S. GIOVANNI CRISOSTOMO

5. –  S. GIOVANNI CRISOSTOMO (Giovanni d’ Antiochia, Antiochia 344 – Comana, 407)

 

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5. 1. – LA PERSONA E L’OPERA

 

Il contributo offerto dai Padri della Chiesa alla storia della cultura è enorme: solo per rimanere nell’ambito linguistico, essi dettero un’impronta particolare alla “coinè”, il greco parlato e letterario dell’ età ellenistica, e al latino, di cui arricchirono il lessico con l’introduzione di grecismi, idiotismi, termini giuridici e neologismi, al fine di rendere universale il loro  messaggio.

Grazie ai Padri, in un momento di decadenza della cultura occidentale a causa delle invasioni barbariche, il Cristianesimo mantenne alto il prestigio della tradizione classica.

Ad introdurre la figura di S. Giovanni Crisostomo è stato  il prof. Antonio Cataldo, docente di Letteratura Cristiana Antica dell’Università degli studi Di Lecce.

Nato ad Antiochia di Siria intorno al 345 da famiglia cristiana, si formò negli studi della Retorica classica. Dopo avere esercitato per un breve periodo la professione di avvocato, intraprese la carriera ecclesiastica diventando un ottimo predicatore fino ad essere nominato Vescovo e Patriarca di Costantinopoli.

Il suo impegno contro la corruzione della Corte imperiale di Arcadio gli valse l’ostilità della  regina Eudossia, per cui fu deposto dal Patriarcato e mandato in esilio, riuscendo tuttavia in vari momenti a non abbandonare la sua fervida attività di predicatore, cosa che gli meritò il soprannome di “Crisostomo”, bocca d’oro.

Anche S. Giovanni Crisostomo, come gli altri Padri della Chiesa, fu un autore molto prolifico. La sua immensa produzione, in un periodo della storia della Chiesa contrassegnato da un dibattito teologico molto acceso, che vide il formarsi di molte sette eretiche e la necessità per la Chiesa di riunire molti Concili ecumenici chiarificatori dell’ortodossia,  comprende trattati di grande impegno documentario e stilistico, ma fu l’Omelia il genere letterario in cui S. Giovanni Crisostomo sin specializzò, per così dire, facendone uno strumento non solo di comunicazione coi fedeli sulla parola di Dio, ma anche di esegesi biblica, ed anzi entrando in una costruttiva disputa tra chi perseguiva una interpretazione solo allegorica dei testi sacri, come i Padri alessandrini, e chi quella letterale, come i Padri antiocheni, affermando che le scritture di per sé forniscono gli strumenti di interpretazione interni, lungi da ogni forzatura (v. Commento al Profeta Isaia V, 3).

Immenso anche il numero delle Omelie, alcune delle quali spurie. Se ne contano circa 650, tanto che per catalogarle gli studiosi le hanno divise per temi e per destinatari: alcune sono molto prolisse, ma tutte si distinguono per la chiarezza espositiva e la capacità di persuasione, di derivazione classica.

 

5. 2. – IDENTITA’ CRISTIANA ED USO DEI BENI TERRENI.

 

Sul tema scottante ed attualissimo dell’identità cristiana, cioè sulla visione cristiana della vita, su cui è impostata la sua prima Enciclica di Benedetto XVI“Deus Caritas est”, S. Giovanni Crisostomo  tornò più volte nelle sue Omelie

Sono stati evidenziati quattro testi desunti dalle omelie di Crisostomo appartenenti all’ultimo periodo della sua attività pastorale, quello costantinopolitano, prima della rottura definitiva con l’Autorità imperiale, un periodo contrassegnato da  sollecitudini pastorali, ma soprattutto teologiche ed ascetiche, mirate ad influire profondamente sul tessuto sociale della comunità cristiana cui erano destinate.

Come è riscontrabile in tutti i Padri della chiesa, uomini dotti prima che uomini di fede, per Crisostomo l’esegesi dei testi sacri,  su cui sono impiantate le omelie, non è mai disgiunta da una interpretazione filologica e lessicale.

