Vangelo di Gesù Cristo secondo MATTEO 5

3908773969_6ceb19023a.jpgCapitolo ottavo

1 Quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva. 2 Ed ecco venire un lebbroso e prostrarsi a lui

dicendo: “Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi”. 3 E Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: “Lo voglio, sii

sanato”. E subito la sua lebbra scomparve. 4 Poi Gesù gli disse: “Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va’ a

mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro”.

I cap. 5-7 ci hanno riferito gli insegnamenti di Gesù; i cap. 8-9 ci riferiscono le sue opere meravigliose. Nel

discorso della montagna Gesù ci ha insegnato che non basta ascoltare la sua parola, ma bisogna soprattutto

fare i fatti. E ora Gesù ci dà l’esempio facendo i fatti. Il messaggio che ha appena finito di esprimere con le

parole, ora lo esprime con le opere. Gesù è il Messia della parola e dell’azione.

Secondo Matteo il primo miracolo di Gesù fu per un lebbroso, il secondo per un pagano, il terzo per una

donna. Il lebbroso era uno scomunicato, il pagano era considerato un cane o un porco, la donna non aveva

alcuna considerazione. Essi sono i rappresentanti di tutte le vittime dei pregiudizi umani.

Guarire dalla lebbra era quasi come risuscitare dalla morte. Il lebbroso, credendo che Gesù ha la capacità di

guarirlo, dà prova di una grande fede.

Secondo la legislazione ebraica, il sacerdote aveva il compito di dichiarare immondo chi era colpito dalla

lebbra e di riconoscere, eventualmente, la sua avvenuta guarigione perché potesse ritornare a vivere tra la

sua gente (Lv 14).

L’espressione “a testimonianza per loro” forse ha un senso apologetico: vedete che Gesù osserva la Legge.

Matteo ha posto il racconto della guarigione del lebbroso qui al primo posto, subito dopo il discorso della

montagna, per la sua connessione con la Legge. Gesù ha annunciato il compimento della Legge e non la

sua abolizione (Mt 5,17ss).

5 Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: 6 “Signore, il mio servo giace in

casa paralizzato e soffre terribilmente”. 7 Gesù gli rispose: “Io verrò e lo curerò”. 8 Ma il centurione riprese:

“Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. 9

Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro;

Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”.

10 All’udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: “In verità vi dico, presso nessuno in

Israele ho trovato una fede così grande. 11 Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e

sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, 12 mentre i figli del regno saranno

cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti”. 13 E Gesù disse al centurione: «Và, e sia fatto

secondo la tua fede». In quell’istante il servo guarì.

Il centurione era il comandante di una centuria, di un gruppo di cento soldati. Egli non chiede nulla per sé,

ma prega Gesù per il suo servo gravemente ammalato. Gesù manifesta tutta la sua disponibilità: “Io verrò e

lo curerò” (v. 7). Ma il centurione dichiara di non essere degno di ricevere Gesù in casa propria ed è convinto

che non occorre che il Signore vada da lui perché lo ritiene capace di comandare anche a distanza sulle

potenze del male.

Il centurione è un pagano che crede senza esitazione nel potere della parola di Dio. E la fede nella parola di

Dio permette al Signore di agire in noi.

Il miracolo è un segno dell’amore di Dio che interviene a nostro favore, perché è infinitamente sensibile al

nostro male. Egli vuole donarci tutto e soprattutto se stesso. Aspetta solo che glielo chiediamo con fede.

La grande fede del centurione rende manifesta la mancanza di fede in Israele. La semplice appartenenza

anagrafica al popolo di Dio non dà a nessuno la certezza di essere salvato: a tutti è richiesta la fede che si

manifesta nelle opere.

L’incontro con il centurione offre a Gesù l’occasione per annunciare l’entrata di tutti i popoli nel regno di Dio.

I pagani prenderanno posto alla tavola dei patriarchi nel regno dei cieli.

La Chiesa è costituita da coloro che credono nella parola di Dio e la mettono in pratica. Nel regno di Dio

entreranno solo i figli, ossia quelli che sono stati rigenerati “dalla parola di Dio viva ed eterna” (1Pt 1,23),

dalla parola del vangelo. Il futuro eterno lo si prepara giorno per giorno accogliendo o rifiutando la parola di

Gesù. La nostra libertà si esprime pienamente nella fede o nella mancanza di fede, nel nostro acconsentire

alla comunione con Dio o nel rifiutarla.

Solo con il detto minaccioso del v. 12 la provocazione raggiunge il suo culmine. E’ colpita la generazione dei

giudei contemporanea di Matteo, il giudaismo guidato dai farisei. La causa della sua esclusione è il rifiuto

della parola di Gesù, che è decisiva ai fini della salvezza. Le tenebre significano il luogo più lontano da

Cristo, che è la luce (cf. Mt 416) e la salvezza. Il pianto e lo stridore di denti indica il furore smisurato (cf. Sal

3516; 3712; 112,10).

La frase conclusiva del v. 13 ritorna a parlare del servo malato. La precisazione “in quell’istante” significa

che la guarigione è avvenuta nel momento in cui Gesù ha pronunciato la sua parola.

In questo brano compare all’orizzonte il pellegrinaggio di tutti i popoli che affluiranno alla casa del Signore, e

l’annuncio finale del vangelo di Matteo: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni” (28,19).

14 Entrato Gesù nella casa di Pietro, vide la suocera di lui che giaceva a letto con la febbre. 15 Le toccò la

mano e la febbre scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo.

16 Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i

malati, 17 perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

Egli ha preso le nostre infermità

e si è addossato le nostre malattie.

