S. BASILIO MAGNO

3. – S. BASILIO MAGNO ( Cesarea di Cappadocia, attuale Kaysery, 329Costantinopoli379)

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3. 1. – LA PERSONA E L’OPERA

L’attenzione alla figura di S. Basilio è giustificata da diversi fattori: la consistente presenza dei Basiliani in terra salentina, il notevole contributo apportato da S. Basilio alla definizione dei rapporti tra Cristianesimo e cultura classica, il modello di amicizia che scaturisce dai suoi rapporti epistolari con Gregorio di Nazianzo ed in fine la sua “sensibilità sociale”, da cui prende l’avvio la Dottrina Sociale della Chiesa.

Siamo nel periodo dell’Editto di Costantino (313) e del Concilio di Nicea (325), in seguito a cui il Cristianesimo, libero dalle persecuzioni, ha la possibilità di “respirare” a pieni polmoni e gli intellettuali cristiani, non più costretti a difendersi, assumono gli strumenti della cultura pagana per approfondire le ragioni della loro Dottrina.  Da studiosi attenti e profondi essi acquistano gli statuti della Retorica e della Filosofia classiche e se ne servono con agilità e disinvoltura operando la sintesi tra tradizione classica e pensiero cristiano.

Tali furono i tre Padri detti Cappadoci, Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, nati nella Cappadocia, una regione interna dell’Asia Minore cristianizzata.

Basilio e suo fratello minore Gregorio di Nissa erano di famiglia ricchissima, discendente da Gregorio Taumaturgo, che aveva introdotto il Cristianesimo in quella regione. Basilio era legato da profondi vincoli di amicizia con Gregorio di Nazianzo.

Tutti e tre furono vescovi, ma solo Basilio dette un’impronta notevole al suo ministero, non solo in ragione della sua precedente esperienza ascetica e monastica, ma anche e soprattutto per l’energia con cui si impegnò a combattere l’eresia ariana e per le opere di carità che intraprese, tra cui la fondazione di una città dei poveri e dei diseredati, una sorta di ospizio non privo di attrezzature mediche, cui dette il nome di Basiliade.

La produzione letteraria di S. Basilio è vastissima.

Tra le opere ascetiche ha citato i Moralia e  le Regole; in esse si fissano le norme della vita monastica, basata su lavoro e preghiera, ma non come imposte e piovute dall’alto, sì bene come risultato di un colloquio coi suoi monaci, fatto di domande e risposte a margine della lettura delle Sacre Scritture: donde il loro valore esegetico di ricerca della verità.

Le Omelie sono delle vere e proprie “orazioni” nel senso classico della parola, ma si impongono anch’esse per il loro valore esegetico di spiegazione ed interpretazione delle Scritture: notevoli le Omelie sull’Esamerone (i 6 giorni della Creazione) e quelle sui Salmi, interessanti soprattutto per la tematica sociale.

A parte stanno le opere “teoretiche”, cioè speculative, Contro Eunomio, con cui il Padre della Chiesa confuta le teorie ariane di Eunomio, e De Spiritu Sancto, in cui si dimostra un finissimo  teologo difendendo il dogma della Trinità.

Oltre il ricchissimo epistolario S. Basilio ha lasciato uno scritto particolare, il Discorso ai giovani sul modo di trarre profitto dalle letture pagane, utile per capire la consapevolezza che i Padri della Chiesa ebbero di essere degli intermediari tra la cultura pagana e quella cristiana, ma soprattutto il valore “paideutico”, cioè di formazione dei giovani, che essi davano alla letteratura, in  perfetta sintonia con la migliore tradizione retorica latina e greca (ricorso alle figure retoriche), l’aderenza alle Sacre Scritture (insistente e puntuale  citazione dei passi biblici) e soprattutto la maturazione di un Cristianesimo che si riconosce nell’Amore “siamo nati per amare” e nell’anelito alla pace “nulla infatti è proprio del cristiano quanto lavorare alla pace”.

3. 2. – LA PREDICAZIONE

Cultura classica, esegesi biblica, impegno pastorale

Uno degli strumenti della precettistica cristiana, utilizzato fin dalle origini nella pratica di fede, fu l’Omelia.

