aiuto del Signore. 12È Lui stesso, infatti, che è sempre pronto ad aiutare chi combatte e confida nella sua grazia; è Lui che ci offre le occasioni di combattere, perché possiamo vin­cere. 13Ma se facciamo consistere il progresso spirituale sol­tanto nelle pratiche esteriori, la nostra devozione finirà ben presto. 14Poniamo, invece, la scure alla radice, affinché, purga­ti dalle passioni, possiamo conservare l’anima in pace. 155e ogni anno noi sradicassimo anche un solo difetto, diverremmo presto perfetti. 16In realtà, però, ci comportiamo tanto diversamente, da constatare che eravamo migliori e più puri all’inizio della nostra vita monastica, che non dopo molti anni. 17Il fervore ed il profitto spirituale dovrebbero crescere quotidianamente; invece, ci sembra ora gran cosa se qualcuno possa conservare una parte del primo fervore. 18Se da principio facessimo un po’ di violenza su noi stessi, potremmo in seguito fare tutto con facilità e con gioia. 19Riesce duro rinunziare alle proprie vecchie abitudini; ma è più duro andare contro la propria volontà. 20Ma se non vinci le difficoltà piccole e leggere, quan­do supererai quelle più ardue? 21Resisti fin da principio alla tua inclinazione, disavvéz­zati dalle scorrette abitudini, perché a poco a poco non possano trascinarti in difficoltà più gravi. 22Oh, se considerassi quanta pace procureresti a te, quan­ta gioia agli altri, comportandoti bene! Credo che avresti maggiore impegno per il tuo miglioramento spirituale.

Note al capitolo 11°  6“Siamo troppo presi dalle nostre passioni…”. Se vogliamo giungere alla preghiera del cuore, alla contemplazione di Dio e dei suoi misteri, dobbiamo far tacere i nostri sentimenti, soprattutto la nostra fantasia, le curiosità inutili, il desiderio smoderato di sapere notizie. Se per ore e ore teniamo accese la radio e la televisione, come e quando potremo pregare? 8Essere morti a se stessi…”. L’espressione può suonare male agli orec­chi di qualcuno, ma nel contesto significa semplicemente stare al proprio posto; non lasciarsi vincere dalla smania di immischiarsi nelle faccende altrui, a meno che non lo comporti un dovere di giustizia e di carità. Per avere la pace interiore e decollare nel progresso dello spirito, è necessario dominare i vizi capitali, che sono superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia. Questo comporta una certa morte a noi stessi.

Capitolo dodicesimo

UTILITÀ DELLA TRIBOLAZIONE

1È bene per noi avere qualche volta pene e contrarietà, poiché spesso fanno rien­trare l’uomo in se stesso, gli fanno nco­noscere che quaggiù si trova in esilio e che non deve riporre la sua speranza in alcuna cosa del mondo. 2Riesce anche vantaggioso che talvolta soffriamo, per­ché veniamo contraddetti; che gli altri abbiano di noi un concetto falso ed inadeguato, anche se le nostre opere e le nostre intenzioni sono rette. 3Queste cose spesso giovano a renderci umili e ci pre­muniscono dalla vanagloria. 4Quando all’esterno siamo disprezzati dagli uomini e non ci si presta fede, allora più facilmente noi cerchia­mo Dio, perch’Egli è il testimonio della nostra coscien­za. 5Per questo l’uomo dovrebbe ancorarsi in Dio così sal­damente, da non avere alcun bisogno di cercare tante consolazioni umane. 6Quando un uomo di buona volontà è tribolato o tenta­to oppure è afflitto da cattivi pensieri, allora compren­de d’avere maggiormente bisogno di Dio, senza del quale scopre che non può fare nulla di buono. 7Allora, anche, si rattrista, piange e prega a causa del male che patisce. 8Allora, gli rincresce di vivere più a lungo e desidera che venga la morte, per potersi sciogliere dal corpo ed essere con Cristo. 9Allora avverte anche, chiaramente, che la sicurezza perfetta e la pace piena non hanno dimora in questo mondo.