I tre miracoli di guarigione del lebbroso, del servo del centurione e della suocera di Pietro ci devono far

capire l’importanza della salute fisica. Gesù non si prende cura solo dell’anima dell’uomo, ma di tutto l’uomo,

corpo e anima. Ogni malattia e miseria dell’uomo è così importante da meritare tutta l’attenzione e la

premura di Gesù. Tale dev’essere anche l’atteggiamento dei suoi discepoli.

Il racconto della guarigione della suocera di Pietro ci insegna quale dev’essere la reazione di ogni credente

quando viene raggiunto dalla forza di salvezza del Cristo: mettersi al suo servizio per sempre. La suocera di

Pietro è guarita per servire Gesù.

Accanto alle pie donne (Mt 27,55), la suocera di Pietro è il simbolo del vero servo di Cristo. Anche se rimane

ad accudire alle faccende casalinghe, ella è alle dipendenze del Signore. Ogni cristiano deve passare dalla

guarigione-liberazione battesimale al perfetto e pieno servizio di Cristo.

Con un resoconto sommario e una citazione di Isaia, Matteo riassume i tre racconti di miracoli. La citazione

di Is 53,4 ha lo scopo di svelarci il significato profondo dei gesti di Gesù. Le guarigioni operate da lui sono il

segno che è arrivato il tempo della salvezza: è arrivato il Servo di Iahvè che prende su di sé le nostre

infermità e si addossa le nostre malattie.

18 Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all’altra riva. 19 Allora uno scriba si avvicinò e

gli disse: “Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai”. 20 Gli rispose Gesù: “Le volpi hanno le loro tane e gli

uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.

21 E un altro dei discepoli gli disse: “Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre”. 22 Ma Gesù

gli rispose: “Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”.

I capitoli 8 e 9 non contengono solo racconti di miracoli. Questo brano racconta due episodi di persone che

vogliono seguire Gesù.

Diventare discepolo di Gesù non è semplicemente accettare una dottrina: è condividere il suo destino, è

lasciare tutto e tutti per seguire lui. Il discepolo chiamato da Gesù deve abbandonare “subito” (Mt 4,19.22)

ogni cosa, anche la famiglia.

L’essere senza casa e senza fissa dimora non è per Gesù un ideale filosofico paragonabile a quello di

Diogene, che non aveva una casa, ma passava le notti a Corinto all’aperto. La mancanza di dimora da parte

di Cristo ha la sua spiegazione nella letteratura sapienziale. La sapienza non dimora presso gli uomini,

perché viene respinta. Essa offre il suo consiglio agli uomini ed esso viene disprezzato (cf Pr 1,20ss; Gb

28,21; Bar 4,20ss). Il motivo della mancanza di dimora di Gesù non va cercato in un ideale ascetico, ma

nella ostilità e nel disprezzo degli uomini (cf Mt 11,19).

La chiamata di Gesù non ammette dilazioni o condizioni. La scelta di Cristo fa passare in second’ordine

anche le cose più sacre come il funerale del proprio padre. Il Dio vivo è più importante del padre morto.

Il termine morti ha qui due significati. Da un lato significa i morti fisicamente, dall’altro i morti spiritualmente, i

quali sono morti perché respingono il messaggio di Gesù.

Matteo ricorda episodi della vita di Gesù, ma guarda anche all’interno della comunità cristiana dove la

superficialità, la ricerca di sicurezza e gli agi rischiano di compromettere l’ideale cristiano. Troppe “attività

funerarie” distraggono e distolgono dall’impegno principale: l’annuncio del regno di Dio. Luca lo dice

esplicitamente: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio” (Lc 9,60).

23 Essendo poi salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. 24 Ed ecco scatenarsi nel mare una

tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva. 25 Allora, accostatisi a lui, lo

svegliarono dicendo: “Salvaci, Signore, siamo perduti!”. 26 Ed egli disse loro: “Perché avete paura, uomini di

poca fede?” Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia. 27 I presenti furono presi

da stupore e dicevano: “Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?”.

Il diventare discepoli conduce alla piena comunione e alla piena condivisione di vita con Cristo e con i fratelli

nella Chiesa: si monta sulla stessa barca. Per affrontare il viaggio della vita cristiana ci vuole tanto coraggio:

solo la fede ci fa vincere la paura. La Chiesa attinge la sua fiducia nel Cristo che è sempre con i suoi (Mt

28,20) nella stessa barca e condivide la loro sorte.

Il sonno di Gesù non indica stanchezza, ma tranquillità, piena consapevolezza di sé e fiducia nelle proprie

capacità. La tempesta, come il cataclisma che accompagna la morte di Gesù (Mt 27,54) e il terremoto che

scuote la sua tomba (Mt 28,2), rappresentano sempre una stessa ondata di forze apparentemente avverse

all’uomo, ma che in realtà cooperano all’attuazione del progetto di Dio.

L’agitazione dei discepoli è una reazione normale. Ma l’evangelista sposta l’attenzione dalla barca che sta

naufragando sulle acque del lago alla Chiesa che avanza sul mare della storia ed è in preda ad altre simili

burrasche nel suo interno e al suo esterno. L’invocazione che egli mette in bocca ai discepoli: “Salvaci,

Signore, siamo perduti!” (v. 25).è la preghiera che la Chiesa ripete nei momenti di calamità, cioè sempre.

I discepoli si sentono perduti e non trovano altra via d’uscita che rivolgersi al Signore che è lì presente in

mezzo a loro. I discepoli hanno la fede, diversamente non si sarebbero rivolti a Gesù, ma la loro è una fede

ancora insufficiente. La fede di chi ha paura è una fede molto vacillante. La fede vera scaccia la paura

perché riempie di Dio tutto l’uomo. Essa, infatti, è accogliere Dio nella propria vita.