A proposito delle  ricchezze spiega che in lingua greca esse si chamano  “cremata”, parola che deriva dal verbo “chraomai”, che significa “usare”, non “possedere”. Unico padrone del Creato è Dio, il quale ha creato l’aria, il sole, l’acqua, la terra, il cielo, il mare, la luce, gli astri, perché tutti gli uomini ne facessero uso, in assoluta eguaglianza, come fratelli: “Ha fatto per tutti gli stessi occhi, lo stesso corpo, la stessa anima, una struttura fisica simile in tutti”. Finché tutti usano i beni della terra senza appropriarsene, non c’è lotta, non c’è né tuo, né mio, quindi non c’è odio. La comunanza è secondo natura, la proprietà no.

Ma nel mondo ci sono i ricchi e ci sono i poveri: Crisostomo affronta la questione non solo dal punto di vista della legittimità, ma anche dal punto di vista per così dire “razionale”, osservando che mentre una città fatta tutta di ricchi sarebbe destinata a perire, poiché nessun ricco sarebbe disposto a fare lavori servili, una città fatta tutta di poveri, poiché i poveri sono provvisti di “braccia  indurite al lavoro e mani callose”,  sarà giustamente autosufficiente.

Se le ricchezze sono beni materiali, pietre preziose, oro, argento, vesti di seta e di porpora ricamate d’oro, non servono a niente; sono ricchezze improduttive e innescano la cupidigia e l’avidità.

Ricco è invece chi non ha bisogno di molte cose ed usa la forza delle sue mani: “Se infatti si deve costruire, non c’è bisogno di oro, argento e perle, ma di perizia tecnica e di braccia, legname e pietre; se poi bisogna tessere una veste, di nuovo non ci servono oro ed argento, ma braccia e abilità operaie…E se bisogna coltivare e zappare la terra?…”: i poveri senza ricchi possono vivere, i ricchi senza i poveri no.

Ma ammettiamo, dice Crisostomo, che la ricchezza sia giusta e non frutto di usurpazione; sarà ugualmente “una cosa cattiva e perfida”, se non se ne farà  parte ai bisognosi.

Il fervore apostolico di S. Giovanni Crisostomo non risparmia critiche neppure alle gerarchie ecclesiastiche, interessate ad ammassare beni materiali, piuttosto che a distribuirli: “…la Chiesa non si trova affatto in una condizione migliore di quella degli uomini di questo mondo…” , ma proprio questo suo modo di fare rende più efficace e credibile la sua predicazione, proponendo con insistenza un riferimento ai valori evangelici della carità e dell’eguaglianza finalizzati al sostentamento dei poveri,  alla difesa degli oppressi, alla sollecitudine dei pellegrini, all’aiuto dei perseguitati, alla cura degli orfani, all’assistenza delle vedove e alla protezione delle vergini.

Questa attenzione ai poveri ed ai bisognosi torna insistente in tutte le sue omelie con una prospettiva non utopistica dell’uso comunitario dei beni, modellato sull’evangelico : “va, vendi i tuoi beni, danne il ricavato  ai poveri e seguimi”.

 

5. 3. – DE SACERDOTIO

 

Il prof. Antonio Cioffi, Ordinario di Filolosofia e  Patrologia presso l’ISSR di Castellammare di Stabia, ha tenuto la relazione su una delle opere più conosciute e tradotte dell’intera Patristica, il “De sacerdotio”.

Si tratta di un dialogo sul modello platonico; interlocutori, l’autore e un certo  Basilio, alter ego impliciti, come spesso negli autori classici.

L’opera fu scritta dopo il 386, l’anno della sua ordinazione presbiterale e parla del sacerdozio non soltanto in quanto aspetto della vita del cristiano, cui tutti i fedeli accedono col battesimo, ma in quanto aspetto precipuo di un ministero, quello appunto sacerdotale, che, in quelle antiche comunità cristiane, veniva concesso per elezione, sia che si trattasse dei presbiteri, sia degli stessi vescovi.