La parola, di origine greca, significa “conversazione” e si richiama  ai primitivi incontri dei fedeli nelle assemblee liturgiche, durante le quali il sacerdote si assumeva il compito di istruire, educare gli adepti ai contenuti della dottrina cristiana, commentando i testi sacri, in una maniera elementare ed adatta ad un pubblico generalmente poco colto.

Questo strumento, alle origini di semplice indottrinamento, doveva nel tempo paludarsi di una patina letteraria, fino a diventare la prima espressione della Retorica in ambito cristiano. E ciò grazie all’apporto di dottrina e di cultura da parte dell’Apologetica e della Patristica cristiane, imbevute di studi filosofici e retorici classici.

I Padri della Chiesa non si sottrassero a questo tipo di accostamento alla tematica religiosa nei rapporti coi fedeli ed accanto alle forme più dottrinali dell’indagine teologica, come la trattatistica sui temi fondamentali della teologia cristiana e l’esegesi critica dei testi in ragione anche della confutazione delle posizioni eretiche, curarono l’Omiletica, cioè il rapporto diretto col loro pubblico, sotto forma appunto di prediche e conversazioni. In questo settore anzi sortirono un successo più immediato e sicuro in termini di rinforzo e di conferma del credo cristiano: non si dimentichi che gran parte di loro furono vescovi con una forte connotazione pastorale. L’essere stati poi uomini di cultura consentì loro di rivedere le proprie Omelie in chiave letteraria, di raccoglierle in base agli argomenti trattati e di pubblicarle.

S. Basilio utilizzò l’Omelia non in forma banale, come semplice intrattenimento su temi sia pure importanti della Religione cristiana, ma in maniera dotta, partendo da un riferimento biblico preciso e documentato e intessendo le sequenze del suo ragionamento con citazioni dell’Antico e del Nuovo testamento, senza tuttavia pesare sul suo uditorio, ma attirandolo con un linguaggio semplice, con garbo e senza superare i limiti dell’attenzione e le possibilità della partecipazione. Il Vescovo sapeva di parlare a gente umile, che aveva lasciato la casa ed anche il lavoro per ascoltarlo e che spesso era dibattuto ed angosciato da problemi esistenziali.

Ma mentre l’esegesi biblica appare evidente ed è in realtà il fine cui tende la predicazione con l’obiettivo di formare ai temi trattati le anime degli ascoltatori (vedi soprattutto le omelie sulla Creazione e quelle sui Salmi), è il sostrato di cultura classica su cui esse si fondano, che va notato

Così in Hom. mor. 3, dove l’esordio è “Rifletti su te stesso”, chiaramente desunto dai precetti della morale delfica “Conosci te stesso” e “Nulla di troppo”, ma per arrivare a conclusioni di grande elevazione morale. “Se sarai memore della tua natura non ti inorgoglirai”, perché la condizione umana è di precarietà e di instabilità. Tuttavia l’uomo non deve deprimersi oltre misura, pensando a chi somiglia: “Innanzi tutto sei uomo, il solo degli esseri viventi plasmato da Dio…Hai ricevuto un’anima dotata di facoltà intellettiva, grazie alla quale comprendi Dio…Tutti gli animali terrestri, domestici e selvatici, tutti quelli che vivono nell’acqua e quanti volano nell’aria sono al tuo servizio…Non sei capace di solcare gli oceani grazie alla ragione?…Hai il sole…la luna…hai i piedi…hai la terra, più pregevole di molto avorio; hai dolce riposo su di essa e sonno veloce e libero da preoccupazioni. Non giaci sotto un tetto d’oro, ma hai il cielo rilucente dell’indicibile bellezza delle stelle. Questi beni sono umani, ma ne hai di maggiori….l’incarnazione di Dio, la distribuzione dello Spirito Santo, la distruzione della morte, la speranza della resurrezione… il regno dei cieli pronto…Non lasciare dunque che l’intelletto assoggettato diventi schiavo delle passioni”.

