SANT’AGOSTINO

7. – S.AGOSTINO (Tagaste, 354 – Ippona, 430) E S. MASSIMO IL CONFESSORE (580662).

Il “Primato della volontà”

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Il “Primato della volontà”è il titolo di un saggio del Prof. don Luigi Manca, n’opera ricca di spunti di riflessione sul tema della responsabilità individuale, a margine di una analisi attenta e circostanziata dell’opera dei due Padri messi a confronto tra loro.

Originario di Costantinopoli, dove era nato nel 580, nutritosi alla migliore tradizione del pensiero greco, quale si era venuto determinando e precisando sulla scia dei filosofi classici Platone ed Aristotele, S. Massimo nel lungo arco della sua esistenza si era inserito nel complesso dibattito culturale, che, a partire dal II secolo e per tutto l’VIII, segnò la storia della Chiesa Cristiana, tra posizioni ideologiche contrastanti in materia di Teologia cristiana tese ad affermare la corretta interpretazione dei testi sacri, cioè l’ ortodossia, contro le eresie.

L’autore ci presenta il pensiero di S.Massimo, cogliendone i dinamismi intellettuali nella dialettica culturale che lo impegnò, mettendo in luce i punti di contatto e le affinità di risoluzioni con quell’altro colosso della Patristica, che è S.Agostino, personalità altrettanto complessa, nutritasi però alle migliori fonti del pensiero latino, in particolare sui testi del più rappresentativo degli autori latini, Cicerone.

Originario di Tagaste, nell’attuale Algeria, dove era nato nel 354, un paio di secoli prima di S. Massimo, S. Agostino, dopo un periodo di sbandamento giovanile, si accostò agli studi di eloquenza, attingendo dal mondo latino una cultura vasta e profonda, che filtrò attraverso la sua sensibilità umana e riversò poi tutta quanta, dopo la conversione al Cristianesimo, in direzione della conoscenza della dottrina cristiana.

E’ sorprendente come i Padri della Chiesa, a partire dai primi, conosciuti come Padri Apostolici, fino agli ultimi, S. Gregorio Magno in Occidente e S. Giovanni Damasceno in Oriente, abbiano fatto da ponte tra pensiero pagano e pensiero cristiano e come in particolare S. Agostino e S. Massimo abbiano utilizzato le metodologie di indagine filosofica tradizionali per dibattere contenuti culturali assolutamente nuovi, con conclusioni e deduzioni logiche eccezionali, che chiariscono molti aspetti di difficile comprensione della dottrina cristiana, per diventare punti fermi dell’ortodossia.

Giustamente sul piano della storia della cultura, grazie ai Padri della Chiesa non si parla più di cultura greca, cultura latina e cultura cristiana separatamente considerate, ma di Civiltà greco-latina-cristiana in un unico processo evolutivo, che prende le mosse dalla contrapposizione Paganesimo-Cristianesimo per confluire e precisarsi come “Cultura occidentale”.

Il prof. Manca focalizza l’attenzione su una delle problematiche più complesse dell’antropologia cristiana, il libero arbitrio, la facoltà che consente all’uomo di esercitare la libertà di scegliere tra il bene e il male.

Nascono interrogativi inquietanti:

“Se l’uomo è creatura di Dio, fatto ad immagine di Dio, come mai poi esercita la libertà di scegliere il male e di peccare?”

“Qual è l’origine del male?”

“Perché l’uomo pecca?”

“Quale dominio esercita la volontà?”

“Esistono due volontà, una buona e una cattiva, o una sola volontà che si piega a volte verso il bene e a volte si lascia trascinare dalle passioni verso il male?”

“Quale aiuto dà Dio a non cadere vittime del peccato, o, una volta caduti, a risollevarsi?”

“La Grazia implica la predestinazione o piove su chi con le opere si rende degno di ricevere un aiuto a risollevarsi dal peccato?”

Ed ancora:

“La libertà è tale anche se si sceglie il male, o la scelta del male è privazione di libertà?”

“Le passioni, cioè il desiderio, gli appetiti sono mali in sé, o diventano mali a seconda dell’oggetto cui sono diretti o dei mezzi di cui si servono?”