Note al capitolo 12°

6 È bene per noi avere qualche volta pene e contrarietà…” Queste “pene e contrarietà”, fisiche o morali, possono

essere malattie, lutti in famiglia, angustie dell’animo, incomprensioni, rovesci di fortuna… Per chi è impegnato nella vita spirituale, sono spesso preludio a grazie inter­ne che stimolano ad una vita più perfetta. Li per li ci possono turbare, ma in seguito lo Spirito Santo ci fa capire: ci distaccano da tutto ciò che non è Dio; purificano l’animo con il dolore; ci fanno desiderare il Cielo e la perfezione che ne è la via, a patto che si faccia trionfare in noi lo spirito di fede.  8“L’uomo dovrebbe ancorarsi in Dio…”. Quando tutto va bene,

dimen­tichiamo che sulla terra siamo di passaggio; quando qualcosa non va secondo i nostri desideri, ci ricordiamo di Dio, per supplicarLo vergo­gnosamente o anche per contestarLo e bestemmiarLo, perché è Lui che non fa la nostra volontà… Ci vergogniamo, perché ci rivolgiamo a Lui solo nelle necessità. Non ci accorgiamo che è Lui che ci mette nelle necessità, come per dirci: “Senza di me sei sulla strada sbagliata!”

Capitolo tredicesimo

COME REAGIRE ALLE TENTAZIONI

1Fino a che viviamo in questo mondo, non possiamo andare esenti da tribola­zioni e tentazioni. 2Perciò, nel libro di Giobbe sta scritto: “La vita dell ‘uomo sulla terra è una continua tentazione” (Gb 7,1). 3Ognuno, quindi, dovrebbe stare in guardia contro le tentazioni e vigilare pregando, perché non lo sorprenda il demonio, che non sonnecchia mai, ma “giri intorno, cercando chi divorare” (1Pt 5,8). 4Nessuno è così perfetto e così santo, che non abbia tal­volta delle tentazioni; non possiamo esserne del tutto esenti. 5Eppure, le tentazioni, sebbene moleste e gravi, sono spesso molto utili all’uomo, perché in esse s’umilia, si purifica, si fa un’esperienza. 6Tutti i Santi passarono attraverso molte tribolazioni e tentazioni, traendone grande profitto. 7Coloro, invece, che non seppero reggere ad esse, si tra­viarono e si dannarono. 8Non c’è Ordine religioso così santo né luogo così appartato, in cui non si trovino tentazioni o contrarietà. 9L’uomo, finché vive, non ne è mai totalmente al sicu­ro, perché è dentro di noi il germe: la concupiscenza, nella quale siamo nati. 10Quando una tentazione od una tribolazione se ne va, ecco che un’altra ne sopraggiunge, e così avremo sem­pre qualche cosa da patire; infatti, abbiamo perduto il primitivo stato della nostra felicità. 11Molti cercano di fùggire le tentazioni, ed invece vi cadono anche più dolorosamente di prima. 12Con la sola fuga non possiamo vincerle, ma con la pazienza e con la vera umiltà diventiamo più forti di tutti i nostri nemici. 13Chi le schiva soltanto in modo superficiale e non ne estirpa la radice, otterrà scarso risultato; anzi, le tenta­zioni gli torneranno più presto, e si sentirà peggio di prima. 14A poco a poco, con la pazienza, con la costanza e con l’aiuto di Dio, potrai superarle meglio che con l’essere duro e uggioso con te stesso. 15Nella tentazione chiedi spesso consiglio e, quando qualcuno è tentato, non usare con lui maniere aspre, ma porgigli conforto, come tu desidereresti fosse fatto a te. 16Principio di tutte le cattive tentazioni sono la volubi­lità dell’animo e la poca confidenza in Dio. 17Infatti, come una nave senza timone è sballottata qua e là dalle onde, così l’uomo, che si lascia andare e che abbandona i suoi propositi, va soggetto a tentazioni di vario genere. 18Come il fuoco mette a prova il ferro, così la tentazio­ne mette a prova l’uomo giusto. 19Spesso noi non sappiamo valutare le nostre forze, ma la tentazione ci rivela quello che siamo. 20Bisogna, però, essere molto vigilanti, specialmente al primo sorgere della tentazione, perché il nemico si vince più facilmente quando non gli si permette di var­care l’ingresso dell’anima, ma, al primo bussare, gli si va incontro fuori della soglia. 21Perciò, fu detto: “Reagisci ai primi sintomi del male; troppo tardiva è la medicina propinata, quando il male, per lungo indugio, ha preso forza” (Ovidio). 22lnfatti, alla mente s’affaccia dapprima un semplice pensiero, poi una vivida immaginazione, quindi il com­piacimento, il movimento perverso, il consenso. 23E così, a poco a poco, il nemico maligno, al quale non si resiste fin da principio, entra del tutto nell’anima. 24E quanto più a lungo uno si sarà intorpidito nella rea­zione, tanto più debole diventa ogni giorno, mentre il nemico si fa più potente contro di lui. 25Alcuni soffrono tentazioni più violente all’inizio della loro conversione; altri, invece, alla fine della vita. 26Alcuni, poi, ne devono soffrire per quasi tutta la vita. 27Alcuni sono tentati piuttosto leggermente, secondo la sapienza e l’equità ordinatrici di Dio, che soppesa le condizioni ed i meriti degli uomini e preordina tutto alla salvezza dei suoi eletti. 28Perciò, quando siamo tentati, non dobbiamo dispera­re, ma tanto più fervorosamente dobbiamo pregare Dio, perché si degni di aiutarci in ogni prova; ed il Signore, come dice San Paolo, con la tentazione ci darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla (iCor 10,13). 29Dunque, in ogni tentazione ed in ogni tribolazione umiliamo le nostre anime sotto la mano di Dio, perché Egli salverà ed esalterà gli umili di spirito. 30Nelle tentazioni e nelle tribolazioni si prova quanto profitto spirituale ha fatto l’uomo; in esse il merito s’accresce e la virtù risplende più luminosa. 31Non è gran cosa se un uomo sia devoto e fervoroso, quando non soffre contrarietà; ma, se in tempo d’av­versità resiste pazientemente, dà speranza d’un notevo­le perfezionamento. 32Alcuni sanno premunirsi dalle tentazioni gravi, ma si lasciano spesso vincere da quelle piccole d’ogni gior­no, perché, cosi umiliati, non insuperbiscano mai nei gravi pericoli, essi, che nelle piccole prove sono cosi deboli.