Si parte sì da una visione antropocentrica di matrice classica, ma per arrivare all’universalità dell’atto di creazione divina, dove tutto il creato è in armonia delle parti. Così ancora in Hom. mor. 12, tutta incentrata sulla metafora della nave, immagine della vita, e sulla metafora del nocchiero, immagine dell’uomo prudente ed attento, su cui tanta letteratura greca e latina aveva espresso pensieri profondi e di sublime poesia (Alceo, Orazio). “L’uomo prudente otterrà la guida della nave (Prov. 1, 5)…Come dunque è impossibile che il mare rimanga lo stesso a lungo (ora lo vedi piatto e fermo e poco dopo agitato dalla violenza dei venti, e peraltro una profonda bonaccia subito appiana quello rabbioso e squassato dalle onde), così anche i casi della vita facilmente sono sottoposti a rivolgimenti. Perciò c’è bisogno di un nocchiero, affinché anche quando c’è bonaccia e tutto procede secondo corrente, sia pronto ad accogliere i cambiamenti e non si adagi sulla situazione presente come se dovesse durare sempre, e non perda ogni speranza nelle circostanze più tristi, e inghiottito dall’afflizione più grande non sia portato sott’acqua. Perché né la salute del corpo, né il fiore della giovinezza, né la prosperità della casa, né tutte le altre situazioni felici della vita possono durare a lungo…non sempre il vento sta a poppa…” Il riferimento immediato è alla figura del “sapiens” stoico, che conserva di fronte ai marosi della vita la sua “indifferenza”, ma S. Basilio va oltre; pur consigliando di non inorgoglirsi nelle prosperità e di non abbattersi nelle disgrazie, vuole, sul modello dell’auriga di Platone, che si tengano a freno le passioni, che si cavalchino i marosi scatenati dai desideri della carne.

Non meno interessante nell’Omiletica basiliana è intanto la dimensione pastorale, dove il Vescovo manifesta la sua paterna attenzione alla vicende umane ed esistenziali dei suoi figli spirituali, come in Hom. mor. 8, in cui mostra tutta la sua afflizione per le condizioni di miseria in cui versava la gente a causa della siccità: “I contadini, sedendo nei campi e intrecciando le mani sotto le ginocchia (questo è l’atteggiamento di coloro che si dolgono) piangono le loro vane fatiche; guardano i loro piccoli figli e gemono, tengono gli occhi sulle donne e si lamentano, palpano e tastano le erbe secche delle messi, scoppiano in grandi gemiti come padri che hanno perduto i figli nel fiore dell’età.” In cui pure, con grande espressione di umanità,  riesce a disincantare il momento di difficoltà, spostando l’attenzione sull’innocenza dei bambini presenti alla predica: “Questi bambini piccolissimi che, dopo avere deposto le tavolette a scuola, vociferando insieme a noi, partecipano alla liturgia come se fosse una ricreazione e un divertimento, facendo della nostra afflizione una festa perché sono liberati per un po’ dalla molestia del maestro e dal pensiero degli studi”.

3. 3.- UN MONACHESIMO CONTEMPLATIVO E ATTIVO.

L’ Ascesi basiliana.

Ripercorrendo l’intensa biografia del Dottore della Chiesa balza subito all’attenzione come la scelta della vita monastica avvenne quasi subito, a ridosso della sua formazione culturale, pregna di studi retorici compiuti ad Atene e sempre circondato e nutrito dall’atmosfera di sincera religiosità che spirava, già dalla generazione precedente, nella sua famiglia, consolidata e resa forte dal sodalizio propositivo con l’amico Gregorio di Nazianzo e il fratello Gregorio di Nissa, paradigma eloquente della “filia”cristiana.

Un ambiente di alta aristocrazia intellettuale quello cappadoce, fatto di profonde conoscenze testamentarie costruite sulla base di una solida cultura classica e sostenuto dalle strutture socio-economiche patrimoniali messe tutte a disposizione dei poveri.