In particolare ad Antiochia, la terza metropoli dell’ Impero, dopo Roma ed Alessandria, c’erano molte chiese: i sacerdoti erano in esubero e quindi le candidature dovevano essere soggette ad una seria selezione.

S. Giovanni  Crisostomo vuole che non si accostino al sacerdozio gli indegni, gli incapaci, i furbi e gli ambiziosi. Vuole che l’assemblea dei fedeli, riunita in amore fraterno, si lasci guidare dallo Spirito Santo a scegliere i candidati migliori e senza lasciarsi influenzare dai partiti che talora si formano all’interno del clero.

L’opera nel complesso ha una grande importanza perché descrive la figura ideale del vero sacerdote ministeriale, avendo presente Cristo, il Buon Pastore.

Il sacerdozio si esercita sulla terra, ma con lo sguardo rivolto al cielo. E, d’altro canto, i fedeli sono intransigenti nel giudizio sui loro sacerdoti: non perdonano loro  nessuna insufficienza.  Il sacerdote deve essere umile, mite, ma anche energico e non servile, amico di   tutti senza preferenze: in lui si pretende autenticità di vita.

Sacerdoti e fedeli sono un corpo solo e ciò significa che come popolo  di Dio  tutti devono cooperare alla vita della chiesa.

S. Giovanni Crisostomo sentì il fascino della vita monacale, ma poi ritenne più utile per lui e la comunità l’impegno sacerdotale: il monaco si ritira dal mondo e si dedica tutto alla perfezione della sua anima, il sacerdote vive nel mondo e ne conosce le dinamiche, pur dovendosi conservare puro di fronte alle tentazioni.

Il “De sacerdotio” è in questo senso il programma della vita sacerdotale di Crisostomo, sia nel periodo presbiterale, che in quello di vescovo: una vita sacerdotale improntata esclusivamente sulla santità; ed è nel contempo il modello di vita suggerito a quanti vogliano essere veri sacerdoti ministeriali: “Quando vedi il Signore sacrificato e giacente, e il sacerdote che presiede al sacrificio e prega, e tutti arrossati di quel sangue prezioso, credi ancora di essere tra gli uomini e di stare sulla terra? Ma non ti senti subito trasportato nei cieli e, spoglio lo spirito di ogni pensiero della carne, con l’anima nuda e con la mente pura, contempli le cose celesti? O meraviglia! O amore di Dio verso gli uomini!…Ora,  ti sembrano queste cose degne di essere disprezzate, o essere tali che uno possa esaltarsi contro di esse?” Ed ancora: “Se qualcuno pensasse quale grandezza sia che, pur essendo uomo e pur ancora intessuto di carne e sangue, possa essere vicino a quella natura beata ed illibata, allora vedrebbe bene di quanto onore la grazia dello Spirito abbia reso degni i sacerdoti”.

5. 4 . –  AGIOGRAFIA MARTIRIALE FEMMINILE

L’ Agiografia è un settore della Storiografia che prende in considerazione le vite dei Santi, le cui vicende personali e scelte di vita, danno allo studioso la possibilità di ricostruire un quadro completo delle epoche storiche in cui quelli vissero.

In particolare egli ha scelto due omelie di S. Giovanni Crisostomo nelle quali compaiono delle figure di sante martirizzate durante il periodo delle persecuzioni cristiane da parte degli imperatori romani Decio e Diocleziano.

Il periodo storico è quello antecedente all’Editto di Costantino (313), che pone fine alle persecuzioni introducendo la fase della tolleranza nei confronti dei seguaci di Cristo. L’ambiente in cui vissero le sante oggetto delle omelie è quello della comunità cristiana di Antiochia di Siria, città natale del Crisostomo, destinata a diventare uno dei più attivi patriarcati della Chiesa d’Oriente.