Note al Capitolo 13° 1“Fino a che viviamo in questo mondo, non possiamo andare esenti da tribolazioni e tentazioni”. La tribolazione, la tentazione, la croce sono come ombre: se le vuoi sfuggire, ti rincorrono e ti fanno impazzire; se le affronti coraggiosamente, fuggono da te. 16“Principio di tutte le cattive tentazioni sono la volubilità dell ‘animo e la poca confidenza in Dio”. La tentazione è una sollecitazione al male, che viene dai nostri nemici spirituali: la nostra natura corrotta, il mondo e il demonio. La vita è un combattimento. Dio lo permette per farci merita­re il premio eterno. Dio non ci vuole dei “robot”, ma ci vuole “figli”, con­sapevoli del nostro destino. La tentazione ci purifica, ci fa crescere; è una scuola di umiltà e di amore. In principio c’è una certa suggestione, poi un certo diletto, poi il consenso. È importante rigettare subito la suggestione con la vigilanza e invocare subito la protezione divina. Bisogna rigettare la presunzione e non mettersi nell’occasione; non dialogare col nemico. Gesù ci ha insegnato a pregare: “Non ci indurre in tentazione”. Non è che Dio ci getti nel pericolo, ma lo permette per consolidarci. Chi prega per superare la prova ha già combattuto e resistito.

Capitolo quattordicesimo

OCCORRE EVITARE I GIUDIZI TEMERARI

1Tieni gli occhi rivolti a te stesso ed evita di giudicare i fatti degli altri. 2Nel giudicare gli altri l’uomo si dà pena inutilmente, piuttosto spesso sba­glia e facilmente pecca; giudicando, invece, ed esaminando se stesso, fa sempre opera pro­ficua. 3Noi giudichiamo una cosa secondo che essa ci sta a cuore; infatti, facilmente perdiamo di vista il giudizio obiettivo a causa del nostro interesse personale. 4Se Dio fosse sempre il puro oggetto del nostro deside­rio, non saremmo tanto facilmente turbati dall’opposi­zione al nostro modo di vedere. 5Ma spesso sta nascosto dentro di noi, od anche si sovrappone dal di fuori, qualche elemento che ci atti­ra. 6Molti, in ciò che fanno, cercano segretamente soltanto se stessi, senza accorgersene. 7E sembra anche che si trovino in una gran pace, finché le cose vanno secondo il loro volere ed i loro apprezzamenti. 8Ma, se accade il contrario dei loro desideri, si mettono in agitazione e se ne rattristano. 9Per la diversità del sentire e del pensare, nascono piut­tosto frequentemente dissapori fra amici e concittadini, fra Religiosi e laici devoti. 10Di un’antica abitudine ci si spoglia con difficoltà, e nessuno si lascia volentieri condurre fuori del proprio modo di vedere. 11Se t’appoggi più alla tua ragione ed alla tua capacità, che non all’autorità sovrana di Gesù Cristo, raramente e tardi sarai un uomo illuminato, perché Dio vuole che noi siamo completamente sottomessi a Lui e che trascendiamo ogni ragionamento umano per mezzo di un fervido amore per i fratelli.

