TRA APOLOGETICA E PATRISTICA 3

2. – ORIGENE (Origene Adamantio,  Alessandria d’Egitto 185 – Tiro 254)

2. 1. – LA PERSONA E L’OPERA

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Origene, vissuto a cavallo tra il II e il III sec. d. C., fu uno dei più grandi eruditi e geni speculativi del Cristianesimo antico. Nato e vissuto per gran parte della sua vita ad Alessandria d’Egitto, qualificò col suo insegnamento catechetico la corrente cristiana della comunità giudaica, che occupava ben due dei cinque quartieri in cui era diviso quel crogiuolo di culture che la città egiziana, che sin dal tempo dei Tolemei si era posta come il faro della cultura del Mediterraneo, assumendo l’eredità della grande tradizione classica e tale essendo rimasta anche in periodo romano.

Origene scrisse in greco, la lingua utilizzata, specialmente dai dotti, in quasi tutto il bacino del Mediterraneo, prima ancora che si affermasse il latino, ma quel che resta della sua opera ci è pervenuto dalla traduzione latina di Rufino, quanto basta tuttavia per renderci conto della modernità di questo autore cristiano, che, come altri intellettuali del tempo, si trovava a dover fare i conti con la ricca e poderosa tradizione classica pagana, col giudaismo e con le eresie che interferivano con l’affermazione dell’ortodossia cristiana, in particolare lo Gnosticismo.

Origene impostò la Teologia come “ricerca metodologica”, considerando che “all’uomo è stata data la capacità di accostarsi a Dio, a Cristo, con la ragione e con la fede”. Servendosi degli strumenti offertigli dal platonismo, dalla cultura pagana cioè, lo studioso restituì dignità al credente cristiano, consentendogli di accostarsi alla Verità non solamente con la fede, ma anche con la ragione. “Per Origene la Teologia consiste nel lavoro di approfondimento umano, che parte dall’atto di fede e lo presuppone, fondandosi, come regola suprema, sull’insegnamento della Chiesa”.

Origene contribuì al chiarimento dei fondamenti della dottrina cristiana con una fervida attività di insegnamento, di studio e di predicazione non privi talora di incomprensioni da parte dei primi responsabili della gerarchia ecclesiastica, il vescovo Demetrio, che pure aveva favorito il suo insegnamento,  e il suo successore Eracla.

Origene ebbe una grande considerazione della natura umana, oggetto privilegiato dell’amore di Dio Padre, che con la natura umana  e per la natura umana soffrì; lo stesso libero arbitrio, che allontana da Dio, riconduce l’uomo a Dio, perché Dio è amore, sommo bene, negazione del male; il male è non essere; quindi l’unico essere è Dio. “Tutto parte da un Dio d’amore”, che crea per amore, per dimostrare amore”.

2. 2. – COMMENTARIUS IN CANTICUM CANTICORUM

Si richiama l’attenzione sulla ricchezza  di riferimenti culturali presenti in questo autore cristiano, relativamente non solo alla conoscenza dei testi sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento, in particolare gli scritti di Paolo, ma anche alla cultura pagana, in particolare la filosofia di derivazione platonica.

Si veda la sua  “esegesi” del Canticum Canticorum, libro dell’Antico Testamento, attribuito a Salomone (1000 circa a. C.)

IL Cantico dei Cantici (Canticum Canticorum) tra i libri dell’Antico Testamento è uno dei più difficili da comprendere. Tratta dell’amore terreno nelle forme ricche di dettagli sensuali, ma non scevre di delicatezza di sentimenti e di immagini poetiche, dove un ambiente agreste e pastorale, con la sua lussureggiante amenità assume un ruolo determinante di cornice al sentimento amoroso, che unisce due creature, un uomo e una donna. Il libro, come è noto, ha turbato la sensibilità in specie dei lettori antichi (ma anche dei moderni): ci si è chiesto che senso può avere nella Bibbia la presenza di un inno vibrante di passione e di gioia derivanti dall’amore terreno.

Va chiarito che l’Antico Testamento, più del Nuovo, fa ricorso ad un linguaggio figurato, ricco cioè di simboli, tipico delle culture, per così dire, primitive, che percepiscono la realtà per immagini.

Origene, formatosi alla scuola filologica e filosofica di Alessandria, affronta l’esegesi del “Cantico” su un piano di alto intellettualismo, che gli permette di utilizzare sapientemente gli strumenti della scuola (filologia e filosofia), unitamente alla conoscenza della predicazione paolina, per dare senso ai contenuti dell’interessante testo biblico.

La via che l’autore cristiano imbocca è quella dell’intepretazione allegorica del testo, stabilendo un “criterio” di lettura, che trova nella Bibbia stessa gli elementi interpretativi. Per Origene la Bibbia può essere letta a tre livelli: quello del “semplice”, dell’uomo semplice, che non va, per i suoi limiti, oltre il significato letterale e che comunque già in esso “si edifica”; quello del “progredito”, dell’uomo cioè avviato ad un sapere, ad una conoscenza più profondi, che “si edifica” scoprendo l’ “anima” del racconto; quella del “perfetto”, di colui che è già addentro ai misteri divini e che pertanto già li pregusta,  il quale “si edifica” nella conoscenza “spirituale”.