L’episodio della tempesta sedata ci aiuta ulteriormente a capire cosa significhi essere discepoli di Gesù. Al

centro del racconto sta il rimprovero di Gesù: “Perché avete paura, uomini di poca fede?”. C’è la poca fede

di chi non ha il coraggio di lasciare tutto e tutti per seguire Gesù. Ma c’è anche la poca fede di chi non si

sente sicuro quando Gesù dorme.

La meraviglia dei discepoli di fronte al miracolo operato da Gesù (“Chi è costui?”) è del tutto comprensibile

perché il dominio sul mare e sulle tempeste è una prerogativa del Dio della creazione e dell’esodo. I

discepoli cominciano a percepire la presenza di Dio in quell’uomo che è lì con loro.

28 Giunto all’altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro;

erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada. 29 Cominciarono a gridare: “Che cosa

abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?”.

30 A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci a pascolare; 31 e i demòni presero a

scongiurarlo dicendo: “Se ci scacci, mandaci in quella mandria”. 32 Egli disse loro: “Andate!”. Ed essi, usciti

dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e

perì nei flutti. 33 I mandriani allora fuggirono ed entrati in città raccontarono ogni cosa e il fatto degli

indemoniati. 34 Tutta la città allora uscì incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro

territorio.

I discepoli, salvati dal pericolo di essere sommersi dalle onde del mare, assistono al miracolo della

liberazione di due indemoniati e alla perdizione dei demoni sommersi nei flutti del mare. La domanda dei

demoni: “Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?” significa che la breve permanenza di Gesù nella

terra dei gadareni è un’anticipazione della vittoria sul maligno che Gesù opererà con la sua morte e

risurrezione.

A differenza dei discepoli che si pongono la domanda sull’identità di Gesù, i demoni lo riconoscono subito

senza esitazione: è il Figlio di Dio. I demoni riconoscono la superiorità di Gesù, Figlio di Dio, e cercano una

resa, la meno disastrosa possibile, chiedendo di poter restare sul territorio nei corpi dei porci. E Gesù disse

loro: “Andate!”.

Ad una lettura superficiale sembra che Gesù venga a patti con i demoni. In realtà questa concessione è un

tranello che nasconde la sconfitta definitiva. Il precipitare della mandria di porci posseduti dai demoni nelle

acque del mare ci richiama l’affondamento del faraone e del suo esercito nel mare (Es 14,28) e la caduta di

satana dal cielo (Ap 12,4).

I demoni, che avevano cercato scampo entrando nei porci, sono precipitati definitivamente nel luogo della

loro perdizione, negli abissi del mare. L’episodio ci insegna che non esiste alcuna possibilità di

compromesso tra Gesù e satana: sono nemici irriducibili.

Gesù, che scaccia i demoni con la potenza della sua parola, resta impotente di fronte agli uomini che non

comprendono il beneficio di liberazione che aveva portato loro. Il miracolo è accolto con disappunto dalla

gente del luogo. Come egli ha cacciato i demoni, così i gadareni cacciano lui. Ciò è comprensibile alla luce

del grave danno che avevano subìto. La perdita di una mandria di porci era una parcella esorbitante, a loro

avviso, in cambio della guarigione di due uomini considerati ormai persi e dei quali non si curavano affatto.

L’espressione “lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio” forse indica la gentilezza e le belle

maniere che i gadareni usarono verso Gesù perché se ne andasse senza reagire e senza provocare danni

maggiori.

Il grido degli indemoniati: “Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del

tempo a tormentarci?” (v. 29) manifestava, sostanzialmente, il pensiero di tutti i gadareni.

1153324651068.jpgCapitolo nono

1 Salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. 2 Ed ecco, gli portarono un paralitico

steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”.

3 Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: “Costui bestemmia”. 4 Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri,

disse: “Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? 5 Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono

rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? 6 Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra

di rimettere i peccati: alzati, disse allora il paralitico, prendi il tuo letto e va’ a casa tua”. 7 Ed egli si alzò e

andò a casa sua. 8 A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere

agli uomini.

All’episodio della liberazione degli indemoniati segue il miracolo del perdono e della guarigione del paralitico.

Matteo tralascia tutti i particolari dell’avvenimento e va subito all’essenziale: la fede. E’ sempre e solo la fede

che conta.

Gesù non ha il potere solo sulle malattie, le forze del creato e i demoni, ma ha anche il potere di perdonare i

peccati. La salvezza consiste nella remissione dei peccati (Mt 1,21; Lc 1,77). E Gesù è il salvatore che

perdona i peccati.

Il peccato è un’offesa a Dio e quindi solo Dio può perdonarlo. Gesù è Dio diventato uomo che perdona qui in

terra i peccati. Lo dice esplicitamente al paralitico: “Ti sono rimessi i tuoi peccati”. Gesù è il figlio dell’uomo al

quale sono stati dati da Dio “il potere, la gloria e il regno” (Dan 7,14). Egli ha sulla terra il potere di rimettere i

peccati.

A giudizio degli scribi Gesù bestemmia perché è un uomo che si arroga il potere di Dio.

La capacità di Gesù di conoscere i loro pensieri è una prerogativa divina. Questa sua capacità conferma che

egli è Dio e quindi ha il potere di perdonare i peccati.

Anche in questa pagina del vangelo si manifesta la bontà misericordiosa di Dio. Le parole di Gesù:

“Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati” danno al peccatore la certezza di essere già perdonato e la

felice sorpresa di essere amato e capito da Dio nell’umiliazione del suo peccato.

A differenza degli scribi, dotti conoscitori della parola di Dio, la gente semplice glorifica Dio che ha dato agli

uomini il suo potere di perdonare i peccati.