Note al Capitolo 14° 6“Molti, in ciò che fanno, cercano segretamente soltanto se stessi, senza accorgersene”. Alla base del nostro operato, se non stiamo attenti e vigi-lanti, c’è sempre il primo dei vizi capitali, la superbia, che spinge l’uomo a denigrare gli altri per esaltare se stesso. Gesù ha vinto l’orgoglio con l’obbedienza al Padre, non solo nel suo sacrificio supremo, ma anche obbedendo a Maria e a Giuseppe, a Nazaret.

Capitolo quindicesimo

FARE TUTTO PER AMORE DI DIO

1Non si deve fare alcun male per nessuna ragioneal mondo né per amore di alcun uomo; ma si deve talora liberamente tralasciare un’opera buona, od anche sostituirla con una migliore, a vantaggio di chi si trova nel bisogno. 2Con ciò, il bene non va perduto, ma è cambiato in meglio. 3Senza la carità, l’atto materiale non giova a nulla. 4Qualunque cosa, invece, che si fa per amore di Dio, per quanto piccola e di nessun conto sia, diventa meritoria. 5Infatti, Dio valuta più l’intenzione con la quale uno agisce, che non l’opera in se. 6Molto fa chi molto ama. 7Molto fa chi fa la cosa bene. 8Bene fa chi serve più al bene della comunità che al propno gusto. 9Molte volte sembra che sia carità quella che è piutto­sto passione, perché raramente le sono estranei la pro­pensione naturale, il proprio capriccio, l’attaccamento al proprio comodo. 10Chi ha la carità vera e perfetta non cerca se stesso in nulla, ma unicamente desidera che in tutto si renda glo­ria a Dio. 11Ed anche non invidia nessuno, perché non s’augura alcuna soddisfazione personale. 12Anzi, non pone il suo compiacimento in se stesso, ma sopra tutti i beni desidera essere felice in Dio. 13Non attribuisce a nessuno alcunché di buono, ma lo fa risalire interamente a Dio, dal quale tutto procede come da sorgente, e nel quale, come ultimo fine, tutti i Santi godono la loro pace. 14Oh! chi avesse una sola scintilla di vera carità, certa­mente sentirebbe quanto siano piene di vuoto tutte le cose terrene.

Note al Capitolo 15° 3“Senza la carità, l’atto materiale non giova a nulla”. Già nell’Antica Alleanza il comandamento dell’amore verso Dio era completato dal secondo comandamento: ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18). Nella Nuova Alleanza i due amori sono indissociabili, vertice e chiave della nuova legge (Mc 12, 28-33): “Chi non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (lGv 4,20).