“E la felicità è appagamento ad ogni costo dei desideri, o appagamento guidato dalla ragione?”

“Fino a che punto la ragione può esercitare un dominio sugli appetiti?”

“Qual è il ruolo della conoscenza e quale la responsabilità dell’ignoranza?”

“In che relazione stanno gli appetiti necessari (propri degli animali) e gli appetiti volontari (propri dell’uomo)?”

Infine:

“Qual è il processo per cui si realizza la scelta del Sommo Bene?”

Le risposte dei due pensatori sono inequivocabili e, in linea di massima, le conosciamo, perché fanno parte del patrimonio religioso cristiano.

“Il mondo è creato da Dio ed è una meraviglia di perfezione”.

“La scala degli esseri creati è improntata ad un crescendo di perfezione, schematizzato da Nemesio (IV sec.) nel modo seguente: (animali > quasi vegetali; vegetali > quasi animali; animali superiori > quasi uomo) e l’uomo è chiave di volta del creato: il destino dell’uomo è destino di deificazione e di santità: trionfo della ‘bona volunta’s sulla ‘mala voluntas’ ”.

“Cristo è il compendio del destino dell’uomo”.

“Il Mistero dell’Incarnazione è la spiegazione del processo di deificazione, cui l’uomo è chiamato”.

Sorprendenti ed interessanti sono le argomentazioni che i due Padri elaborano in una copiosissima produzione di scritti, impressionanti per il numero e la profondità di pensiero, difficili talora da seguire per chi non è completamente addetto ai lavori.

COROLLARIO

La nozione di “tempo” in Seneca e S. Agostino.

(Riflessione)

Prima le clessidre, poi le meridiane, oggi i moderni cronometri: il tempo è misurabile: il lento passaggio della sabbia dallo stretto forellino della clessidra, il lento impercettibile passaggio del sole tra i settori fissi della meridiana, il velocissimo girare della lancetta dei secondi nel meccanismo elettronico misurano lo scorrere del tempo, sebbene in maniera molto diversa.

Ma cos’è il tempo?

E’ quello che oggettivamente viene misurato da strumenti e da meccanismi vari, o quello che avvertiamo, o non avvertiamo, mentre siamo immersi nelle più varie attività della nostra vita?

Cos’è un millesimo di secondo: esistono unità più piccole? Cos’è un anno luce? Esistono unità più grandi?

La scienza e la tecnologia danno una loro risposta attendibile: abbiamo nozione delle ere geologiche, della preistoria, dell’età delle stelle, della fissione dell’atomo; ma quale opinione abbiamo della nostra vita in relazione col tempo? Cos’è per noi il presente, il passato e il futuro?

Osserva S. Agostino: il tempo è tale perché tutto passa: se nulla passasse, non ci sarebbe il passato; se nulla venisse, non ci sarebbe il futuro, e se nulla fosse ora e qui, non ci sarebbe il presente. Ma passato e futuro come possono esistere dal momento che il passato non è più e il futuro non è ancora? E, quanto al presente, se non passasse, se non diventasse passato, non sarebbe presente ma eternità. Inoltre, se la condizione del presente è quella di trascorrere nel passato, in che modo possiamo dire che esso esiste?

Si deve concludere allora che il tempo non esiste? Che niente di esso è fermo, statico? Che, quindi, è un continuo fluire?

Che cos’è dunque la nostra vita in relazione col fluire del tempo?

Domanda inquietante!

Bisogna lottare contro la fuga del tempo, attingendo da esso come da un torrente impetuoso”, aveva detto Seneca, “…è stolto differire la vita e confidare sempre nel futuro; tutto sta nel vivere intensamente la vita che ci è concesso di vivere: l’uomo sbaglia a lamentarsi del breve tempo che gli è concesso dalla natura, proprio perché esso non è affatto breve; è l’uomo stolto che lo rende tale, sprecandolo in una miriade di occupazioni futili o addirittura dannose; vita, si uti scias, longa est : (la vita è lunga se ben impiegata). Non bisogna proiettarsi continuamente nel futuro, inseguendo speranze vane e consumandosi in una continua attesa, e neppure rifugiarsi nel passato, perché questo atteggiamento comporta il porre fuori di sé la ricerca dell’equilibrio, della libertà interiore, dell’autarkeia, intesa come autonomia spirituale.