Matteo scrive il suo vangelo quando la Chiesa esercitava già da tempo il potere divino di “legare e sciogliere”

(Mt 16-19), il potere di rimettere o di non rimettere i peccati (Gv 20,23).

La remissione dei peccati è riammissione del colpevole nella famiglia di Dio, è accoglienza in casa. Il

comando di Gesù al paralitico: “Alzati, prendi il tuo letto e va’ a casa tua” è rivolto ad ogni uomo perdonato e

guarito perché ritorni alla casa del Padre (cfr Lc 1518).

9 Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse:

“Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì.

10 Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola

con lui e con i discepoli. 11 Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: “Perché il vostro maestro mangia

insieme ai pubblicani e ai peccatori?”. 12 Gesù li udì e disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico,

ma i malati. 13 Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti

non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.

In questo testo Gesù appare come un profeta, un missionario itinerante che passando annuncia la parola di

Dio. La potenza della sua parola si rivela anche nelle trasformazioni che opera interiormente, nel cuore degli

uomini. Questo brano ci insegna quale dev’essere l’atteggiamento, la disponibilità dell’uomo davanti a Cristo.

L’uomo chiamato da Dio, in questo caso, è un appaltatore di imposte, un uomo lontano, per professione, dai

problemi religiosi e malvisto da tutti, evitato come peccatore pubblico e persona di malavita. Gesù, invece, lo

sceglie e lo invita a far parte del gruppo dei suoi discepoli.

La lezione della chiamata di Matteo viene ribadita e convalidata dal banchetto di addio per i suoi amici, in

casa sua; tutta gente della sua categoria e reputazione a cui Gesù si associa volentieri.

La scena del banchetto in casa di Matteo viene turbata dall’intervento dei farisei (v. 11). Ma Gesù giustifica il

suo atteggiamento prima col proverbio:” Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (v. 12),

poi con una citazione biblica: “Misericordia io voglio, e non sacrificio” (Os 6,6).

Gesù si rivolge di preferenza ai peccatori perché hanno più bisogno della sua presenza e assistenza, come i

malati hanno bisogno del medico più dei sani. I peccatori sono degli ammalati, cioè persone moralmente

malferme e infelici, bisognose di cure e di guarigione.

La citazione di Osea 6,6 ripresenta il nucleo centrale della volontà di Dio: la misericordia. La carità, dunque,

ha il primato su tutte le altre leggi. Anzi, Gesù la antepone allo stesso culto di Dio (v.13). Il tempio di Dio è

l’uomo (cf. 1Cor 3,16), non l’edificio di pietra. L’invito di Gesù a lasciare l’offerta davanti all’altare per andare

a ricercare il fratello offeso, ci impartisce lo stesso insegnamento (cf. Mt 5,24).

L’uomo è importante come Dio, con un particolare non trascurabile: che Dio sta bene e può aspettare,

l’uomo sta male e ha bisogno immediato di soccorso.

San Vincenzo de’ Paoli insegnava: “Il servizio dei poveri dev’essere preferito a tutto. Non ci devono essere

ritardi. Se nell’ora dell’orazione avete da portare una medicina o un soccorso al povero, andatevi

tranquillamente. Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l’intenzione dell’orazione. Non dovete preoccuparvi

e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando

si lascia Dio per Dio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero,

sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa”.

Se non si tiene conto del prossimo, il culto diventa un falso servizio a Dio e si rivolge contro il prossimo. La

presunta giustizia dei farisei li rende ingiusti col prossimo. Il loro presunto amore per Dio li autorizza a odiare

il prossimo.

Gesù non è venuto a chiamare i giusti o a frequentare gli ambienti puliti: è venuto a convertire i peccatori e a

pulire gli ambienti. Egli invita i farisei a confrontarsi con le Scritture (Os 6,6) per capire se il comportamento

giusto è il loro o il suo. Il confronto, naturalmente, è a favore di Gesù. Solo lui compie in modo perfetto la

parola di Dio e la beatitudine dei misericordiosi (Mt 5,7).

La battuta finale: “Non sono venuto a chiamare i giusti” (v. 13) sembra contenere una venatura di “cristiana”

ironia nei confronti dei farisei di allora, che si ritenevano giusti. Essa vale anche per i farisei di oggi.

14 Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: “Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i

tuoi discepoli non digiunano?”. 15 E Gesù disse loro: “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre

lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno.

16 Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa

uno strappo peggiore. 17 Né si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa e

gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano”.

Il dibattito sul digiuno segue immediatamente il pasto scandaloso di Gesù con Matteo e i suoi amici esattori

delle imposte. I discepoli di Giovanni e i farisei digiunavano per affrettare la venuta del Messia e per

prepararsi ad accoglierlo. I discepoli di Gesù sanno che il Messia è già arrivato ed è Gesù in mezzo a loro.

Per questo mangiano, bevono e fanno festa.

Gesù si presenta come lo sposo. Il regno dei cieli è paragonato a un banchetto che il Padre ha preparato per

le nozze del Figlio con l’umanità (Mt 22,1-14). Digiunare durante un pranzo di nozze non ha senso. Gesù

però annuncia che anche i suoi discepoli digiuneranno quando lo sposo “sarà loro tolto”. Questa

espressione, presa da Is 53,8, si riferisce al Servo di Iahvè destinato a morte violenta ed è un’allusione alla

morte di Gesù.

Il digiuno cristiano avrà due significati fondamentali: sarà rivolto al passato in quanto commemora la morte di

Gesù, ma sarà anche proiettato verso il futuro in quanto è attesa delle nozze definitive dell’Agnello (Ap

21,9ss).