Un punto focale della relazione è stato il valore che Crisostomo attribuisce al martirio, come massima espressione della fede e suprema prova dell’amore a Cristo di coloro che furono uccisi a causa del Vangelo. Chi muore in nome di Cristo è un “martire”, cioè un testimone (martys, in greco). Il termine martys, inizialmente usato per designare chi dà testimonianza con la parola e la vita (en ergo kai logo) diventa l’appellativo di quelli che hanno versato il sangue per Gesù, quindi dei testimoni per eccellenza.

La testimonianza nel caso delle omelie crisostomiane citate è data da alcune donne, Domnina, Berenice e Prosdoce, rispettivamente madre e figlie “intrepide contro la morte”, che, abbandonata la patria per sfuggire alle persecuzioni, si diressero in terra straniera, avendo “Cristo come coabitatore”; esse “quando si doveva fuggire, fuggirono; quando invece dovevano affrontare la lotta, si arrestarono e si lasciarono guidare, avvinte dal desiderio di Cristo…”: entrate nel fiume per sfuggire all’aggressione dei soldati, vi si immersero fino a morire: “…anzi, non affogarono, furono battezzate di un battesimo nuovo e straordinario…”, osserva, Crisostomo.

Allo stesso modo Pelagia, la Santa di Antiochia, altra figura femminile, osannata nelle omelie di Crisostomo. Ella  “corse incontro alla morte con tanto piacere, che non ebbe neppure la pazienza di aspettare le mani dei carnefici, né di presentarsi in tribunale, ma per la grandezza del proprio coraggio prevenne la loro crudeltà, lanciandosi dalla finestra. Era infatti ben preparata ai tormenti, ai supplizi e a ogni specie di pene; ma temeva di perdere la corona della propria verginità…; dal talamo del gineceo andò all’altro talamo, quello celeste…”: le era accanto Gesù, che l’aiutava e la sorreggeva.

Per S. Giovanni Crisostomo la santità raggiunta attraverso il martirio ha un forte significato spirituale e il ricordo delle figure dei martiri ha una chiara valenza formativa nella fede.

Sin dai primi secoli furono raccolti gli  Acta martyrum, gli atti dei processi cui i tribunali romani sottoponevano i cristiani prima di condannarli; da essi nacquero i Martirologi, con cui i primi cristiani ricordavano con grande rispetto i loro fratelli morti in nome di Cristo  e tributavano loro un culto speciale. Il giorno in cui ricorreva l’anniversario del loro martirio – detto “dies natalis” cioè nascita al cielo – i fedeli si radunavano attorno alla tomba del martire per la gioiosa celebrazione liturgica della sua memoria e di quella di altri martiri, per attingere forza e coraggio a seguirne l’esempio.

L’Apologetica cristiana fu tutta incentrata sull’esaltazione dei Martiri donde l’espressione di Tertulliano “sanguis martyrum semen cristianorum”, “il sangue dei martiri è seme fecondo di nuovi cristiani”.

Il Patronato dei Santi si esercita per Crisostomo come strumento di  imitazione della carità e dell’amore  da loro mostrati sulla via della “sequela Christi” : martirio e carità, anzi, sono tutt’uno; non potrebbe sussistere carità senza martirio, né martirio senza carità (Paolo).

Nelle omelie sul martirologio femminile S. Giovanni Crisostomo esalta in particolare il valore della verginità, divenuto, per le martiri, motivo della loro santità, ma che è solo uno dei tanti motivi, che hanno consentito e consentono a coloro che giungono agli onori degli altari di vivere alla perfezione i consigli evangelici, praticando in grado eroico tutte le virtù, in modo speciale la fede, la speranza e la carità. Ciascuno dei santi, passati e presenti, si distingue in qualche virtù particolare; tutti però si rassomigliano in quanto tutti uomini di preghiera e tutti capaci di sopportare  con pazienza le croci della loro vita, conformati alla volontà di Dio.

S. GIOVANNI CRISOSTOMOultima modifica: 2011-04-12T13:47:00+02:00da meneziade
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