Capitolo sedicesimo

SOPPORTARE I DIFETTI DEGLI ALTRI

1I difetti che l’uomo non riesce a cor­reggere in sé e negli altri, li deve sop­portare con pazienza, finché Dio non disponga altrimenti. 2Pensa che, forse, è meglio così, perché tu dia prova di pazienza, senza la quale i nostri meriti hanno ben poco pregio. 3Tuttavia, davanti a siffatti ostacoli, devi anche pregare Dio che si degni d’aiutarti a poterli sopportare con sere­nità. 4Se un tuo simile, ammonito da te una o due volte, non ti ascolta, non voler litigare con lui, ma metti tutto nelle mani di Dio, perché sia fatta la sua volontà ed Egli sia onorato in tutti i suoi servi: Egli sa opportunamente volgere in bene anche il male. 5Procura d’essere paziente nel tollerare i difetti degli altri e le loro fragilità, quali esse siano; anche tu ne hai tante, che gli altri sono costretti a sopportare. 6Se non riesci a plasmarti come vorresti, come potrai pretendere che altri si conformi al tuo desiderio? 7Ben vogliamo, noi, che gli altri siano perfetti; eppure, non ci emendiamo dei nostri difetti! 8vogliamo che il nostro prossimo sia ripreso severa­mente, e noi non vogliamo essere ripresi. 9Ci urta che sia concessa agli altri una larga libertà, ed intanto non sopportiamo che si neghi a noi quello che chiediamo. 10Pretendiamo che gli altri siano tenuti a freno da rego­lamenti, e noi non tolleriamo d’essere sottomessi appena un po’. 11Così, dunque, appare chiaro quanto raramente usiamo la stessa bilancia  per noi e per il prossimo. 12Se tutti fossero perfetti, che cosa ci resterebbe da sof­frire da parte degli altri per amore di Dio? 13Ora, invece, Dio ha disposto così, perché impariamo a portare l’uno i pesi dell’altro (Gal 6,2), non essendoci nessuno senza difetto, nessuno senza il suo fardello, nessuno abbastanza saggio per guidarsi da solo: occor­re, quindi, che a vicenda ci sopportiamo e ci consolia­mo, e del pari ci aiutiamo, ci istruiamo e ci ammonia­mo. 14Nei casi di qualche avversità, dunque, meglio si mani­festa quale sia il grado di virtù di ciascuno. 15Infatti, le occasioni, se non rendono fragile l’uomo, mettono, però, in evidenza quale egli è.

Note al Capitolo 16° 1“I difetti che l’uomo non riesce a correggere in sé e negli altri, li deve sopportare con pazienza, finché Dio non disponga altrimenti”. Il “difet­to” e’ mancanza di qualche cosa di ordine fisico, psichico o spirituale. Parlando dei difetti inerenti alla vita di perfezione, ve ne sono nel primo stadio (via purgativa), nel secondo (via illuminativa) e nel terzo (via uni­tiva). Nel primo stadio, nonostante slanci e propositi, spesso manca la costanza; si hanno ancora molti affetti disordinati alle cose terrene, attac­camenti alle vanità e curiosità del mondo, desiderosi, come siamo, di lodi ed onori, ancora legati ai piaceri ed alle seduzioni della carne. Anche dopo un certo cammino nella via della perfezione, può avvenire un risveglio dei vizi capitali, magari sotto forme più sottili e subdole. Anche sulla soglia del terzo stadio (via unitiva), ci possono essere debolezze ed imperfezio­ni, come piccoli attaccamenti a persone o cose.

Capitolo diciassettesimo

LA VITA DI COMUNITÀ

 1Se vuoi mantenere la pace e la concor­dia con gli altri, è necessario che tu impari a vincere te stesso in molte cose. 2Non è cosa da poco vivere in un mona­stero o in una comunità, rimanervi senza lagnanze e perseverare fedelmente sino alla morte. 3Beato colui che avrà saputo viverci bene e terminare felicemente i suoi giorni. 4Se vuoi starvi come si conviene e progredire nella virtù, considerati esule e pellegrino sulla terra. 5Se vuoi condurre una vera vita religiosa, bisogna che tu diventi stolto per amore di Cristo. 6Poco giovano l’abito e la tonsura: sono il cambiamen­to dei costumi e la totale mortificazione delle passioni, che fanno il vero Religioso. 7Chi altro cerca che non sia puramente Dio e la salvez­za della sua anima, non vi troverà se non tribolazione e dolore. 8E non può a lungo mantenersi nella pace interiore chi non si sforza d’essere il più piccolo di tutti e sottomes­so a tutti. 9Sei venuto nella vita religiosa per ubbidire, non per comandare: sappi che sei stato chiamato alla sofferen­za e alla fatica, non all’ozio e alle chiacchiere. 10Qui, dunque, si provano gli uomini, come l’oro nel filoco. 11Qui, nessuno può stare a lungo, se non avrà accettato di umiliarsi con tutto il cuore per amore di Dio.