Con le due immagini del pezzo di stoffa grezza e del vino nuovo, Gesù ribadisce l’inconciliabilità del suo

vangelo con le antiche strutture religiose e il loro contenuto. Il vangelo non è una pezza nuova su un vestito

vecchio né un vino nuovo messo in un contenitore vecchio.

I contenitori religiosi precedenti non vanno riparati, ma sostituiti. Per questo tutti i tentativi di conciliare la

novità del vangelo con le vecchie strutture del giudaismo o di qualsiasi altra religione sono destinati al

fallimento. Paolo dedica l’intera lettera ai Galati a questo tema.

Il vino nuovo è simbolo del tempo della salvezza. Il nuovo è il regno di Dio che Gesù impersona e annuncia.

Egli propone forme nuove e contenuti nuovi per la vita cristiana, quelli stessi che ha proclamato nel discorso

della montagna.

18 Mentre diceva loro queste cose, giunse uno dei capi che gli si prostrò innanzi e gli disse: “Mia figlia è

morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà”. 19 Alzatosi, Gesù lo seguiva con i

suoi discepoli.

20 Ed ecco una donna, che soffriva d’emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del

suo mantello. 21 Pensava infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. 22 Gesù,

voltatosi, la vide e disse: “Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita”. E in quell’istante la donna guarì.

23 Arrivato poi Gesù nella casa del capo e veduti i flautisti e la gente in agitazione, disse: 24 “Ritiratevi, perché

la fanciulla non è morta, ma dorme”. Quelli si misero a deriderlo. 25 Ma dopo che fu cacciata via la gente egli

entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. 26 E se ne sparse la fama in tutta quella regione.

La fede del capo della sinagoga supera quella del centurione (Mt 810). Egli non chiede la guarigione della

figlia, ma la sua risurrezione; ha la certezza che Gesù può darle di nuovo la vita. La fede è credere in Gesù

anche quando si ha un morto in casa. Nella fede c’è una speranza che supera i confini della morte.

Anche il comportamento della donna che soffriva di emorragia da dodici anni è espressione di fede. La fede

è, anzitutto, credere che Gesù è capace di soccorrere. I miracoli sono sempre legati alla fede: essa ne è

l’unica condizione. La fede è confessare la propria impotenza e proclamare la propria fiducia nella potenza di

Dio.

Il toccare il lembo del mantello è credere nella potenza di Gesù e sottoporsi alla sua protezione (cfr Zc 8,23).

Le frange del mantello hanno un significato sacro perché servono a ricordare i comandamenti del Signore

(Nm 15,37-40; 22,12). La mentalità popolare ha sempre ritenuto che gli oggetti che sono stati a contatto con

un uomo di Dio abbiano degli effetti miracolosi.

Le parole di Gesù: “Coraggio, figliola, la tua fede ti ha salvata” rivelano la delicatezza di Gesù che vuole

mettere la donna a suo agio e togliere da lei ogni senso di colpa. Dobbiamo notare che non è il gesto di

toccare il mantello di Gesù che dona la guarigione alla donna, ma la parola che Gesù le rivolge.

Quando Gesù giunge alla casa del capo della sinagoga è già cominciato il lamento funebre. Questo strepito

scomposto e spesso prezzolato è in assoluto contrasto con il modo di pensare e di agire di Gesù.

L’affermazione di Gesù “la fanciulla non è morta, ma dorme” indica che per lui la morte è una condizione

passeggera come il sonno dal quale ci si risveglia. La gente lo deride. Le cose come le vede Dio appaiono

diverse da come le vediamo noi. Nella luce dello sguardo di Dio anche la morte cambia i suoi connotati.

Gesù solleva la fanciulla prendendola per mano. E’ la mano di Dio che soccorre e salva (Dt 6,21; 1Cr 29,12;

Sap 11,17; ecc.).

Il verbo greco eghérthe “si alzò” nel vangelo è il termine tecnico della risurrezione di Gesù (Mt 28,6.7). Con

la risurrezione di questa ragazza Gesù si presenta come il Messia vincitore della morte, il Dio della

risurrezione e della vita.

27 Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: “Figlio di Davide, abbi pietà di noi”. 28

Entrato in casa, i ciechi gli si accostarono, e Gesù disse loro: “Credete voi che io possa fare questo?”. Gli

risposero: “Sì, o Signore!”. 29 Allora toccò loro gli occhi e disse: “Sia fatto a voi secondo la vostra fede”. 30 E

si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: “Badate che nessuno lo sappia!”. 31 Ma essi,

appena usciti, ne sparsero la fama in tutta quella regione.

La guarigione di questi due ciechi è concessa loro a motivo della loro fede. Essi invocano Gesù chiamandolo

figlio di Davide. Dal Messia, figlio di Davide, il popolo d’Israele aspettava soprattutto aiuto e salvezza. I due

ciechi gli ricordano questo suo compito.

Isaia aveva elencato così i prodigi che avrebbero accompagnato la venuta di Dio salvatore: “Allora si

apriranno gli occhi ai ciechi e si schiuderanno gli orecchi ai sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo,

griderà di gioia la lingua del muto” (Is 35,5-6).

Qui, come in tanti altri racconti di miracoli, la fede si esprime nella preghiera e il miracolo viene concesso

come risposta alla preghiera fatta con fede.

Il severo ammonimento dato da Gesù ai due ciechi guariti: “Badate che nessuno lo sappia!” doveva servire

per evitare un’errata presentazione dell’identità del Cristo: egli non è solo il figlio di Davide, ma è anche il

Figlio di Dio; non è venuto per instaurare il regno di Israele, ma il regno dei cieli.

