1 Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a
visitare il sepolcro. 2 Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò,
rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. 3 Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come
la neve. 4 Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. 5 Ma l’angelo disse alle donne:
“Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. 6 Non è qui. E’ risorto, come aveva detto; venite a
vedere il luogo dove era deposto. 7 Presto, andate a dire ai suoi discepoli: E’ risuscitato dai morti, e ora vi
precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto”. 8 Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia
grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli.
Matteo presenta una teofania che non può essere separata dal brano della morte di Gesù. Tutto avviene
infatti come se il terremoto che aveva seguito l’ultimo respiro del Cristo, riprendesse dopo il sabato: di nuovo
si allude ad Ez 37,7. Si tratta infatti di un unico avvenimento. Matteo lo colloca quasi nel pieno della notte,
“all’alba, verso il primo giorno della settimana”: è la notte della pasqua di cui parla l’Esodo (Es 11,4;
12,12.29) e il libro della Sapienza (Sap 18,14.15). Matteo descrive la discesa dell’”angelo del Signore” per
designare la presenza di Dio stesso (Gen 16,17; 22,11; Es 3,2). Dio manifesta la sua vittoria sulla morte di
cui la pietra simboleggiava il carattere implacabile e irreversibile; infatti la pietra viene ribaltata e l’angelo vi si
siede sopra. Il suo atteggiamento e il suo vestito bianco come la neve richiama l’Antico dei giorni della
visione di Daniele (Dn 7,9-10), mentre la folgore ricorda la grande visione di Dan 10. L’apparizione dell’uomo
vestito di lino (Dn 10,5-6) e poi dell’angelo che invita per due volte il profeta a non temere (Dan 10,7-8.12.18-
19) prima di annunciargli il tempo della collera e quello della risurrezione (Dan 11-12), dà le linee armoniche
a questo brano di Matteo.
Mentre i santi si svegliano nel momento della morte di Gesù, le guardie sono prese da tremore e diventano
come morti (28,4). Coloro che avevano garantito il sepolcro e sigillato la pietra per impedire che la morte
restituisse la sua vittima, si ritrovano ora morti di paura, mentre le donne sono prese da timore e gioia
grande. Il timore di Dio fulmina (28,4) o dà la gioia (28,8) secondo il cuore in cui abita. La paura delle donne
si dissolve alla vista dell’angelo. Il messaggio dell’angelo risuona: “E’ stato risuscitato (eghérthe)”. La
formulazione al passivo (il passivo divino) è una perifrasi dell’azione di Dio, che significa: “E’ stato risuscitato
da Dio”. Al messaggio segue subito l’incarico. Le donne sono incaricate di portare la notizia ai discepoli. Il
Risorto li precede in Galilea. E mentre il messaggio pasquale è stato comunicato alle donne da un angelo
come messaggio proveniente da Dio, i discepoli lo ricevono invece dalla bocca delle donne. Benché Matteo
ponga l’accento in maniera marcata sulla tomba vuota, l’annuncio resta tuttavia indispensabile. Noi crediamo
alla risurrezione di Gesù perché ce l’ha detto Dio. Il fattore che determina la fede pasquale non è la tomba
vuota, ma il fatto che i discepoli videro Gesù risorto, il fatto che il Risorto si mostrò ai discepoli vivo.
9 Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: “Salute a voi”. Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo
adorarono. 10 Allora Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in
Galilea e là mi vedranno”.
11 Mentre esse erano per via, alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti
quanto era accaduto. 12 Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di
denaro ai soldati dicendo: 13 “Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi
dormivamo. 14 E se mai la cosa verrà all’orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da
ogni noia”. 15 Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata
fra i Giudei fino ad oggi.
Gesù stesso viene incontro alle donne e dà loro il compito di essere le apostole degli apostoli: “Andate e
annunziate ai miei fratelli…” (v. 10). Esse sono inviate dal Risorto e hanno compreso, almeno confusamente,
il senso della Pasqua, mentre le guardie vanno a riferire ai sommi sacerdoti l’accaduto, ma ne ignorano il
senso.
Questo annuncio portato dalle guardie ai capi del popolo d’Israele è il segno di Giona che Gesù aveva
promesso loro in Mt 12,38-40.
I sommi sacerdoti tengono un consiglio con gli anziani che stranamente assomiglia a quello che preludeva la
passione (Mt 26,3); anche qui rispunta il denaro: come la morte di Gesù era stata valutata in denaro, così
anche la sua risurrezione.
Al messaggio cristiano, che le donne comunicano, essi contrappongono un anti-messaggio, che i soldati
sono incaricati di trasmettere: il messaggio cristiano della risurrezione è una menzogna messa in scena dai
discepoli col furto del cadavere. Ma i testimoni che dormono al momento del fatto non hanno alcun valore.