E’ Gregorio di Nazianzo che, a poca distanza dalla morte dell’amico, ci informa sulla gestazione e sulla nascita del “cenobio” basiliano, sin dal ritiro del Santo nella sua proprietà di Annisi, in prossimità del Mar Nero, in cerca di una solitudine che lo mettesse più in relazione con Dio, “…libero dalla frequentazione degli uomini, affinché nessun estraneo interrompa la continuità dell’ascesi…”, immerso in una “quiete” in cui “lingua”, “occhi”, “udito” fossero completamente immersi nei Misteri delle Sacre Scritture, fino al sostanziale mutamento di rotta, che doveva convincerlo che una vita comunitaria (cenobio) avrebbe favorito l’ascesi più dell’eremo..

Nella vita comunitaria la ricerca di Dio non è fatta solo di meditazione solitaria, ma di dialogo, di esegesi biblica e di lavoro.

Ecco quindi l’idea delle “Regulae”, le Regole, quelle “ampie”, fatte di argomentazioni approfondite ed articolate, e quelle “brevi”, fatte di risposte immediate ad uso pratico, tutte basate sul modello di risposta a domande di chiarimento (eretopocriseis), una sorta di enciclopedia biblica consultabile ed  utile alla formazione morale e teologica dei cenobiti.

Nel prologo “De fide” (Sulla fede) S. Basilio spiega le ragioni delle Regole: dare un compendio sintetico del contenuto almeno del Nuovo Testamento, con la citazione dei passi presi in considerazione, in modo da consentire a chi volesse di operare ricerche e approfondimenti per conto suo, oltre che sul Nuovo, anche sull’Antico Testamento: “Dai al saggio un’occasione e diventerà più saggio”(Prov. 9, 9): a quanto pare, ragione eloquente di un metodo di ricerca esegetica quanto mai proficuo e stimolante!

Ascesi significa “esercizio” (dello spirito) ai fini della “ricerca” della perfezione morale; all’ascesi segue una “metanoia”, un pentimento, che è fonte di conversione: a questo tende il dialogo fraterno durato nei ritiri notturni dei “cenobiti” basiliani, dopo i tempi delle “lodi”: questo il messaggio di vita cristiana lasciato da S. Basilio alle generazioni future; e S. Benedetto ne colse il senso più profondo.

Espressione concreta di questo modo di sentire e di fare fu, come è noto, la fondazione di “Basiliade”, la città dei poveri, dove il criterio della fraternità fu applicato in un impegno continuo, giornaliero di lavoro, di preghiera e di rinuncia a tutto: “…la parola del Signore ci mostra come sia per noi impossibile accostarci ad esso se prima non abbandoniamo, in un solo atto, ciò che ci appartiene: e ricchezze e gloria e parentela e qualsiasi altra cosa che sia oggetto di desiderio e ricerca da parte dei più…La rinuncia…è principio della nostra assimilazione a Cristo, che, essendo ricco, per noi si fece povero…”

Ma anche il “vivere insieme” abbisogna di qualche regola: non basta vivere insieme, ma bisogna mettere anche a frutto i propri doni: “Iddio Creatore ha stabilito che noi si debba essere utili a vicenda…Nella convivenza con molti altri si fruisce del proprio dono, lo si moltiplica col farne parte e si gode del frutto dei doni altrui come del proprio…La vita solitaria, invece, è accompagnata da pericoli…Il primo e più grande è quello dell’autocompiacimento. Poiché se uno non ha chi possa valutare la sua opera, crederà di essere giunto alla perfezione…Inoltre, tenendo sempre racchiuse, senza esercitarle, le proprie attitudini, non conosce i suoi difetti, né si accorge del progresso fatto nelle opere…”

Giustamente nella fondazione di  Basiliade Gregorio Nazianzeno vedeva un’opera più meravigliosa di Tebe dalle sette porte, di Tebe d’Egitto, delle mura di Babilonia, della tomba di Mausolo in Caria, delle Piramidi, del bronzo di Colosso, tutte costruzioni “Passate alla storia e delle quale nessuna ha arrecato guadagno ai propri costruttori, tranne un po’ di gloria”.

3. 4. – LA CULTURA E LA VIRTU’

Ad iuvenes

L’ “Ad iuvenes” (Ai giovani) è un opuscoletto pervenutoci nella sua veste letteraria, ma che, a quanto è possibile congetturare, è di derivazione omiletica. Una veste letteraria resa ancora più preziosa dalla traduzione in elegante italiano dall’ umanista Leonardo Bruni. “Ad iuvenes” è il titolo della traduzione latina del testo che S. Basilio produsse in greco.

