Il processo a Gesù Cristo 1

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A – Il processo a Gesù Cristo: dal mito alla storia.

Prenderemo in considerazione l’episodio dell’arresto di Gesù e del processo a cui sarebbe stato sottoposto da parte delle autorità ebraiche. Analizzando i testi si notano subito quelle differenze che li hanno fatti classificare in due gruppi principali: il gruppo dei VANGELI SINOTTICI (i tre testi secondo Matteo, Marco e Luca) e il QUARTO VANGELO (detto “secondo Giovanni”).

Quali sono le differenze principali? Innanzitutto dobbiamo notare che i Vangeli sinottici sono unanimi nel descrivere un processo contro Gesù, voluto ed eseguito dagli ebrei, con tanto di quadro accusatorio, di testimoni e di sentenza finale: una condanna a morte per avere commesso il reato di blasfemia, cioè per avere bestemmiato dichiarandosi pubblicamente “figlio di Dio”. Su questo fatto sarebbero possibili molte consistenti obiezioni, abbastanza da spingere uno studioso tedesco, Weddig Fricke (autore di “Il caso Gesù”, pubblicato in Italia da Rusconi Editore), a riempire un intero grosso volume di consistenti osservazioni tendenti a mostrare come, secondo la legge ebraica del tempo, non fosse assolutamente possibile eseguire un processo in quelle condizioni. Vediamo alcuni particolari importanti:

1 – i processi non potevano essere svolti in una abitazione privata, ma nell’area del tempio detta “Beth Din“,

2 – i processi non potevano essere svolti di notte,

3 – i processi non potevano essere svolti nella vigilia di una festa,

4 – la sentenze non poteva essere pronunciata sulla base di una confessione estorta,

5 – la sentenza di morte non poteva essere pronunciata se non erano passate almeno 24 ore dall’interrogatorio.

A tutto questo si deve aggiungere il fatto che il capo d’accusa che avrebbe portato alla sentenza fatale non costituiva un reato di blasfemia, e tanto meno avrebbe potuto portare alla pena capitale. La ragione è che l’espressione “figlio di Dio” era comune e poteva indicare la semplice persona umana: tutti gli ebrei, secondo la Torah, erano figli di Dio; tutt’al più quel titolo poteva indicare un individuo molto devoto o una persona che era stata iniziata ad una condizione di santità e aveva preso certi voti religiosi, come i cosiddetti “nazirei”; molte espressioni ebraiche suonano in termini come “figlio della Verità”, per riferirsi ad un uomo particolarmente onesto, “figlio della Luce”, per riferirsi ad un uomo provvisto di illuminazione spirituale, “figlio delle Tenebre”, per esprimere il contrario, ecc…

Questi ed una infinità di altri fattori pongono in serissimo dubbio il fatto che gli evangelisti sinottici, nel presentare la loro versione del presunto processo, abbiamo testimoniato una verità storica e non, piuttosto, una versione finalizzata a difendere determinati presupposti di carattere dottrinario, ideologico e, perché no, di carattere politico.

Un colpo definitivo alla verosimiglianza storica della presentazione sinottica è dato dalla versione dei fatti offerta dall’altro evangelista, Giovanni; presentiamo sistematicamente le differenze:

1s – i sinottici dicono che al momento dell’arresto era intervenuta una accozzaglia di persone non ben identificate mandate dalle guardie del sommo sacerdote, e non fanno cenno all’identità di colui che aveva tentato una resistenza armata.

1g – Giovanni dice che si trattava di una “cohors” di soldati comandati da un “tribunus”, ovverosia un corpo militare romano di 600 uomini (…!!!…), e dice chiaramente che un tentativo di resistenza fu effettuato da Pietro, il quale aveva per l’occasione una spada pronta, con la quale recise di netto l’orecchio di una delle guardie del sommo sacerdote. Da questi fatti noi possiamo facilmente capire che l’intervento era stato espressamente voluto da Ponzio Pilato, altrimenti la guarnigione di seicento soldati non si sarebbe mossa, in piena notte, semplicemente per catturare un predicatore un po’ fuori dal comune, la cui colpa, tra l’altro, sarebbe stata quella di avere bestemmiato il Dio degli ebrei.

2s – I sinottici dicono che Gesù, appena arrestato, fu immediatamente portato, notte tempo, nella casa del sommo sacerdote Caifa.

2g – Giovanni dice che Gesù, appena arrestato, fu portato in casa di Anna, suocero del sommo sacerdote Caifa.

3s – I sinottici dicono che Gesù, in casa di Caifa fu sottoposto ad un processo ma, chiuso nel mutismo, non volle aprire bocca né rispondere a nessuna domanda, eccezion fatta per una secca affermazione nel momento in cui gli venne chiesto se era il “figlio di Dio”, a questo punto il processo si sarebbe brevemente concluso con la sentenza capitale.