32 Usciti costoro, gli presentarono un muto indemoniato. 33 Scacciato il demonio, quel muto cominciò a

parlare e la folla presa da stupore diceva: “Non si è mai vista una cosa simile in Israele!”. 34 Ma i farisei

dicevano: “Egli scaccia i demoni per opera del principe dei demoni”.

35 Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo

del regno e curando ogni malattia e infermità. 36 Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano

stanche e sfinite, come pecore senza pastore. 37 Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è molta, ma gli

operai sono pochi! 38 Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!”.

Secondo le credenze antiche la malattia era sempre provocata da un demonio. La guarigione quindi avviene

con la cacciata del demonio. Al miracolo operato da Gesù seguono subito due opposte reazioni: la gente è

presa dallo stupore, i farisei accusano Gesù di “scacciare i demoni per opera del principe dei demoni”.

Il contrasto tra Gesù e i suoi oppositori si fa sempre più grande. La loro perfidia è palese: stravolgono perfino

il significato dei suoi miracoli. In 12,32, per questa accusa contro Gesù, viene loro attribuito un peccato

imperdonabile.

La reazione adeguata ai miracoli di Gesù è la fede. La meraviglia e lo stupore sono, tuttavia, una reazione

spontanea nella giusta direzione di chi sa accogliere almeno un aspetto dell’attività prodigiosa di Gesù.

Nel v. 35 Matteo introduce il secondo dei suoi cinque discorsi, quello missionario, dandoci una sintesi

dell’attività di Gesù per insegnarci che la missione dei discepoli sarà la continuazione di quella del Maestro.

Lo slancio della missione di Gesù e dei discepoli nasce dal vedere le folle “stanche e sfinite come pecore

senza pastore” e la messe abbondante a cui fa riscontro la scarsità degli operai.

L’attività di Gesù che “andava per tutte le città e i villaggi” per raggiungere tutti e salvare tutti è l’esempio che

i discepoli inviati in missione devono tenere sempre davanti agli occhi.

La missione di Gesù viene riassunta nei tre verbi insegnare, predicare e curare. Tale sarà anche l’attività dei

missionari che egli sta per mandare “alle pecore perdute della casa d’Israele”.

L’immagine del gregge senza pastore è molto conosciuta nell’Antico Testamento (Nm 27,17; Zc 13,7; Ez 34).

Gesù rivolge l’accusa ai pastori d’Israele del suo tempo (Mt 11,28). Egli intende essere il buon pastore del

suo popolo (Gv 10), e i suoi discepoli dovranno continuare la sua opera con dedizione e amore gratuito (Mt

10,8; 1Pt 5,1-4).

Come Giosuè prese il posto di Mosè “affinché la comunità del Signore non fosse come un gregge senza

pastore” (Nm 27,17), così gli apostoli continueranno la missione di Gesù buon pastore.

I discepoli ricevono il duplice comandamento di pregare il padrone della messe e di andare a lavorare nella

messe (Mt 9,38; 10,5; cfr Lc 10,2-3). La preghiera è adesione al piano di salvezza di Dio e presa di

coscienza della chiamata a collaborare responsabilmente per la sua realizzazione.

adorationoftheshepherds1.jpgCapitolo decimo

1 Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di

malattie e d’infermità.

2 I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di

Zebedèo e Giovanni suo fratello, 3 Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo

e Taddeo, 4 Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi lo tradì.

5 Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti:

“Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6 rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute

della casa d’Israele.

Il numero dodici ricorda i dodici patriarchi delle tribù d’Israele e quindi ci presenta i dodici discepoli come i

capostipiti spirituali del popolo di Dio che Gesù sta per ricostituire. La principale fisionomia dei dodici è quella

di essere i continuatori dell’opera di Gesù, quasi il prolungamento della sua persona.

Il gruppo radunato da Gesù non sembra molto omogeneo e comprende anche il traditore Giuda. Nella loro

identità e nella loro missione ogni cristiano deve scoprire il senso della propria vocazione.

Il potere conferito ai dodici discepoli è quello di cacciare i demoni e guarire tutte le malattie, quindi di

eliminare ogni sofferenza umana. Dobbiamo però ricordare con forza che in 10,7-8 il comando di predicare il

vangelo del regno di Dio precede nell’ordine tutti gli altri e li supera per importanza.

Nel capitolo precedente le folle “erano stanche e sfinite come pecore senza pastore” (9,36). Ora Gesù dice

che sono “pecore perdute” cioè disperse, fuori dall’ovile. E’ volontà del Padre che il vangelo del regno dei

cieli sia annunziato prima al popolo d’Israele. La delimitazione dell’ambito in cui vengono mandati i dodici è

quella stessa del Cristo, inviato esclusivamente a Israele (Mt 15,21-28). Solo con la sua risurrezione Gesù

riceve dal Padre il potere illimitato in cielo e in terra e quindi dà l’avvio definitivo alla missione universale dei

suoi discepoli (Mt 28,18-20).

7 E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i

lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. 9 Non procuratevi oro, né

argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, 10 né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né

bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento.

11 In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino

alla vostra partenza. 12 Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. 13 Se quella casa ne sarà degna, la vostra

pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. 14 Se qualcuno poi non vi

accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere

dai vostri piedi. 15 In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più

sopportabile di quella città.

La predicazione degli apostoli riprende e continua l’annuncio del regno dei cieli fatto da Gesù (4,17) e dal

Battista (3,2). Tale annuncio viene fatto con la parola (v. 7), con le azioni di bene (v. 8a) e con la

testimonianza della vita (vv. 8a-10).

La testimonianza della vita consiste nella gratuità. Gli inviati di Dio non lavorano per il proprio onore, né per

la propria grandezza, né per il proprio arricchimento.