S. Basilio interpreta il  momento del passaggio dalla cultura  pagana a quella cristiana, uno dei più complessi fenomeni della storia della cultura, che, come dimostra lo studio dei Padri della Chiesa, si configura non come soluzione di continuità, né come innesto forzato e innaturale, ma in termini di prosecuzione e continuità, assimilazione e simbiosi.

Il Vescovo di Cesarea è una stella di prima grandezza nel firmamento della chiesa per la sua conoscenza ricca e profonda degli autori classici, per la sua lineare esperienza ecclesiale e per l’esempio concreto di vita cristiana. Una “autorità”, come riconosce Leonardo Bruni nella lettera dedicatoria a Coluccio Salutati della traduzione dell’ “Ad iuvenes”, sul piano della cultura tout court:  “…autorità che è presso i Greci tanta che, sia per austerità di vita, sia per castità di costumi sia inoltre per frequentazione assidua di nobilissime arti e sapienza di sacre lettere, egli è ritenuto primeggiare fra quasi tutti gli altri”.

Il mondo classico e la cultura cristiana si incontrarono sulla via della ricerca della virtù nel contrasto tra virtù e vizio, tra bene e male, di cui nella tradizione classica l’esempio più eclatante è quello di Eracle al bivio. S. Basilio nell’esortazione ai giovani invita a porsi criticamente di fronte alla scelta tra il bene e il male, attingendo agli autori, che hanno disputato sulla tematica etico-esistenziale: non importa se essi siano pagani. Il criterio di lettura deve essere finalizzato alla scelta del bene, di cui è ricca la tradizione letteraria e di cui largo uso si faceva già nelle scuole pubbliche del tempo ai fini della formazione dei cittadini.

La vita celeste supera quella terrena e ad essa ci avviano le Sacre Scritture, ma da giovani non è possibile comprendere il “senso profondo” di esse. Ecco allora l’invito di S. Basilio ai giovani di esercitarsi su “altri libri non del tutto diversi”: “…dobbiamo renderci familiari poeti, storici, retori e tutti quelli dei quali si possa ricavare qualche utilità per la cura delle nostre anime…Se si vuole che l’idea del bene resti in noi indelebile, dopo esserci dedicati a questi studi profani, capiremo anche i Misteri delle Sacre Scritture”.

Grande il significato pedagogico dell’ “Ad iuvenes” anche per la metodologia di approccio ai testi classici offerta dal Santo con la rivalutazione dell’importanza dell’erudizione e della dottrina, da non vedersi fini a se stesse, ma proiettate verso una dimensione universale del sapere, finalizzato alla formazione, ovviamente cristiana, dell’uomo: “Perché è necessario che mediante la virtù noi accediamo alla vita che è nostra, e d’altra parte proprio alla virtù hanno cantato molte lodi i poeti, molte i prosatori, e ancora più i filosofi… E’ vantaggio non da poco che una certa familiarità e consuetudine alla virtù nasca nell’animo dei giovani, giacché proprio tali insegnamenti restano indelebili per natura, imprimendosi in profondità nelle loro tenere anime. E a quale scopo dobbiamo pensare che Esiodo componesse quei versi che tutti cantano, se non per esortare i giovani alla virtù?: ‘Aspra all’inizio e difficile da percorrere, e piena di sudore copioso e di fatica, e in salita la strada che porta alla virtù’. Perciò non tutti sono in grado di imboccarla per la sua ripidezza, né di arrivare facilmente alla vetta dopo averla imboccata. Ma a chi riesce ad arrivare è dato di vedere dall’alto come essa sia piana e bella, come sia facile e di agevole percorso, e più piacevole dell’altra che conduce al vizio e che – come dice lo stesso poeta – è di comodo accesso lì vicino…E naturalmente, se anche qualcun altro cantò lodi della virtù simili a queste, accogliamone i discorsi come quelli che ci conducono allo stesso fine

S. BASILIO MAGNOultima modifica: 2011-04-08T13:44:00+02:00da meneziade
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