Il Vangelo e l’etica moderna

 

La rilevanza dell’opera e del destino di Dietrich Bonhoeffer per la teologia cristiana della seconda metà del ’900, testimoniata dalla mole della letteratura che lo riguarda, è motivata dal fatto che il giovane teologo evangelico, morto martire della barbarie nazista, si situa consapevolmente nella crisi della coscienza europea, quale venne a profilarsi nei suoi termini essenziali proprio fra le due guerre. Fu in questo contesto che il tema etico assunse in lui un’importanza

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decisiva: non si trattava soltanto di rispondere alla domanda: “che fare?”, ma anche alle altre, non meno decisive domande: “dove siamo? – chi siamo?”. Il libro appena pubblicato da Alessandro Andreini col titolo Bonhoeffer. L’etica come confessione (Edizioni Paoline) avvicina le risposte del pastore e teologo evangelico, esplorandone la vicenda esistenziale per cogliere in essa – inseparabilmente da essa – la maturazione intellettuale, mostrando come biografia e teologia siano in lui connesse al punto che l’una risulterebbe incomprensibile senza l’altra. Si profilano nel lavoro i due “no” e il “sì”, che strutturano l’”etica come confessione” di Dietrich Bonhoeffer, in alternativa tanto all’etica della norma astratta, quanto all’etica della situazione.

Il primo “no” è rivolto all’etica ideologica prodotta dalle presunzioni universalistiche della ragione moderna: la norma morale non sta in un modello astratto, universale, ma nella persona viva, vicina al nostro dolore, del Dio con noi. In questa luce, durissimo è il giudizio espresso da Bonhoeffer sul processo avviato dalla rivoluzione francese, che – proprio in quanto governato da un progetto ideologico – sfocia inesorabilmente nella violenza e apre la strada al nichilismo: “Il padrone della macchina ne diventa lo schiavo e la macchina diventa nemica dell’uomo. La creatura si rivolta contro chi l’ha creata: singolare replica del peccato di Adamo! L’emancipazione delle masse sfocia nel terrore della ghigliottina. Il nazionalismo porta inevitabilmente alla guerra. L’ideale assoluto della liberazione conduce l’uomo all’autodistruzione. Alla fine della via per la quale ci si è incamminati con la rivoluzione francese si trova il nichilismo” (Etica, 86s). L’altro “no” che Bonhoeffer propone è quello alla possibile conseguenza della crisi dei mondi ideologici, che egli descrive con intuizioni anticipatrici mediante la categoria di décadence: “Non essendovi nulla di durevole, vien meno il fondamento della vita storica, cioè la fiducia, in tutte le sue forme. E poiché non si ha fiducia nella verità, la si sostituisce con i sofismi della propaganda. Mancando la fiducia nella giustizia, si dichiara giusto ciò che conviene… Tale è la situazione del nostro tempo, che è un tempo di vera e propria decadenza” (91).

La decadenza non è l’abbandono dei valori o la rinuncia a vivere per qualcosa per cui valga la pena. Più sottilmente, la decadenza priva l’uomo della passione per la verità, spogliandolo di quelle motivazioni forti che l’ideologia ancora sembrava offrirgli. Alla décadence Bonhoeffer si oppone proprio perché vi riconosce lo stesso nichilismo cui conduce la crisi della modernità, da lui profetizzata: non è una visione umana del mondo quella che per lui potrà salvarci, né una teologia “ideologica”, che parli di Dio come rifugio e alternativa al naufragio. Nemmeno, però, il trionfo della maschera, che tutto vorrebbe coprire col suo volto mistificatore, potrà essere lo sbocco risolutivo. La sua proposta è quella di una conversione teologica che cerchi nel Dio crocefisso, totalmente non ideologico, l’orizzonte plausibile di senso.

Si delinea in tal modo il “sì” pronunciato da Bonhoeffer con la sua riflessione etica: la realtà è illuminata nel suo essere più profondo dal Dio venuto nella debolezza. Cristo è la rivelazione dell’uomo, proprio in quanto nel suo abbassamento testimonia la vicinanza e la compassione dell’Eterno agli abitatori del tempo. L’etica è sovversione tanto degli schemi

ideologici, quanto della rinuncia decadente: oltre la crisi di una teologia troppo sicura di sé, dove la Grazia è offerta “a buon mercato”, Bonhoeffer pensa l’abbandono di Dio accompagnandoLo nella fedeltà alla terra spinta fino all’abisso della Croce. È questo cristianesimo della partecipazione alla sofferenza divina che offre il senso della fatica d’esistere e proprio così fonda la possibilità dell’etica, nonostante il male del mondo, di cui il XX secolo ha offerto così vasto spettacolo.

Al di là del “requiem aeternam Deo” dell’ideologia, in alternativa al “Deus otiosus” che si profila sullo scenario della decadenza, il martire della barbarie nazista testimonia il vangelo del Dio che, facendo suoi il dolore e la morte, redime la storia, e invitando il discepolo a partecipare al Suo dolore offre alla vita un senso tale da dare ragioni per continuare a vivere al di là della caduta di tutti i valori. Perciò, Andreini ha ragione a definire la proposta bonhoefferiana “etica come confessione”: nel “frammento” di una vicenda teologica tutto sommato “minore”, incompiuta com’è e concentrata sulla nuda essenzialità del messaggio cristiano, la buona novella della fede viene a risuonare oltre la parabola dell’ideologia e oltre il suo esito drammatico nelle forme del debolismo decadente e vuoto. Proprio così nell’opera di Bonhoeffer potrebbe riconoscersi il vangelo che risuona per la condizione “post-moderna”.

Il Vangelo e l’etica modernaultima modifica: 2011-03-15T12:06:00+01:00da meneziade
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