Il disinteresse è certamente la prova più grande della bontà della causa che essi promuovono (1Cor 9,18; At

20,33; 1Tm 3,8; ecc.).

Gli annunciatori del vangelo non devono chiedere nulla e non devono prendere nulla per il viaggio. La

motivazione è questa: il regno dei cieli viene annunciato ai poveri e appartiene ai poveri (Mt 5,3) e quindi può

essere annunciato in modo credibile solo da coloro che dimostrano di averlo già accolto nella propria vita

diventando poveri. Gesù è povero (Mt 8,20).

La povertà e il distacco dalle preoccupazioni materiali è la dimostrazione che si è capito e accettato il

vangelo della paternità di Dio (Mt 6,32-33) e si è consapevoli dell’urgenza dell’evangelizzazione. Chi è

totalmente assorbito dall’annuncio del messaggio cristiano non può trascinarsi dietro bagagli né

preoccuparsi di faccende materiali e pecuniarie. Il missionario evangelico deve presentarsi agli uomini

spoglio, umile e penitente come è richiesto dal discorso della montagna (Mt 5).

Dovunque l’apostolo arriverà, dovrà farsi indicare qualche persona degna presso la quale prendere alloggio

(v. 11), cioè un luogo che non susciti pettegolezzi che nuocerebbero alla predicazione o la renderebbero

vana.

La missione comincia con l’augurio alla pace. Nel linguaggio dell’Antico Testamento la pace è sinonimo di

benessere materiale e spirituale; nel Nuovo Testamento significa la salvezza portata dal Cristo, anzi, Cristo

stesso (Ef 2,14).

L’eventuale rifiuto dell’annunciatore e delle sue parole non deve scoraggiare l’apostolo né arrestare l’azione

missionaria: egli andrà altrove a portare il dono della salvezza.

Il gesto di scuotere la polvere dai piedi non è una maledizione: è un segno di distacco e di protesta. Era il

gesto che ogni israelita compiva rientrando in Palestina da un luogo pagano, come gesto di totale

separazione. Siccome gli inviati stanno recando il vangelo in terra d’Israele, questo gesto significa che le

città e i villaggi d’Israele che rifiutano gli apostoli di Gesù vanno ritenuti come territorio di pagani, esclusi

dalla comunione di salvezza col popolo di Dio.

Quando l’apostolo ha compiuto la sua missione in un luogo, non deve fermarsi: non ha tempo da perdere. Il

tempo è così poco e l’annuncio così importante che l’apostolo deve andare speditamente per le città e i

villaggi, come faceva Gesù (Mt 9,35).

Luca riporta anche il comando di Gesù: “Non salutate nessuno lungo la strada” (10,4) proprio per

sottolineare l’urgenza della missione (cfr 2Re 4,29).

Il compito del missionario è di presentare l’annuncio chiaro e convincente, e poi affidarlo alla libertà e alla

responsabilità degli ascoltatori.

Le città di Sodoma e Gomorra sono il simbolo della violazione dei sacri doveri dell’ospitalità (Gen 19,8). Le

città che non ospiteranno gli inviati di Cristo saranno trattate più duramente di Sodoma e di Gomorra nel

giorno del giudizio.

16 Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le

colombe.

17 Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe;

18 e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. 19

E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi

sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: 20 non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del

Padre vostro che parla in voi.

21 Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire.

22 E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato.

23 Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra; in verità vi dico: non avrete finito di percorrere le

città di Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo.

Questa parte del discorso è introdotta da due metafore che illustrano la situazione pericolosa dei discepoli

inviati in missione. Solo un miracolo può far sopravvivere le pecore in mezzo ai lupi. A questo proposito

merita di essere ricordata un’affermazione di Tanhuma Toledoth 32b: “Qualcosa di grande accade alla

pecora (Israele) che sopravvive tra settanta lupi (i settanta popoli del mondo: Gen 10)… Grande è il pastore

che la salva e la sorveglia”. Le parole “io vi mando”, poste all’inizio del testo, vogliono mettere in luce proprio

questo aspetto di protezione da parte di Gesù buon pastore (Gv 10). Ma, pur confidando nella protezione

divina, è necessario un comportamento umano che tenga conto della pericolosità della situazione. L’una

cosa non esclude l’altra. Il discepolo, nel pericolo, deve comportarsi in modo che si manifesti la sua fiducia

nella protezione divina e il buon uso delle doti che Dio gli ha dato. Qualunque sia il senso particolare

attribuito all’astuzia dei serpenti e alla semplicità delle colombe, vi si trovano connessi l’atteggiamento di

fiducia in Dio e quello di ponderazione nei rapporti umani. Il serpente è simbolo della scaltrezza (Gen 3,1), la

colomba è il simbolo del candore (Ct 5,2; 6,9). Nel Midrash sul Cantico dei cantici leggiamo: “Riferendosi agli

Israeliti Dio disse: Con me sono semplici come le colombe, ma tra i popoli del mondo sono astuti come i

serpenti”.

La fedeltà a Cristo mette i discepoli in contrasto anche con i parenti e i connazionali che non vogliono

accogliere l’annuncio del vangelo: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (v. 22).

Il discepolo, quando è perseguitato, deve perseverare fino alla fine (v. 22). Non c’è alternativa per essere

salvati. Il vangelo impegna a tempo pieno e per sempre.

La persecuzione fa parte della storia della salvezza: è la via della croce che continua. Il mondo ha odiato il

Cristo e continua a odiarlo nei suoi discepoli. La ragione dell’odio è sempre la stessa: “per causa mia” (v.

18).