3g – secondo Giovanni di fronte agli ebrei non ci sarebbe stato alcun processo, Gesù avrebbe risposto alle domande informali che gli venivano rivolte e avrebbe preso addirittura parte ad una discussione ma, naturalmente, visto che non era in corso un procedimento giudiziario ufficiale, non sarebbe stata pronunciata nessuna sentenza. La situazione appare semplicemente come una anticamera della successiva consegna nelle mani del prefetto Ponzio Pilato, la qual cosa confermerebbe che tutta l’operazione non era stata concepita e voluta dagli ebrei, ma dai romani, in eventuale accordo con i sacerdoti.

B – La condanna a morte: una responsabilità ebraica o romana?

Che cosa abbiamo evidenziato per ora? Due cose principali: la prima è il fatto che i Vangeli sinottici sembrano decisi a voler far apparire tutta l’azione contro Gesù (arresto, processo, condanna…) come una precisa volontà degli ebrei. Ciò nondimeno, avendo rappresentato un processo ed una condanna palesemente irregolari, ed avendo operato alcune censure su particolari di grande significato, che invece Giovanni racconta liberamente, insinuano gravemente il sospetto che la loro versione modifichi intenzionalmente la sostanza degli eventi perché deve, in qualche modo, rispettare dei presupposti che non tarderemo ad individuare; per esempio quello che gli ebrei devono apparire colpevoli di ostilità contro Gesù, mentre i romani devono esserne scagionati. La seconda cosa è l’indizio che l’azione contro Gesù fosse voluta e realizzata sostanzialmente dai romani.

Basta riflettere sul modo in cui abitualmente venivano trattati i bestemmiatori ebrei: venivano forse catturati dai soldati romani? venivano forse consegnati al prefetto Pilato perché li processasse con procedura romana? venivano forse frustati dai romani e poi crocifissi? Niente di tutto questo. I bestemmiatori, riconosciuti come tali dopo un regolare procedimento davanti alle autorità ebraiche, venivano lapidati e ai romani di queste beghe giudaiche non importava assolutamente nulla.

A fugare ogni dubbio interviene un’osservazione che è scaturita allorché sono state cercate nei quattro Vangeli concordanze o discordanze di testo relative alle presentazioni dei processi che Gesù avrebbe subito, prima di fronte agli ebrei e poi di fronte ai romani. Si osservi bene che cosa ha scoperto casualmente il computer confrontando la versione secondo Matteo del processo davanti agli ebrei (quello che si sarebbe svolto in casa di Caifa) con la versione secondo Marco del processo davanti ai romani (quello che sarebbe stato condotto da Pilato):

G = PROCESSO GIUDAICO – Matteo (Mt XXVI, 62-64)

R = PROCESSO ROMANO – Marco (Mc XIV, 4-5, 2)

G – Allora il sommo sacerdote gli disse:

R – Pilato lo interrogò di nuovo:

G – Non rispondi nulla?

R – Non rispondi nulla?

G – Che cosa testimoniano costoro contro di te? –

R – Vedi di quante cose ti accusano? –

G – Ma Gesù taceva…

R – Ma Gesù non rispose…

G – Allora il sommo sacerdote gli disse:

R – Allora Pilato prese ad interrogarlo:

G – …sei tu il Cristo? –

R – Sei tu il re dei Giudei? –

G – Gli rispose Gesù: – Tu l’hai detto –

R – Ed egli rispose: – Tu lo dici –

Non c’è più ombra di dubbio, il processo giudaico è strutturato come una copia del processo romano: sarebbero state pronunciate le stesse parole, le stesse battute, in palese contrasto con quello che racconta il quarto evangelista secondo il quale, l’abbiamo già detto, di fronte al sommo sacerdote non ci sarebbe stato alcun processo. Insomma, la fonte sinottica mostra l’esigenza di far credere che coloro i quali hanno deciso la condanna di Gesù erano gli ebrei e non i romani, ed è per questo che fa precedere il processo svoltosi di fronte al prefetto Ponzio Pilato (un evento che probabilmente appartiene alla storia) un processo svoltosi in casa del sommo sacerdote (un evento che probabilmente appartiene solo alla fantasia di chi lo ha inventato). Tutto questo ci dà una indicazione: la tradizione sinottica parte dalla precisa esigenza di trasformare la responsabilità romana in una responsabilità ebraica, forse perché la responsabilità romana avrebbe avuto implicazioni di carattere politico che non potevano assolutamente essere tollerate.

C – Il figlio di Dio: alias…Gesù Barabba.

[Un capitolo che pochi capiranno, ma soprattutto perché non ne vorranno sapere di capirlo!]

Prendiamo ancora in considerazione il motivo che, nella versione sinottica, avrebbe portato Gesù ad una condanna a morte: il fatto di essersi dichiarato “figlio di Dio”, la qual cosa, a questo punto, si macchia molto pesantemente del sospetto che si tratti, in realtà, di un semplice pretesto funzionale alla operazione di trasferimento della responsabilità dai romani agli ebrei. Anche qui possiamo riconoscere l’esistenza di una censura da parte degli evangelisti e, in seguito, di una precisa omertà consistente nell’avere nascosto certe importanti caratteristiche del prigioniero che sarebbe stato liberato al posto di Gesù e che noi conosciamo col nome Barabba.