Note al Capitolo 17° 6“Poco giovano l’abito e la tonsura..” E’ famoso il proverbio, che spes­so viene citato a sproposito: “L’abito non fa il monaco”, nel senso che il monaco può fare a meno dell’abito. Il vero monaco, invece, ama il suo abito come segno esterno della sua consacrazione, anche se questa non sta nell’abito. La “tonsura ” è la cosiddetta “chierica”, che una volta, appun­to come segno esterno della loro consacrazione, monaci, religiosi e sacer­doti portavano. “Chierica” sottindende “tosatura” o “tonsura”: “tosatu­ra rotonda” sul capo come segno dell’appartenenza alla classe sacerdota­le o ad un Ordine religioso, per distinguersi dai semplici fedeli. Chierica deriva da clericus; clero deriva dal Greco “cleros” (sorte, eredità).

Capitolo diciottesimo

GLI ESEMPI DEI SANTI PADRI

 1Volgi il pensiero ai luminosi esempi dei Santi Padri, nei quali rifulse la vera per­fezione dello spirito religioso, e vedrai quanto poco, e quasi nulla, è quello che noi facciamo. 2Ahimè! Che vale la nostra vita, se la si paragona alla loro? 3Santi ed amici di Cristo hanno servito il Signore nella fame e nella sete, nel freddo e nella nudità, nel lavoro e nella fatica, nelle veglie e nei digiuni, in innumerevoli persecuzioni ed obbrobri. 4Quante e quanto dure tribolazioni soffrirono gli Apostoli, i Martiri, i Confessori, le Vergini e gli altri tutti che hanno voluto seguire le orme di Cristo! 5lnfatti, essi odiarono la loro vita in questo mondo, per poterla possedere nella vita eterna. 6Che vita di austerità e di sacrificio hanno vissuto i Santi Padri nel deserto! Che lunghe e gravi tentazioni sostennero! 7Quanto spesso furono tormentati dal Maligno! Quanto frequenti e fervorose preghiere porsero a Dio! 8Che rigorose astinenze praticarono! Quanto zelo e fer­vore ebbero per il loro profitto spirituale! 9Che dura guerra combatterono, per domare le loro pas­sioni! Come diressero, pura e retta, l’intenzione a Dio! 10Di giorno lavoravano e di notte si davano ad ininter­rotte preghiere, sebbene, anche lavorando, non cessas­sero di pregare in ispirito. 11Spendevano utilmente tutto il loro tempo. 12Ogni ora dedicata a Dio sembrava loro corta. 13E, per la grande dolcezza della contemplazione, dimenticavano perfino la necessità di ristorare il corpo. 14Rinunziavano a tutte le ricchezze, alle cariche, agli amici, ai congiunti; nulla volevano avere dal mondo. 15Prendevano appena l’indispensabile alla vita; si ram­maricavano di dover dare qualcosa al corpo, pur nella necessità. 16Erano, perciò, poveri di beni terreni, ma ricchissimi di grazia e virtù. 17All’esterno pativano indigenza, ma interiormente erano ristorati dalla grazia e dalla consolazione divina. 18Erano stranieri per il mondo, ma vicinissimi a Dio e suoi intimi amici. 19Ritenevano se stessi come un nulla, ed il mondo li disprezzava; ma agli occhi di Dio erano preziosi e cari. 20Si mantenevano nella vera umiltà, vivevano nella sem­plice obbedienza, camminavano nella carità e nella pazienza; e quindi, ogni giorno progredivano nello spi­rito e guadagnavano grandi meriti presso Dio. 21Sono stati proposti come esempio a tutti i Religiosi; e ci devono incitare alla perfezione più che non ci porti alla rilassatezza la massa dei tiepidi. 22Oh, quanto è stato il fervore di tutti i Rèligiosi all’ini­zio della loro santa Fondazione! 23Quanta devozione nella preghiera! quanta emulazione nella virtù! quanta severità nella disciplina! quanta riverenza ed obbedienza fiorirono in tutti sotto la guida del Superiore! 24Le memorie, che tuttora ne rimangono, testimoniano che veramente santi e perfetti furono quegli uomini, che, combattendo tanto strenuamente, si sono posti il mondo sotto i piedi. 25Ora, invece, si considera grande chi non trasgredisce la Regola e chi sia riuscito a sopportare con pazienza il peso che si è imposto. 26O tiepidezza, o negligenza della nostra condizione, per cui così in fretta ripieghiamo dal primitivo fervore! E perfino la vita ci è gravosa, per stanchezza e intiepi­dimento! 27Voglia il Cielo che non s’addormenti del tutto l’aspi­razione alle virtù in te, che hai veduto così spesso tanti esempi d’anime devote!

