Il “sentimento” non basta alla fede

 

“È possibile sentirsi cattolici senza credere al carattere sacramentale del matrimonio? È possibile sentirsi cattolici senza credere nell’infallibilità del Papa? È possibile sentirsi cattolici senza credere nella divinità di Gesù Cristo?”. Con questo incipit si apre il volume Del sentire cattolico del filosofo Manlio Perniola (pubblicato dal Mulino), secondo il quale l’essenza del cattolicesimo non starebbe nel credere ma nel sentire, non in una dottrina ma in una esperienza. Occorrerebbe dunque introdurre una netta divaricazione tra il cattolicesimo col suo “sentire” e l’autodefinizione ortodossa della Chiesa cattolica, prendendo partito per il primo ed evitando di far dipendere l’identità cattolica dall’adesione alla confessio fidei.

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La posizione dell’autore è avvicinabile a quella del protestantesimo liberale di Schleiermacher, che ravvisava l’essenza della religione nel sentimento: accostamento però parziale poiché il “sentire cattolico” di cui dice Perniola è definito come “un sentire dal di fuori”, diverso dall’ortodossia e dall’ortoprassi e rivolto alla storia e al mondo. Mentre per Lutero la differenza è Dio, per il “sentire cattolico” è la storia verso cui si volsero Guicciardini e Loyola. Con questo drastico mutamento di prospettiva, Perniola intende il sentire dall’esterno come “conformità a un processo storico chiamato anche “volontà di Dio””, assunto in cui è quasi impossibile ritrovare lo spirito del cattolicesimo, contrario a mettere in corto circuito processo storico e volontà di Dio, ad assegnare il posto più alto al primo, a intendere la caritas come amore del mondo che si distingue dall’amore del prossimo.

Tuttavia, queste idee si impongono all’autore in base all’assunto che il massimo del “sentire cattolico” esista solo dove vi è un minimo di ortodossia e di ortoprassi. Tale ipotesi, largamente praticata sul piano metodologico, è d’altro lato debole o debolistica per la separazione che viene introdotta tra sentire e verità o confessione della fede, dalla quale ultima proviene il filo di continuità del “sentire cattolico”. L’idea che essa si muova in rapporto inverso all’ortodossia e all’ortoprassi configura la ripresa di un concetto romantico in un contesto postmoderno che, non avendo più baricentro, può dare ospitalità alle più diverse posizioni. L’identificazione tra Chiesa e mondo, presentata come uno snodo del “sentire cattolico”, non è forse un concetto romantico?

Naturalmente esistono varie forme del “sentire cattolico” lungo le epoche, per le mutevoli composizioni di fede e cultura, ma la dialettica di identità e differenza nel “sentire cattolico” sarebbe impensabile senza un riferimento alla professione della fede. Tolta questa, il sentire di Guicciardini e di Ignazio di Loyola, cui Perniola si riferisce, per tracciarne il volto nella prima metà del Cinquecento, non avrebbe misura comune né continuità con altre forme di tale sentire e non sarebbe perciò universalizzabile.

Il riferimento al Cinquecento è essenziale per il volume, che allora fa iniziare – in un crescendo che tocca l’apice nella prima metà del XIX secolo – un dogmatismo ideologico e una chiusura dottrinaria della Chiesa che l’autore legge come un percorso molto negativo, sia pure giustificato dalla necessità della Chiesa di far fronte ai suoi nemici. Conseguentemente, con l’aumentare della corazza dogmatica, il “sentire cattolico” emigrerebbe dal cuore della Chiesa e cercherebbe in altri lidi la sua nuova espressione. Non è difficile indovinare che sarà nell’estetica, e non nella professione della fede, nella preghiera, nella mistica, che verrà cercata la forma più propria del sentire cattolico contemporaneo: in Balthasar alquanto riduttivamente inteso più come artista che come teologo; in Robert Musil e in Clarice Lispector. Silenzio invece sulla Bibbia e sul Concilio Vaticano II che un decisivo contributo al “sentire cattolico” l’hanno dato e lo daranno.

Del sentire cattolico è un libro sottile, ricco di sguardi, rimandi e intuizioni. È però pregiudicato dal suo intento: “Questo libro si rivolge a coloro che sono allergici ai dogmi e alle prediche, poiché le considerano manifestazioni di malafede e di ipocrisia”.

La prospettiva prescelta ha condotto a svalutare la fecondità speculativa ed estetica della rivelazione della fede e con esse dell’imitazione di Cristo e della contemplazione per raggiungere l’amore. Assumere Guicciardini, Loyola, Musil come ugualmente validi rappresentanti del “sentire cattolico” comporta l’imbarazzante contropartita di renderne evanescente l’idea stessa.

Il “sentimento” non basta alla fedeultima modifica: 2011-03-14T12:03:00+01:00da meneziade
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