Il mondo odia i discepoli di Cristo perché con la loro esistenza lo mettono in questione, lo turbano e lo

contestano. La persecuzione è una magnifica occasione per testimoniare Cristo davanti a tutti (v. 18).

Gesù non promette ai suoi missionari il successo e il prestigio, ma prospetta loro un destino di sofferenza e

di persecuzione. Essi non devono preoccuparsi di fronte alle aggressioni, ma attendere e avere fiducia

nell’azione di Dio. Il discepolo è chiamato a percorrere la strada della testimonianza nella sofferenza,

prendendo come modello Gesù, il crocifisso risorto.

Il v. 23 promette la consolazione e il conforto della venuta del Figlio dell’uomo. Egli si prenderà cura dei suoi

messaggeri perseguitati e scacciati.

24 Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; 25 è sufficiente per il discepolo

essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di

casa, quanto più i suoi familiari!

26 Non li temete dunque, poiché non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che

non debba essere manifestato. 27 Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate

all’orecchio predicatelo sui tetti. 28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere

di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna. 29

Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il

Padre vostro lo voglia.

30 Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; 31 non abbiate dunque timore: voi valete

più di molti passeri!

32 Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli;

33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

I discepoli non devono cercare o attendersi una sorte diversa da quella toccata al loro Maestro. Se Gesù è

stato calunniato e chiamato Beelzebùl, il principe dei demoni, quanto più saranno calunniati i suoi discepoli.

Il nome Beelzebùl, dato in senso dispregiativo a Gesù, significa “padrone della casa”. Per questo i suoi

discepoli sono chiamati “i suoi familiari”, cioè quelli della sua casa.

Il comandamento “Non temete” ripetuto tre volte è un forte invito al coraggio. Il coraggio deve manifestarsi

nel parlare chiaro e nel gridare coi fatti il messaggio di Cristo, nel non temere la persecuzione e la morte del

corpo, e nel non vergognarsi mai di Cristo davanti agli uomini.

La paura dei discepoli nasce dalla mancanza di fede in Dio Padre e dalla mancanza di libertà nei confronti di

se stessi. Per seguire Cristo bisogna rinnegare se stessi (Mt 10,37-39). Chi non rinnega se stesso, rinnega

Cristo, come ha fatto Pietro (Mt 26,69-75).

Riconoscere il Cristo davanti agli uomini è molto più che parlare di lui o associarsi alla comunità dei cristiani:

è solidarietà totale con il suo mistero di morte e risurrezione. La morte del martire non è assenza di Dio, ma

realizzazione del progetto di Dio e configurazione al Cristo morto e risorto, culmine della testimonianza

cristiana.

34 Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada.

35 Sono venuto infatti a separare

il figlio dal padre, la figlia dalla madre,

la nuora dalla suocera:

36 e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa.

37 Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno

di me; 38 chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. 39 Chi avrà trovato la sua vita, la

perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.

40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41 Chi accoglie un

profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la

ricompensa del giusto. 42 E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli,

perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.

Gesù non è venuto a suscitare guerre fratricide, ma a portare un messaggio d’amore e di salvezza. Egli non

ha mandato i suoi discepoli a portare la spada, ma la pace (Mt 5,9; 10,12-13), il perdono (Mt 6,14-15), la

riconciliazione (Mt 5,23-26), la mitezza (Mt 5,39-42; 10,16) e l’amore dei nemici (Mt 5,43-48). Ma davanti a

questo splendido messaggio di bontà gli uomini possono reagire in due modi: accogliendo o rifiutando il

vangelo. Quelli che si oppongono in modo violento al vangelo e agli evangelizzatori producono la rottura e la

divisione. E ciò può avvenire anche all’interno della stessa famiglia.

Gesù è venuto a portare la spada del giudizio di Dio che separa il bene dal male, coloro che credono in lui

da coloro che lo rifiutano. La parola di Dio è come una spada che penetra nell’intimo di ogni persona e la

giudica mettendo in evidenza le sue vere intenzioni (Eb 4,12-13). Di fronte a questa scelta radicale, pro o

contro Cristo, il discepolo deve essere disposto a prendere la croce della rottura con i familiari e a seguire

Cristo. E’ questione di vita o di morte. E per avere la vita eterna bisogna essere disposti a perdere la vita

temporale. Cristo è Dio che dev’essere amato più di ogni altra persona, perfino più di se stessi. Il linguaggio

di Gesù è comprensibile per chi crede che Dio risuscita i morti e dà la vita eterna a chi ha perduto la vita per

causa di Cristo.

La conclusione del discorso missionario non è rivolta ai missionari, ma a coloro che li accolgono. Chi

accoglie i missionari accoglie Cristo e il Padre che li ha mandati. Accoglierli come profeti significa prima di

tutto ascoltarli e accettare il messaggio che annunciano. Accoglierli come giusti significa non considerarli

come semplici viandanti che chiedono ospitalità, ma come uomini di Dio. Accoglierli come piccoli significa

considerarli deboli e bisognosi. E’ il Signore che li ha mandati senza soldi e senza mezzi (Mt 10,9-10): essi

hanno affidato il problema del loro sostentamento alla provvidenza del Padre e all’accoglienza dei fratelli. E

coloro che li accolgono non devono preoccuparsi perché, se sono dei veri missionari, si accontenteranno di

poco (un bicchiere d’acqua fresca), di quel minimo indispensabile per riprendere il viaggio e l’annuncio del

regno di Dio.

Nella conclusione del discorso, Matteo vuole mettere in evidenza che quanto ha scritto è il documento

ufficiale della missione apostolica per tutti i discepoli di tutti i tempi.

Vangelo di Gesù Cristo secondo MATTEO 5ultima modifica: 2011-02-23T17:02:00+01:00da meneziade
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