Note al Capitolo 18° 1“Volgi il pensiero ai luminosi esempi dei Santi Padri…”. I monaci del Medio Evo conservavano vivo il ricordo degli Apostoli, di quelli che chia­miamo Padri Apostolici, dei Martiri e soprattutto degli antichi Padri del deserto, che diedero inizio alla vita consacrata. Il loro ricordo e i loro esempi, forse, sono tuttora più vivi nell’Oriente cristiano che non nell’Occidente, a motivo del risveglio del paganesimo che ne ha soffoca­to da noi il ricordo, anche con la scusa che molti episodi sono leggendari e altri non praticabili ai nostri giorni. l’ideale dei Martiri e di questi Santi Padri era di ricambiare l’amore di Cristo, che ha dato la vita per noi, con una donazione totale di se stessi. 5“Essi odiarono la loro vita in questo mondo…”. Il verbo “odiare” ha un sapore semitico, come quando nel Vangelo Gesù dice di “odiare” i propri cari. Si deve interpretare nel senso di “dare la preferenza” alla vita eterna, piuttosto che alla vita effimera di questo mondo. 22“Oh, quanto é stato il fervore di tutti i Religiosi all’inizio della loro santa Fondazione!”. I fondatori e i primi membri di Ordini e Congregazioni religiose godono sempre di carismi particolari, e a loro bisogna sempre ispirarsi per rimanere fedeli a Dio e alla Chiesa.

Capitolo diciannovesimo

LE PRATICHE DEL BUON RELIGIOSO

1La vita del buon Religioso dev’essere salda in ogni genere di virtù, cosicché egli sia interiormente tale, quale appare agli uomini esteriormente. 2Anzi, dev’essere, a buon diritto, molto più perfetto dentro, di quello che si vede di fuori, per­ché chi ci osserva nell’interno è Dio, al quale, dovun­que ci troviamo, dobbiamo la massima riverenza, cam­minando al suo cospetto puri come Angeli. 3Ogni giorno dobbiamo rinnovare i nostri propositi ed eccitare in noi il fervore religioso, come se ogni giorno fosse il primo della nostra conversione, dicendo: 4‘Aiutami, Signore Iddio, in questo buon proponimento e nel tuo santo servizio, e concedimi che proprio oggi incominci davvero, poiché quello che ho fatto sin qui è nulla”. 5L’avanzamento nel nostro progresso spirituale è pro­porzionato ai nostri propositi; e chi vuole progredire nel bene ha bisogno di molta applicazione. 6Se chi prende forti risoluzioni spesso viene meno, che sarà di chi ne prende solo raramente o con poca fer­mezza? 7In diversi modi, tuttavia, succede che abbandoniamo i nostri propositi: anche una lieve omissione nelle prati­che di pietà è difficile che passi per noi senza qualche scapito per lo spirito. 8I giusti fondano i loro proponimenti non già sulla pro­pria saggezza, ma sulla grazia di Dio, ed in Lui sempre confidano, qualunque cosa intraprendano. 9lnfatti, l’uomo propone, ma Dio dispone; e non e in potere dell’uomo la propria via” (Ger 10,23). 10Se, per un’opera di misericordia o nell’intento di gio­vare ai fratelli, talvolta viene tralasciata una pratica di pietà consueta, sarà facile poi riprenderla. 11Ma, se si tralascia alla leggera per noia o per negli­genza, allora è colpa più o meno grave e ne risentiremo danno. 12Per quanto sia grande il nostro sforzo, mancheremo in molte cose, almeno leggermente. 13Il nostro proponimento, però, deve mirare sempre ad un obiettivo determinato e, in modo particolare, deve puntare su quei difetti che ci sono di maggiore ostaco­lo spirituale. 14Dobbiamo parimenti esaminare e regolare l’esterno e l’interno di noi stessi, giacché l’uno e l’altro contribui­scono al nostro perfezionamento. 15Se non riesci a vivere in ininterrotto raccoglimento, rientra in te stesso di tanto in tanto; se non altro, una volta al giorno, cioè il mattino o la sera. 16Il mattino, fa’ i tuoi propositi; la sera, esamina la tua condotta: quali sono stati nella giornata i discorsi, le azioni, i pensieri, perché forse troverai piuttosto spesso d’aver offeso in ciò Dio ed il prossimo. 17Agguerrisciti, da uomo valoroso, contro le malizie del diavolo: frena la gola, e così frenerai più facilmente ogni altro istinto carnale. 18Non stare mai del tutto in ozio, ma leggi o scrivi, prega o medita o fa’ qualcosa che sia utile alla comu­nità. 19Quanto alle mortificazioni corporali, esse sono da farsi con discrezione e non in modo uguale per tutti. 20Non si devono fare in pubblico le pratiche personali che non sono comuni anche agli altri, perché queste si compiono meglio in segreto. 21Devi, però, guardarti dalla pigrizia nelle pratiche comuni e dalla troppa sollecitudine nelle tue pratiche particolari. 22Ma, compiuto integralmente e fedelmente ciò che è doveroso e comandato, se t’avanza tempo, applicati pure a te stesso, secondo che t’ispira la tua devozione. 23Non tutti possono dedicarsi alla medesima pratica, ma all’uno serve meglio l’una, all’altro l’altra. 24lnoltre, piacciono pie pratiche diverse secondo le esi­genze del tempo: alcune si gustano di più nei giorni festivi, altre nei giorni feriali. 25Di alcune di esse abbiamo più bisogno nel momento della tentazione, di altre in tempo di tranquillità e sere­nità. 26Ci piace ricorrere a certe prafiche, quando siamo tri­sti; a certe altre ci piace ricorrere, quando siamo lieti nel Signore. 27All’avvicinarsi delle principali solennità, si devono ravvivare le pie pratiche e bisogna implorare con più intenso fervore l’intercessione dei Santi. 28Da una solennità all’altra dobbiamo insistere nei nostri proponimenti, come se stessimo per partire allo­ra da questo mondo e giungere alla festa eterna. 29Perciò appunto, nei periodi di speciale religiosità dob­biamo prepararci con grande cura a vivere con più devozione e ad osservare con più rigore ogni regola, come se fossimo alla vigilia di ricevere da Dio il pre­mio delle nostre fatiche. 30E se questo premio ci verrà differito, dobbiamo far conto di non esservi ancora ben preparati e d’essere ancora indegni di tanta gloria “che dovrà essere rivela­ta in noi” (Rm 8,18) nel tempo prestabilito; e cerchia­mo di prepararci meglio al nostro transito. 31“Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli… Beato quel servo che il padrone, arri­vando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo met­terà a capo di tutti i suoi averi” (Lc 12,37.43.44).