In pratica adesso ci domandiamo quali saranno state, nell’idioma aramaico che era parlato in Palestina a quel tempo, le parole usate dal sommo sacerdote per chiedere a Gesù se egli fosse il “figlio di Dio”, al fine di poterlo definitivamente incastrare ed accusare di bestemmia (naturalmente secondo la versione sinottica).

Ora tutti sanno che presso gli ebrei il nome di Dio è tabù, nessuno può pronunciare la parola Yahwèh, pertanto, ogni qual volta fosse necessario rivolgersi o riferirsi a Dio, erano usati termini sostitutivi come Adonai, Eloah, Altissimo, Signore, Padre, ecc… Proprio quest’ultimo termine, Padre (che in ebraico si dice Abba), era quello usato da Gesù e comunemente riportato nei testi evangelici. Basta osservare queste frasi: “…e diceva: – Abbà, Padre, tutto è possibile a te…”, “…quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi…”, “…il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati…”. Esempi del genere sono numerosi nei Vangeli. Ebbene, per dire “figlio di Dio” sia Gesù che il sacerdote hanno usato i termini “figlio del Padre”, espressione che in latino si è conservata nella consuetudine come “filius Patri” mentre in aramaico è resa dalle parole bar, per dire “figlio”, e Abba, per dire “Padre”, ovverosia dall’espressione bar Abba; la quale suona come un’unica parola tutta attaccata: barabba, (esistono casi simili: Barnaba, che significa figlio del maestro, Bartolomeo, che significa figlio di Tolomeo, ecc…). Praticamente, tutta l’espressione che noi conosciamo come “Gesù, figlio di Dio”, diventa in aramaico: Jeshu barabba.

Sono convinto che qualunque lettore, a questo punto, sia abbastanza sorpreso nel venire a conoscere una tale coincidenza. Sto parlando, naturalmente, della coincidenza fra l’espressione “figlio di Dio”, così come essa suona in aramaico, e il nome di quel prigioniero che sarebbe stato liberato al posto di Gesù. Tanto più che il termine Barabba, a quanto dicono gli stessi Vangeli (“…o leghomenos Barabbas…”), non era il suo nome, ma un soprannome. Che significa? Che anche lui era un “figlio di Dio”? Ma quanti figli di Dio c’erano in quella circostanza?

E qual’era dunque il suo vero nome? Per rispondere a questa domanda basti sapere che alcuni manoscritti del Vangelo di Matteo, risalenti al quarto secolo, riportano questo fortunato personaggio non solo col soprannome Barabba ma anche col nome proprio, e cioè Iesous Barabbas.

In pratica l’autore del testo (che come sappiamo scriveva in greco) non ha fatto altro che trascrivere nei caratteri dell’alfabeto greco l’espressione aramaicaJeshu barabba, che sta per Gesù, figlio di Dio [se qualcuno non ci crede può andare alla Biblioteca Nazionale di Firenze, può prendere in consultazione il Novum Testamentum Graece et Latine, redatto a cura di Augustinus Merk e pubblicato nel 1933 dall’Istituto Biblico Pontificio, e noterà che alla pagina 101 la frase, che noi normalmente conosciamo così: “avevano in quel tempo un prigioniero famoso detto Barabba”, è riportata così: “avevano in quel tempo un prigioniero famoso, Gesù Barabba” (vedi figura qui sopra)].

Perchè nelle traduzioni effettuate dal quarto secolo in poi si è preferito lasciare anonimo Barabba, anzi, si è lasciato credere che questo fosse semplicemente il suo nome proprio? Che razza di diavoleria si nasconde dietro al fatto che, nel corso del processo svoltosi di fronte a Ponzio Pilato, ci sarebbero stati due personaggi di cui uno, Gesù il figlio di Dio (cioè Jeshu barabba), sarebbe stato giustiziato e l’altro, Gesù detto Barabba (cioè esattamente la stessa persona), sarebbe stato scarcerato? Perchè è sempre stato taciuto ai cristiani il fatto che il termine Barabba è l’equivalente aramaico dell’italiano “figlio di Dio”?

Come possiamo notare la questione comincia a riempirsi di clamorosi enigmi. Anche se, fra le tante cose che non riusciamo a capire, ce n’è una che, invece, appare molto chiara: la narrazione evangelica della passione di Cristo è densa di espedienti letterari finalizzati a censurare alcuni importanti aspetti della verità storica sui modi in cui Gesù sarebbe stato arrestato, processato, condannato e giustiziato e, soprattutto, sui motivi per cui tutto ciò sarebbe accaduto.

Non si creda che dietro a quanto abbiamo detto finora ci siano dei giochi di prestigio basati sulle parole perché se di tali trucchi ce ne sono non siamo stati noi a farne, ma coloro che il testo evangelico hanno redatto e che, magari, lo hanno ritoccato successivamente.

Il processo a Gesù Cristo 1ultima modifica: 2010-10-27T18:26:00+02:00da meneziade
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