Le guardie divulgano tra i giudei questa lezione appresa in fretta e pagata bene dai maestri. Così la morte e
la risurrezione del Cristo continuano ad essere “fino ad oggi” la questione cruciale della storia, partendo dalla
quale tutti gli uomini di ogni tempo devono fare una scelta libera e decisiva.
16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. 17 Quando lo
videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. 18 E Gesù, avvicinatosi, disse loro: “Mi è stato dato
ogni potere in cielo e in terra. 19 Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito santo, 20 insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco,
io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Questi pochi versetti formano la conclusione del vangelo secondo Matteo e ci forniscono una chiave
essenziale per una sua esatta comprensione. Il vangelo termina con queste parole di Gesù: “Ecco, io sono
con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, che hanno un’importanza capitale.
Matteo collega l’invio dei discepoli in missione all’evento della risurrezione, poiché il viaggio dei discepoli in
Galilea esegue l’ordine dato dall’angelo (v. 7) e da Gesù (v. 10) alle donne perché lo trasmettessero loro.
Il discorso della missione del capitolo 10 trova qui il suo adempimento: i discepoli finalmente partono.
L’evangelista accenna discretamente al fatto che i discepoli “vedono” Gesù e sottolinea il loro gesto: “si
prostrarono” in segno di riconoscimento della sua signoria. Questo atteggiamento esprime la fede, ma la loro
adorazione rimane mescolata al dubbio.
Gesù si accosta ad essi, come dopo la trasfigurazione (Mt 17,7) e li chiama ad approfondire ancora di più il
loro rapporto con lui. Gli incontri con il Risorto non possono privare la fede della libertà. Gli Undici
rappresentano una povera Chiesa di uomini di poca fede. Confermando loro l’investitura profetica, Gesù li
riveste di ogni autorità (v. 18), quella che gli è stata data in cielo e in terra.
La comunità di quelli che credono in Gesù non trova in se stessa la capacità di credere. Questa proviene
loro dalla potenza stessa di Dio, trasmessa loro dal Risorto. Da lui ricevono lo straordinario potere di
radunare nuovi discepoli con il battesimo e l’ammaestramento. Il battesimo, conferito nel nome del Padre e
del Figlio e dello Spirito Santo, manifesta l’ingresso del cristiano nel Regno, cioè nella vita di Dio. Con esso il
battezzato appartiene a Dio Padre e Figlio e Spirito Santo.
Al battesimo è unito l’ammaestramento; si tratta, non di una lezione da imparare, ma della buona novella del
Regno – che è Gesù stesso in ciò che dice e in ciò che fa – da cui bisogna lasciarsi penetrare. Questo
ammaestramento si presenta come un’azione interiore che esige un comportamento coerente. E’ il vangelo
nella sua totalità che diviene così insegnamento di vita per i discepoli e si manifesta nell’esistenza cristiana.
Nella vita cristiana la vita morale non è altro che il vangelo in atto.
Questo ammaestramento, rivestito di ogni autorità, riguarda tutte le genti (v. 19) perché tutti sono chiamati
alla salvezza, e la comunità intera dei discepoli partecipa alla responsabilità di questa chiamata, in unione
con il Padre che vuole che “nessuno di questi piccoli si perda” (Mt 18,14). Così il discepolo diventa
responsabile di tutte le genti perché il vangelo di Gesù è un messaggio per il mondo.
Dopo la sua risurrezione Gesù non è più sottomesso al tempo e allo spazio, ma il tempo e lo spazio sono
sottoposti a lui. Egli realizza una presenza effettivamente universale. Matteo sottolinea questa universalità
con un quadruplice “tutto” che esprime la totalità dell’azione divina (ogni potere in cielo e in terra), che
prende corpo nella totalità dell’agire umano (insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato)
secondo la totalità del tempo (io sono con voi tutti i giorni) e dello spazio (ammaestrate tutte le nazioni).
Ricordiamo che il numero “quattro” simboleggia il mondo creato, composto da quattro elementi fondamentali
e delimitato dai quattro punti cardinali.
Per Matteo la Chiesa si costituisce vivendo e annunciando Gesù che raduna tutte le genti del mondo e le
immerge nella sua vita e nella sua morte per farle partecipare alla vita e all’azione del Padre nello Spirito. La
comunità cristiana sussiste per la presenza del Cristo in mezzo ad essa (Mt 18,20) e appare come luogo ove
si attesta la presenza universale di Gesù, che abbraccia lo spazio e il tempo.
Il volto della Chiesa secondo il vangelo di Matteo è il volto stesso di Cristo morto e risorto, vivente nel cuore
di suoi discepoli, ai quali ha detto: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v.20).