Note al Capitolo 19° 5“L’avanzamento nel nostro progresso spirituale è proporzionato ai nostri propositi…”. Quando ci si mette in viaggio, è necessario proporci una mèta. Mèta e premio del nostro cammino spirituale è Cristo stesso. Per raggiungerLo, dobbiamo rivestirci di Lui, delle sue virtù che trovano nella “fortezza” la loro energia. La fortezza è una virtù “cardinale” (da “cardini”, che sostengono porte e finestre) ed ha il suo fondamento nella volontà, sorretta dalla grazia divina. 19Quanto alle mortificazioni corporali, esse sono da farsi con discre­zione e non in modo uguale per tutti”. Digiuni e mortificazioni corporali sono sempre stati praticati nella Chiesa e trovano il loro fondamento nel Vangelo e in S. Paolo. Ma ai nostri giorni, pur comprendendo il valore del sacrificio per un vantaggio fisico o materiale (per es. il digiuno per calar di peso, o gli allenamenti fisici per vincere una competizione sportiva), non si vuole comprendere l’importanza della mortificazione per rafforza­re la volontà contro il peccato. 20“Non si devono fare in pubblico le pratiche personali che non sono comuni anche agli altri…”. Vi sono pratiche di pietà comunitarie, che devono avere la precedenza sulle altre, specialmente la preghiera liturgi­ca, cioè quella ufficiale della Chiesa; ma, secondo le proprie possibilità, ognuno può aggiungere qualche cosa alle pratiche previste dalla liturgia. Non si deve fare come quelli che trascurano la Messa festiva e vanno ad accendere un lumino davanti ad un’immagine sacra!

L’IMITAZIONE DI CRISTO 4ultima modifica: 2010-08-07T13:45:00+02:00da meneziade
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