Il “Cantico” quindi, attraverso il linguaggio amoroso, enuncia “realtà invisibili ed eterne”: l’amore della “sposa” è l’amore dell’ “anima perfetta” e “lo sposo” è il “Verbo” di Dio.

Scrive Origene: “E’ scritto: amiamoci gli uni con gli altri, perché l’amore è da Dio, e, poco dopo è detto: Dio è amore”: questa la sintesi di tutto il suo lavoro esegetico. E, più avanti, citando Paolo: “L’amore sopporta tutto, crede tutto, tollera tutto. L’amore non viene mai meno”, per concludere che “Il Cantico dei Cantici parla di tale amore: dell’amore di Dio, che è incorruttibile, di cui arde l’ anima beata”.

Un canto nuziale quindi con tutti gli ingredienti dell’amore terreno, l’amenità della natura, la grazia femminile, la bellezza dello sposo, i profumi inebrianti, il vino, il banchetto, ma tutto in chiave mistica. “L’anima beata”, dice Origene, “canta questo canto nuziale ispirata dallo Spirito Santo, per mezzo del Quale la Chiesa si accosta a Cristo, lo Sposo Celeste, desiderando unirsi con Lui per mezzo della Parola, per concepire da Lui”.

2. 3. – LA FILOSOFIA CRISTIANA

Il “De principiis”

Il De Principiis è l’opera fondamentale di Origene, pervenutaci in traduzione latina. Essa non solo contiene il pensiero dell’autore, ma si può considerare la prima sistemazione organica e sistematica della dottrina cristiana e punto di partenza del metodo di ricerca, che influenzerà gran parte della filosofia moderna, da Leibniz a Kant.

Fino ad Origene dogmatismo e filosofia avevano tenuto strade diverse. Con Origene le strade si incontrano. Egli, partendo dalla definizione dogmatica della Trinità e dell’Unità di Dio, dà ragione della creazione del mondo e della libertà delle creature con un’intuizione ardita, tanto ardita che dall’ortodossia fu ritenuta per qualche tempo eretica, fino alla condanna di alcune sue tesi da parte dell’Imperatore Giustiniano. Probabilmente proprio a  queste incomprensioni si deve la perdita di gran parte della ricchissima produzione apologetica, esegetica e dogmatica origeniana, della quale, tra poche altre testimonianze, sopravvive la versione latina del “Perì archòn”, il “De principiis” appunto.

Si veda la difficile e discussa materia dell’origine del mondo e del rapporto del mondo con Dio secondo il pensiero di Origene.

Il mondo, per il pensatore, dipende da un atto creativo di Dio, che, “ab aeterno” crea unitariamente tutte le creature: preesistenza delle anime, successione dei mondi e apocatàstasi (cioè ricapitolazione finale del mondo) sono i tra cardini in cui si incentra il processo che dalla creazione unitaria del mondo porta alla molteplicità delle creature e al ritorno, alla fine del mondo, all’unità primigenia.

Protologia ed escatologia, inizio e fine coincidono.

Immutabile pertanto è solo Dio Padre, l’unità; caratteristica delle nature è la molteplicità: di tale molteplicità partecipa il Figlio, Cristo, creatura tra le creature.

Contrassegno delle creature, oltre la molteplicità, è la diversità: ecco spiegata la divisione tra nature celesti (gli angeli), nature terrestri (gli uomini) e nature infernali (i demoni). Tale distinzione e varietà delle nature è stata possibile grazie alla libertà che Dio Creatore ha loro concesso con l’atto creativo.

Tutte le nature esistenti sono il riflesso dell’unità originaria, in quanto tutte sono “ab aeterno” nel Logos. Ma mentre tutte le nature si sono distanziate dal Logos, solo Cristo si è identificato con Esso. L’anima di Cristo, ha detto il relatore, è una natura talmente infiammata dal Logos, da identificarsi con Esso, così come il metallo, messo nel fuoco, diventa incandescente, diventa fuoco esso stesso.

La creazione di Dio è perfetta, il mondo solo secondariamente e accidentalmente si è rivestito di materia, per un atto di libertà, che è prevaricazione, sì, ma nel contempo,  anche unica via di progresso: la creatura non può progredire se non nella libertà. Il corpo pertanto non è negativo, ma strumento di espiazione e di purificazione.

L’apocatastasi intanto non si può realizzare nell’arco di un solo mondo, ma esige una successione di mondi, secondo cicli cosmici di rarefazione e condensazione, per cui si ipotizza che lo stesso libero arbitrio, che ha allontanato l’uomo da Dio, alla fine, riconoscendo l’atto di amore di Dio Creatore, ritornerà a Lui senza ricadute.

Va puntualizzato quanto del pensiero greco, dallo Stoicismo al Neoplatonismo, sia presente in questo autore cristiano, che pure resta perfettamente in linea col messaggio biblico e l’ortodossia cattolica: parla di una teodicea, che è bontà e giustizia insieme, parla di una libertà delle creature, che è tale da consentire di allontanarsi da Dio, ma anche di tornare a Lui: anche Giuda quindi si salva. Un Dio buono non condanna e un Dio che condanna non è onnipotente.

TRA APOLOGETICA E PATRISTICA 3ultima modifica: 2011-04-06T13:42:00+02:00da meneziade
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