In tre immagini drammatiche Seneca si figura il tempo della nostra vita: il fiume: in cursu semper est, fluit et praecipitatur (è sempre in movimento, scorre e precipita via) ; il punto : punctum est quod vivimus et adhuc puncto minus: (un punto è quello che viviamo e meno di un punto); il profundum (l’abisso), dove passato e futuro si perdono come nel buio. In conclusione: “In tanta volutatione rerum humanarum nihil cuiquam nisi mors certum est”: (In un così grande tracollo delle cose umane, nulla per nessuno è così certo quanto la morte).

Trionfa sul tempo colui che punta sulla qualità, non sulla quantità di esso: non esse positum bonum vitae in spatio eius, sed in usu: (il bene della vita non è posto nella sua durata, ma nell’impiego di essa).

Bisogna allora concentrarsi sul presente, non sprecarne la benché minima parte, guardare dentro di sé per perfezionare la vita morale, rinunciando a proiettarsi verso il futuro: l’attimo ben vissuto vale un secolo.

Il filosofo latino, di cui si ipotizza un probabile incontro con S.Paolo, puntando l’attenzione su un presente atemporale, considera il passato solo come memoria di una vita ben vissuta, quindi priva di rimpianti, e il futuro solo come previsione libera dall’ansia del timore e della speranza.

Nella speculazione di Seneca manca la prospettiva della speranza.

E’ il Cristianesimo che introduce la virtù della speranza come prospettiva di salvezza: spe enim salvi sumus (S. Paolo).

Ma chi potrebbe negare, aggiunge S. Agostino, che il futuro non esiste ancora? Nella nostra anima c’è già l’attesa del futuro.

E anche per il passato, chi potrebbe negare che esso non esiste più? Nella nostra anima c’è ancora la memoria del passato.

E chi potrebbe negare che il tempo presente, in quanto simile ad un punto, manchi di estensione?

Dunque il passato vive nella memoria, il presente nell’intuizione e il futuro nelle aspettative. Passato, presente e futuro sono compresenti nell’anima individuale tempora sunt tria, praesens de praeteritis, praesens de praesentibus, praesens de futuris”, (i tempi sono tre, presenza del passato, presenza del presente, presenza del futuro).

Per S. Agostino il tempo non è una dimensione assoluta: è una categoria tutta umana, relativa a ciascun individuo e ha il valore che la memoria individuale gli attribuisce: è un tempo interiore che supera la pura e semplice prospettiva cronologica. La memoria individuale raccoglie la molteplicità degli eventi, costituendo il nucleo fondamentale dell’interiorità del singolo.

Alla prospettiva esteriore, al “tempo delle cose”, per cui tutto muta e si dissolve nel passato, S. Agostino sostituisce la prospettiva interiore, secondo cui il “tempo della memoria” libera l’uomo dalla successione temporale degli eventi.

Nell’interiorità si concretizza la consapevolezza di una continuità personale nel tempo.

Alcune massime latine sul tempo:

Cum grano salis”, (con un granello di sale): è un invito a vivere la propria vita con un pizzico di buon senso; Tempus fugit, (il tempo fugge via): è un invito a non sprecare la vita;

Sol omnibus lucet, (il sole splende per tutti); è un invito a non negare a nessuno il diritto al raggio di sole; Ora et labora, (prega e lavora): è un invito all’ equilibrio interiore tra preghiera e onesto lavoro;

Mmacte animo, (coraggio): è un invito a non tirarsi indietro di fronte alle avversità del tempo…

…ma le avversità temperano, forgiano l’animo…

…quindi…

Macte animo…sic itur ad astra”, (coraggio, così si punta in alto).

SANT’AGOSTINOultima modifica: 2011-04-16T13:52:00+02:00da meneziade
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